BRICIOLE di VITA
" MISTERO PASQUALE "
(... nella salute e nella malattia - 11/13 marzo 2013)
Con
umile parola di chi ha nulla da insegnare, con trepidazione di chi ha ancora
molto da imparare, e con l’affetto che ho nel cuore, narro la breve esperienza
del mio ricovero in ospedale.
Lungi da me la
presunzione di paragonarla all’intensa “passione, morte, risurrezione” di Gesù,
ma sono pure convinto che nei frammenti dell’ esistenza si riflette un po’ del
“mistero pasquale”. Nulla è insignificante nella nostra storia, e tutto, ogni
particolare, può aiutarci a conoscere un po’ di Lui, della sua passione d’amore
per noi e a farcene partecipi.
1
– L’attesa
Dopo
aver valutato con i medici l’opportunità di intervenire e presa la decisione di
farlo, notavo in me un periodo di disponibilità più che rassegnata, addirittura
impaziente curiosa, che mi faceva sentire persino onorato. Circondato da
affetto e incoraggiato da chi mi voleva bene.
Potevo
vivere un momento di vera solidarietà con fratelli e sorelle molto più sofferenti
di me, avvicinarmi timidamente e con maggior rispetto alla loro persona, alle
loro paure, agitazioni e angosce. Questo mi faceva sentire che loro ed io
eravamo e siamo un unico corpo, umanissimo luogo dove il bisogno di salvezza da
una parte e la sovrabbondante risposta d’amore di Dio dall’altra potevano e di
fatto s’incontrano, per la nostra felicità.
I
miei giorni di attesa, poi, hanno avuto il dono di essere avvolti da un momento
di gioia e letizia con l’esperienza della “piccola missione” che le sorelle
francescane hanno vissuto e condiviso con noi. La loro persona, la semplicità,
il sorriso, l’abbandono fiducioso alla volontà di Dio che è unicamente per il
bene dei suoi figli, mettevano fretta al mio cuore desideroso di vivere questa
nuova esperienza, occasione per mostrare, forse a me più che Lui, che in fondo
ci conto perché lo amo. Portavo in cuore una grande speranza che anche
questa esperienza era per il bene, il nostro bene, quello dei fratelli e mio.
“Sono
venuto a portare un fuoco e come vorrei che fosse già acceso. C’è un battesimo
che devo e ricevere…(Lc 12,49-50),
confidava Gesù agli amici. Io oso fare altrettanto.
Gesù
avvertiva l’urgenza di vivere fino in fondo la sua missione, di manifestare a
tutti la vicinanza amorevole del Padre. Mostrava decisione e risolutezza
consapevole di quanto poteva accadergli. Non si tirava indietro e indicava che soltanto al termine di questo atto
d’amore, triplice e unico qual è la “passione, morte, risurrezione” è possibile
la vita per tutti.
Io
non ero affatto baldanzoso, ma in un certo onorato di poter accompagnare Gesù
con questo frammento, un “sassolino”, della mia vita. Non erano “calcoli”
quelli che facevo, ma il desiderio di vivere e donare anche così il ministero a
cui sono stato chiamato.
2
– L’abbandono
L’essere accompagnato
all’ospedale da persone buone, accolto da persone gentili e belle nella loro
familiarità, la vicinanza di tanti con la loro affettuosa preghiera e un caro
umanissimo augurio, mi hanno aiutato a scivolare presto nell’abbandono.
Abbandono nelle mani dei
medici, abbandono nelle attenzioni premurose del personale infermieristico,
abbandono di ogni mio pensiero e progetto su come avrei gestito, con pretesa di
guidare anche l’amore che mi è dato di vivere, questi giorni di degenza.
L’abbandono
è stato consapevole e totale quando l’anestesia ha interrotto la mia vigile
attenzione, ma non il cuore. Penso che questa situazione rifletta un po’ quella
che tante volte siamo chiamati ad affrontare nella nostra storia. Siamo nella necessità
di consegnare noi stessi a vicende, situazioni che non avremmo voluto, né di
cui la nostra mente non ha saputo farsene una ragione; nello stesso tempo c’è
una parte importante, fondamentale, di noi che rimane ad assumere anche il
silenzio e l’abbandono più totale, ed è il cuore, l’amore.
Entrando
in sala operatoria con un minimodi lucidità e poi “offrendo” che mi sia tolta,
ho notato in due istanti immediatamente successivi (ma era passata un’ora e
mezza!) il grande orologio analogico che sulla parte dettava i tempi. Il tempo!
Che cos’è? Se non lo spazio, qui, in attesa dell’eternità, di fare consegna di
sé nella mani di Dio spesso attraverso le mani degli uomini. Quest’ultime,
anche nel fare il bene, possono ferire, quelle di Dio mi raccolgono con immensa
tenerezza e io sono in braccio a Lui come “bimbo sereno in braccio alla
mamma” (Salmo 131,2).
Gesù
ha vissuto con questa consapevolezza l’abbandono all’amore fino a dare la vita.
Si è messo nelle mani degli uomini e ancora più in quelle del Padre, pur
sperimentando la tristezza di essere
stato allontanato. Ora l’abbandono per essere tale non è soltanto una
condizione esteriore, ma un’esperienza interiore che mette alla prova la nostra
fede. Dicendo di sì al progetto di Dio nella nostra vita diciamo di sì
alla sua assenza-presenza che ci trae dalla morte alla vita.
Gli
uomini trattano il mio corpo come meglio credono e sanno fare. Il Signore mi
custodisce tutto, silenzioso e certo nella sua potenza e misericordia.
Così
mi riportano alla mia stanza, ove disagi, insonnia, sussulti di stomaco,
ricordano la mia assai limitata capacità di soffrire e la fragilità di chi si
mette nella mani della vita.
Lascio
i “calcoli”, mi sono stati tolti, ma
non cambia il risultato, positivo, che la debolezza umana mi offre.
3
- L’affetto
“Le
donne vennero…” (cfr. Luca 24,1)… al letto.
Guardano,
silenziose e partecipi, il mio pallore.
Presenza
cara, discreta, che rende possibile il pieno abbandono al progetto di Dio, la
donna è segno della materna premura del Padre, docile allo Spirito, maestra nel
dare forma al Figlio. E’ provvidenza più che umana, pone fine alla solitudine
nel sogno di Dio e nel bisogno dell’uomo; familiare persona amica a cui sono
debitore di delicatezze e attenzioni, fedeltà ed entusiasmo, capacità di
sacrificio e di innamorarsi di ciò che riempie il cuore e la vita… le donne mi
sono accanto, qui, con messaggi e telefonate, condivise da amici, con il
ricordo che so ben vivo.
Questa
vicinanza accompagna e benedice anche la missione pastorale nella comunità,
addirittura il mio ministero sacerdotale. Rendo grazie! Le ferite della vita
pastorale, e non, sono affidate anche alle donne, all’unzione e al profumo
di cui sanno circondarle. Conoscono bene quelle dell’amore, loro, così fragili
e forti!
Non
mancano le attenzioni, le coccole affettuose, espressione umana della tenerezza
divina, con il semplice sorriso, la parola che solleva, il rimuovere con
delicatezza il bendaggio, l’accorrere prontamente ad un suono di campanello,
l’interessarsi se c’è dolore, la pazienza con i pazienti… Prolungano l’ “unzione”
che le donne volevano riservare al corpo di Gesù.
Di
più, molto di più : sono piccoli grandi segni di “risurrezione” in atto!
E
allora tutti, donne e uomini, familiari cari, come i discepoli del Risorto,
provano stupore sollievo!
Gesù,
bucando la morte, ha portato pace e rinnovato entusiasmo.
Attendo
con loro che lo Spirito scenda abbondante a dare forza e coraggio, confermi la
gioia, per continuare a vivere il mistero pasquale del Maestro e Signore
nostro, Gesù.
“Tu
sai tutto; tu sai che ti voglio bene”
(Gv 21,17) oso anch’io ripetergli oltre le mie cadute.
Mi ridona ogni volta
fiducia e mi chiama a nuovi passi, su strade nuove o antiche, che voglio
percorrere insieme a fratelli e sorelle che lo conoscono e ancor più con quelli
che non lo conoscono, affinché questa conoscenza, secondo la volontà di Dio,
possa svelarsi anche a loro. E’ l’unico “calcolo” che tengo stretto, o
piuttosto, il “dono” che desidero condividere con tutti.
Per
la misericordia che mi è continuamente usata, possa io “leggere” (Lc
24,27) la storia e quasi “completare” (Col 1,24) , dare
compimento nel senso che Gesù vuole che io lo viva con Lui, un po’ del “mistero
pasquale” (passione, morte, risurrezione), affinché tutti abbiano vita in abbondanza e gioia piena nel Suo amore.
Amen.
( dall’ospedale di Noventa Vicentina
“tre giorni non interi… un frammento di Pasqua!”)