domenica 31 marzo 2013

CLIMA...

 (…di grazia e d’amore!)

Tumulto di giorni,
ininterrotto pianto del cielo,
freddo, male non conosce
rassegnazione,
l’amore si fa più forte,
non sarà a vincere la morte.

Tenerezza dolce unisce
in gioia d’amicizia,
l’acqua umile a lavare
piedi,
corpo in pane spezzato,
sangue a salvezza versato.

Ancora lacrime dal cielo,
la terra è fango,
l’uomo inerte si scopre,
peccatore,
esistenza non più dolce,
l’amore si dona sulla croce.

Tempo inclemente,
primavera fremente,
sboccia incerta,
ferita,
pazienta il chicco caduto
in terra, fecondo, non perduto.

Legge della vita,
prodigio d’amore,
nel silenzio di un grembo
non tomba,
sul viso di occhi innocenti
è luce per tutte le genti.

Risurrezione è stupore,
sotto il plumbeo cielo,
radiosa la vita libera
fiorisce,
esce all’aperto bella novità,
speranza viva, tanta carità.

Giorni a venire,
uguali e ancor più nuovi,
esistenza cara amata,
trasfigurata,
non solitudine triste o timore,
solo gioia, gioia, e amore.

Tempo di grazia,
acqua, sole, vento,
clima d’affetto santo,
benedetto,
del Risorto la luce rischiara
ogni creatura sua dimora cara.

Mia speranza,
luce nuova del mondo,
non pietra che chiude,
innalza,
canto, fratello, sorella, con te
“non più io vivo, Lui vive in me”.





OMELIA


Giorno di Pasqua – 31.03.2013

Carissimi, è il mattino di Pasqua. Gesù è risorto. Egli è vivo, ha vinto la morte per sé, per tutta l’umanità, per l’intera creazione. Questo flagello, il male che lo determina, spesso il nostro peccato, il rifiuto dell’amore, non ha più potere su di noi, anche se facciamo ancora esperienza del buio che porta con sé. Ma nel buio, nella notte dell’umanità, della nostra storia personale, un buio che è risultato anche della cattiveria, menzogna, odio, ingiustizia, dell’ignoranza arrogante che noi stessi favoriamo, in questa notte è stata accesa, e noi abbiamo cantato alla luce. Gesù è risorto, noi con lui.

Abbiamo avuto l’intensa gioia di vedere risplendere  nella nostra Comunità un segno visibile di questa risurrezione, quando questa notte siamo stati accanto al fratello nostro Ronald, catecumeno, che dopo il cammino di questi mesi, ha vissuto l’incontro con il Risorto nei gesti sacramentali del Battesimo, Cresima, Eucaristia.

Carissimi, è questa l’esperienza che ci consente di partecipare alla vittoria di Cristo Gesù sul male e sulla morte, sul peccato, per accogliere in noi una vita nuova, che pur essendo quella di prima è contemporaneamente tutta diversa perché piena a trasfigurata dallo Spirito del Signore. Il Padre lo richiama dalla morte che non può trattenere, imprigionare, tutto l’amore che questo Figlio ha per noi, l’amore stesso di Dio, ed entra in ciascuno, in tutti, nell’umanità, nella creazione perché ogni realtà e relazione di cui è fatto il nostro mondo, davvero viva senza più temere fallimenti di sorta. I segni sacramentali non sono formalità rituali, gesti che abbiamo resi vuoti e banali. Nella fede sono davvero incontri con Gesù il risorto, incontri di risurrezione anche per noi.

Ci sono altri piccoli segni di questa grande novità di cui non dobbiamo aver paura. Lo diceva anche Papa Francesco nell’omelia della sua prima Veglia pasquale da Vescovo di Roma come ama definirsi. Non dobbiamo aver paura delle  novità e delle sorprese che Dio nel suo amore ci prepara e delle quali ci chiede di essere  con lui protagonisti oltre che destinatari. Non ci sembri impossibile che Dio continui ancor oggi a fare cose prodigiose, fuori della normalità, e che hanno davvero la luce del Risorto. L’amore senza limiti, il servizio generoso e umile verso il più poveri, l’impegno coraggioso per la verità e la giustizia, il perdono e la riconciliazione con chi ci fa del male, la serenità, la perfetta letizia, la gioia, sempre, anche nella contrarietà, giacché ogni passo dell’esistenza è ora vissuto con Gesù, è vissuto da Gesù che risorge per essere in noi.

Piccoli, eppur grandi segni sono, e vogliamo mettere per quanto sta a noi, a dire questa novità. Una pietra tombale ribaltata dal nostro cuore dove l’angoscia, il rancore, l’odio, la disperazione, il peccato che tradisce l’amore, ci tengono sepolti; una pietra ribaltata con piccoli gesti di una vita nuova, tutta diversa, luminosa; oppure delle bende e il sudario che avvolgevano il morto, vale a dire quei legami di morte che ci fasciano, ci imprigionano e che ci immobilizzano, legami sbagliati, legami con il potere o la prepotenza, la superbia, la falsità, il denaro, con il possesso o il venir meno dell’amore, tutte bende e legami di morte che finalmente sono svuotati, per potenza dello Spirito di ogni pretesa di dare felicità.

Ma accanto a segni di male da lasciare, anche segni di bene da far fiorire, da far lievitare perché già ci sono dati. Lo mostrano l’affetto delle donne che vanno al sepolcro di Gesù in un’ora ancora buia, non smettono di volergli bene; e poi, dopo questo desiderio che corre forte nel loro cuore, vi è il correre dei discepoli che dice l’amicizia che li legava al Maestro, correre che è il prolungamento dell’affetto, quasi a dire che la vita cristiana non può essere a passi lenti, incerti, non può rimanere chiusa nell’immobilità e nella rassegnazione; tutto questo quasi nel silenzio, senza manifestazioni eclatanti, perché anche nelle meraviglie che il Signore prepara non s’impone. Non c’è la spettacolarizzazione di un morto che esce dalla tomba, ma l’entrare in noi del Risorto che si offre alla nostra fede.

Coronano l’affetto, il correre, il silenzio della fede, anche lo stupore e la gioia di conseguenza che hanno preso Pietro e gli altri, l’amore loro che è aumentato.

Carissimi, Gesù risorto e noi con lui, vinta è la morte e il male, vincono la vita e l’amore. Facciamo festa nel Signore.

OMELIA


Sabato Santo - Veglia Pasquale – 30.03.2013

Carissimi, Gesù è risorto! Mai come questa notte il doveroso canto dell’Alleluia è piacevole, è gioioso, fa straripare di esultanza il nostro cuore. Gesù è Risorto. E’ vivo colui che ci ama e che amiamo. Ha vinto la morte, non solo per sé ma per tutti noi, per l’umanità tutta, per l’intera creazione. Il Padre l’ha richiamato dalla tomba, gli ha ridato la vita che egli aveva offerto per amore, e con questo figlio tutti i suoi figli sono ricreati. Anche noi risorgiamo con Lui.

E’ vero la nostra esistenza continua come prima, eppure c’è qualcosa di totalmente nuovo che la fa completamenti diversa. Lo Spirito dell’amore, lo Spirito della vita ridà vigore alle nostre membra. La nostra carne, la nostra umanità, è ora trasfigurata,  e pure la storia diventa un cammino ancor più ricco di speranza e di gioia. La morte, il male, il peccato sono sconfitti, anche se continuano a ferire.

Gesù è risorto e la sua risurrezione è anche la nostra. Davvero sovrabbondiamo di feste e di gioia, anche inizialmente c’è il paura delle donne davanti ad una tomba vuota, a una presenza misteriosa, il timore e l’incertezza di un loro vaneggiamento, o lo stupore di Pietro per i teli vuoti.

Miei cari, niente di tutto questo, grazie alla fede che è stata immessa nel nostro cuore, grazie all’amore che la nutre, solo gioia e gioia grande. Grazie anche al segno visibile della risurrezione di Gesù che stanotte è dato a noi, con la risurrezione di un nostro caro fratello che tra poco incontrerà il Risorto nell’esperienza vera con i sacramenti del Battesimo, Cresima, Eucaristia. Gioia per il dono che riceve Ronald al termine del cammino di catecumenato, lungo il quale è stato accompagnato dalla Comunità attraverso gli amiche gli sono stati accanto in questi mesi e che, come padrini e madrine, continueranno ad esserlo.

La nostra risurrezione con Gesù è proprio nel Battesimo che abbiamo ricevuto accogliendolo nella nostra esistenza la sua vita, la sua passione d’amore che contempla  il dare tutto di sé e il risorgere, l’essere liberi dal male, l’appartenere pienamente a Coliche è la nostra libertà, il nostro bene.

La nostra risurrezione è nello Spirito che ci chiama fuori dalla nostra tomba, il male nelle sue varie manifestazioni che vuole tenerci sepolti nella tristezza, ci vuole morti. Questa risurrezione si chiama amore, misericordia, perdono, accoglienza dei più poveri, servizio e responsabilità per un mondo nuovo, più pulito, pur in mezzo ancora presenti difficoltà, questa risurrezione e pienezza di gioia.

Anche perché l’esperienza matura di questa è nell’Eucaristia che celebriamo ogni domenica e di cui qui ci nutriamo insieme con gli altri fratelli e sorelle della Pasqua di Gesù. Ronald stasera entra pienamente in questo mistero di grazie di novità, partecipando all’Eucaristia con la sua sposa e con tutti noi, e dietro a lui, per lui, noi rendiamo lode, gridiamo di gioia, e cantiamo l’alleluia.

La risurrezione nostra è l’amore di Dio riversato nel nostro cuore e vissuto, donato, in ogni frammento della nostra esistenza; è questo che trae fuori dalla morte, da ogni schiavitù la nostra umanità. E’ l’amore che Gesù ci ha lasciato ed insegnato, da noi accolto, che fa risorgere il mondo.

E’ in noi l’augurio, la preghiera, la certezza, la volontà, che la lode nostra coinvolga tanti amici, che un grido di festa risuoni nel mondo triste e sepolto dal male a dare speranza, che l’Alleluia, la festa e la gioia si manifestino nella vita nuova, nella vita di Cristo in cui siamo nascosti, ma non tanto, vita che ora risplende nell’umanità che rinasce nell’amore e per l’amore.


OMELIA


Venerdì Santo – Passione e morte del Signore – 29.03.2013

Gesù, sei venuto perché abbiamo vita. Ci hai promesso gioia in abbondanza. Ed eccoti disprezzato e rifiutato dagli uomini, giudicato come malfattore tu che sei passato facendo del bene a tutti; sei appeso alla croce, trafitto e inchiodato al legno, sfigurato, sfinito dai dolori, ormai catturato dalla morte.
Dove la vita? Dove la gioia? Dove l’umanità che ti muoveva a compassione e che volevi salvare? Dove il Padre tuo che ami teneramente facendoti volto visibile della sua bontà? Dove i tuoi amici? Solo la Madre e forse il più giovane. Ma perché la croce ora, Gesù, anche per te?
Già ne abbiamo tante. Che necessità c’era di una in più? Un disgraziato e un infelice in più non cambiano il mondo. Che cosa mai può recare di bene a noi?

Di te è stato scritto: “si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori” perché non fossimo soli nella prova, nemmeno nella nostra cattiveria, nel nostro peccato. Anzi, “egli portava il nostro peccato e intercedeva per i colpevoli”, cioè camminava e cammina avanti a noi incoraggiando il nostro passo perché non avessimo né dobbiamo aver paura del Padre, di Dio.

Perché la tua croce Gesù? Perché prendi su di te la morte, abisso in cui l’umanità e quanto esiste dovrebbe scomparire; prendi su di te il male, la sporcizia, il peccato del mondo, anche il nostro peccato, quello di tutti noi, e lo lavi con il tuo sangue, con la misericordia, con l’amore di Dio. Davanti a te non possiamo non essere sinceri: guardiamoci intorno, quante ferite il male infligge all’umanità! Guerre, violenze, conflitti economici che colpiscono chi è più debole, sete di denaro, che poi nessuno può portare con sé, deve lasciarlo. E poi potere, corruzione, divisioni, crimini contro la vita umana, la famiglia, contro il mondo creato così bello! In tutto ciò sono anche - ciascuno di noi lo sa e lo conosce - i nostri peccati personali: le mancanze di amore e di rispetto verso Dio, verso il prossimo e verso l’intera creazione. E tu, Gesù, sulla croce lo senti tutto il peso del male e con la forza dell’amore di Dio lo vinci, lo sconfiggi nella tua risurrezione. Questo è il bene che fai a tutti noi sul trono della croce. La croce da te abbracciata, o Cristo, con amore, e quella tua che facciamo nostra, mai porta alla tristezza, ma alla gioia, alla gioia di essere salvati e di offrire la porta che dà salvezza.

Perché la tua croce, Gesù, è solidarietà con i tanti crocifissi di questo mondo, con quanti patiscono le più diverse croci e prove dell’esistenza, alcune inspiegabili, terribilmente ingiuste, altre causate dalle nostre mani, ma non per questo scusabili. Tu, non ci salvi dalla croce, non ce la togli magicamente. Essa rimane uno scandaloso insopportabile mistero quando innocenti pagano l’irresponsabilità o la cattiveria di altri. Tu ci salvi sulla e nella croce, nel buio che porta con sé e che ha un tempo finito, perché poi c’è la risurrezione.
Sulla croce è possibile la gioia, quella che hai provato Gesù nell’offrire speranza a chi era crocifisso con te. Hai amato fino a questo supplizio per raggiungere l’umanità condannata alla morte per i suoi stessi peccati come hanno confessato i disgraziati che sul Calvario ti erano accanto. E’ la gioia di chi pensa agli altri facendo dono totale di sé mediante quel voler bene che conosce l’insuccesso e accetta persino la propria apparente sconfitta.
Non c’è un mondo di buoni e cattivi sul Calvario, ma solamente donne e uomini tutti accomunati dal bisogno di vita e di gioia, dal bisogno di essere salvati dall’amore, quello che ha il suo vertice sulla croce, dove il Padre tuo ti ha donato quale Figlio per dirci che non siamo soli, noi altrettanto figli suoi, e che, per la grande sua misericordia,  un’offerta appunto di vita e di gioia è data anche a chi è disperato, a chi si sente condannato.
Incomprensibile gioia della croce, inesauribile gioia della croce, scendi su di noi. Noi confessiamo, Gesù, il tuo amore, il nostro peccato, il perdono e la salvezza che ci vengono dati. Nell’abbraccio che riceviamo venga in noi questa grazia affinché possiamo fare un po’ quello che hai fatto tu, rimanere nella gioia pur nell’oscurità della prova , essere occasione di gioia e di speranza per chi ci è accanto. Abbi la nostra riconoscenza, il nostro affetto, il nostro bacio. Amen. 

venerdì 29 marzo 2013

OMELIA


Giovedì Santo 28.03.2013 – “Nella Cena del Signore”

Carissimi, sono per noi stasera la tenera amicizia e la dolce confidenza di Gesù che c’invita alla Cena di Pasqua con il desiderio grande di coinvolgere anche noi nel passaggio che sta per compiere. Quella cena che era di tradizione, ora diventa una realtà tutta nuova.

Tradizione perché celebrava e rinnovava un evento caro per gli Ebrei prigionieri schiavi in Egitto che, come abbiamo sentito nella prima lettura, ha preso avvio da una cena: la loro liberazione, un cammino nuovo di speranza  e di vita.
Con Gesù, la stessa cena diventa annuncio, ripresentazione, partecipazione, ad una liberazione ancora più profonda che riguarda l’umanità intera, la liberazione dal male, dalla morte, dal peccato, offerta di un cammino nella libertà che solo l’amore realizza.
Alla cena ebraica era l’agnello sacrificato, con pani azzimi e erbe amare, il cibo che salutava giunto il momento di partire.
Alla cena del Signore, questa sera e ogni volta che viene celebrata, egli stesso diventa l’agnello che offre se stesso, il proprio amore, la propria vita e morte, fa sacrificio, cioè fa sacra ogni realtà dell’esistenza  compreso l’amaro ultimo respiro, la stessa morte che, nella nostra considerazione umana, sembrerebbe sconfessarla e invece no.

La familiarità, l’intimità cara, a cui Gesù c’invita chiamandoci a sedere e a mangiare con Lui, non può riempire di mestizia e tristezza la cena pasquale, anche se ora sappiamo che cosa significhi.
Già era una cena di festa per  le tante meraviglie che Dio ha operato e continua ad operare in favore dell’uomo, la vita, la creazione, la sua alleanza e vicinanza che mai ci abbandona, la misericordia, la liberazione; era una cena ricca di allegria, di esultanza, di gioia, di cibi saporiti pur nella loro essenzialità, di calici di vino che si alzano in onore dell’Onnipotente. Non poteva celebrarsi diversamente una vittoria.

Non c’è posto per l’amarezza e la tristezza a questa cena ancor più stasera che diventa la cena dei discepoli di Gesù; non c’è posto per l’amarezza e la tristezza nella vita cristiana, poiché “senza gioia non c’è fede”, non c’è riconoscenza vera, non c’è amore, non c’è speranza.
E’ il testamento che Madre Elena, conosciuta attraverso le giovani sorelle francescane che sono state tra noi ci ha lasciato, in perfetta comunione con Gesù. E’ stato anche il suo ultimo canto che ella ha scritto proprio per noi, per la nostra comunità, mentre il male, ma soprattutto l’amore che nutriva per il Signore stava per consegnarla alla vita che non ha fine.
Non siate mai uomini e donne tristi: un cristiano non può mai esserlo! Non lasciatevi prendere mai dallo scoraggiamento!” Diceva domenica scorsa Papa Francesco, nell’omelia all’ingresso di Gesù a Gerusalemme….  E, per favore, non lasciatevi rubare la speranza! Quella che ci dà Gesù”.

Un cena di gioia è la cena del Signore, non una cena d’addio ma di una presenza e comunione intense e profonde che nemmeno la morte può distruggere. Una vita di gioia è la vita cristiana, la vita dei discepoli, degli amici di Gesù, la vita nostra che impariamo da lui, che di lui ci nutriamo.

La gioia e la vita  che apprendiamo da Gesù alla sua cena pasquale, qui stasera e ogni volta che partecipiamo all’Eucaristia, è l’amore grande per il Padre, l’amicizia bella per cui ha voluto i suoi stretti a sé, la fiducia di cui li ha circondati e mandati con libertà a continuare la sua missione, a fare “come ho fatto io”.

La gioia che riempie la vita sta nel servire, nell’abbassarsi e riconoscere la dignità degli altri anche dei meno meritevoli di considerazione come potevano apparire Giuda e Pietro; nel riunire, vedere uniti coloro ai quali si vuol bene; gioia è lasciare in eredità non cose o ricchezze, ma se stessi esempio di amore, di accoglienza, di perdono, di fratellanza, di coraggio e di apertura alla vita e offerta che non teme la morte… Questo amore lo insegna il gesto della lavanda dei piedi compiuto da Gesù che tra poco ripeteremo.

Carissimi, di questa gioia e di questa vita di carità io desidero essere, con cuore, fantasia e coraggio, frammento in mezzo a voi e per voi con il sacerdozio di cui Gesù pastore buono mi fa partecipe in questa sera e per tutto il tempo che mi sarà dato. Vi sono grato dell’amicizia e dell’esempio che voi date a me, di vita, di gioia, di servizio, di benevolenza; vi sono grato perché mostrate pazienza per i miei limiti e comprensione per il servizio qualche volta maldestro, o che non raggiunge tutti e quelli più bisognosi. Chiedo fraternamente aiuto a voi, chiedo la vostra preghiera e il dono di poter entrare nella vostra confidenza per ascoltare, per portare con voi le vostre speranze e fatiche, per cercare insieme una parola che ci parli al cuore e illumini i nostri passi.

Che la Cena del Signore, partecipazione al mistero della sua Pasqua, ci faccia ancor più uniti nell’amicizia, nella gioia, nell’amore, nella vita che egli vuole per noi.

domenica 24 marzo 2013

CANTO di MADRE ELENA



(… per le sorelle e i fratelli della Comunità Adveniat!)

Nozze eterne, infinita festa ,
gaudio nel cuore, corona cinge la testa
dell’umile vergine martire d’amore sposa
che nell’abbraccio dell’Amato esulta e riposa.

Testamento: “senza gioia non c’è fede”,
chiara regina canta e incede,
conduce sorelle all’unico Signore,
il più bello, il grande d’ogni amore.

Conferma oggi l’eterno Amore,
Sposo, un giorno motivo di stupore,
anniversario ora per l’eternità
pienezza di vita, immensa felicità.

La morte, bacio divino sponsale,
temuta, accolta, dono nuziale,
ferisce, strappa, porta via,
no, trasfigura corpo e anima mia.

Io sono dell’Amato Dio,
Egli è tutto l’amore mio,
m’ha preso forze e passione,
m’ha donato carisma e missione.

Missione: venga il suo Regno!
Ogni donna e uomo dell’amore è degno,
fraternità nostro compito e gioia annunciare,
sorelle care, “Adveniat” è amare.

Contemplazione nutre la vita,
sacrificio nostro, offerta gradita,
giovinezza e malattia, sorelle amate,
all’amplesso casto consegnate.

Intercessione supplice donata,
ogni creatura mai sarà abbandonata,
 sorelle preziose, preghiera vostra fiduciosa
è aiuto misericordia grazia prodigiosa.

Combattimento abbiam insieme portato,
speranza, lotta, croce, tante ferite curato,
sorelle mie forti, anche in debolezza e peccati
sappiano gli uomini che sono ancor più amati.

Quattro son baci d’ogni bella sposa
che si concede allo Sposo senza posa,
semplice povertà con l’amore danza e canta,
gioia, “perfetta letizia”, è per tutti davvero tanta.

Benedetta colei che viene nel nome del Signore,
pace e gloria nell’alto dei cieli il suo onore,
“andiamogli incontro con inni e canti
gridando con gioia” tra vergini e santi.
(cfr liturgia)

Celebrate il Signore, perché è buono; 
eterna è la sua misericordia.
Dica la Chiesa che egli buono; 
eterna è la sua misericordia.
Lo dica la “Comunità Adveniat”; 
eterna la sua misericordia.
Lo dica chi è nell’amore; 
eterna è la sua misericordia.
(cfr salmo 117)

Non morirò, resterò in vita,
vi benedico dalla casa del Signore
fioriranno ancora le opere del suo amore.
Questo è il giorno fatto dalla divina bontà,
sorelle gioiose, rallegriamoci nella sua santa carità.
(cfr. salmo 117)





martedì 19 marzo 2013

NOVELLO !


(…nel 37° anniversario di Sacerdozio)

Anni addietro,
eppur ieri,
come oggi,
gioiosa incredulità,
emozioni,
ampi pensieri

son grazia
del Pastore bello
discesa dolce
in fragile cuore
di quel prete
allor novello.

Ancor novello,
solcata via
da sorelle e fratelli,
passi solitari
in comunione,
buona bella compagnia,

han portato
santa benedizione,
tocchi di grazia,
generosi incontri cari,
abbracci d’affetto caldi
a confermare l’elezione.

Semper novello
il risorto amore,
ispirazioni nuove,
lieti abbandoni,
progetti e sogni
sian tutti del mio Signore

con grata meraviglia,
sincera umile lode
per doni accolti lasciati,
sorprese d’avvenire,
prodigi dello Spirito,
il mio sacerdozio gode.

Impetuoso vento, forte,
Egli fa limpido cielo,
libero dolce accarezza
in me l’umana terra,
bacia e feconda
di vita, di gioia e vangelo.

Nebbia nasconde il mondo,
splendida luce l’ama,
petrina e francescana,
sorriso di misericordia oggi, 
il ministero sacerdotale
ancora “novello” chiama.

 





lunedì 18 marzo 2013

OMELIA


5° Domenica C – 17.03.1013
- Isaia 43,16-21
- Filippesi 3,814
- Gv 8,1-11

A me, questa settimana, nel corso di un breve ricovero, un’esperienza che mi ha fatto sentire un po’ più vicino a malati ben più seri di me, bravi medici hanno tolto i “calcoli”.
Coloro che, invece, i calcoli li hanno davvero sbagliati sono stati gli scribi e i farisei.
Volevano mettere in difficoltà Gesù, fargli fare brutta figura: tra gl’integralisti della Legge di Mosè o farlo apparire come trasgressivo. In entrambi i casi ne avrebbe ricavato soltanto gravi conseguenze.
In questa situazione alla quale non si sottrae Gesù coglie per manifestare la grande “novità” del vangelo, poiché davanti a sé Egli ha una donna, una persona, ne vede la dignità, ne conosce il bisogno d’amore, l’ ama nella sua fragilità. 

Ci invade allora una gioia grande, non la rabbia di coloro che vorrebbero lapidare la donna, e guarda caso sono sempre tra gli osservanti, perché il Signore realizza con questa donna la promessa ascoltata nella prima lettura.

La donna sorpresa in adulterio possiamo dire sente sulla sua pelle la verità di quell'antica parola: Dio fa una cosa nuova, apre strade nel deserto, immette fiumi nella steppa. "Proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?". Per lei, in quella tragica situazione, apparentemente senza via di scampo, il Signore fa “germogliare” una nuova possibilità di vita..
In quell’esistenza che agli occhi degli altri e della stessa donna occhi poteva sembrare vagabondaggio si apriva una strada, non c’era fine corsa. E se la vita familiare e coniugale che conduceva era così arida da arrangiarsi a trovare altrove un po’ d’acqua per la sete d’amore, ora poteva sentire il gorgogliare di quell’acqua che zampilla per la vita eterna.

Acqua nuova era il Maestro di Nazaret, il suo silenzio, i suoi occhi non induriti a condanna, la sua voce: "Neanch'io ti condanno". Dio fa una cosa nuova. Nuova anche rispetto al Libro sacro della Legge nel quale, scrivendo a suo nome, gli uomini hanno fatto scivolare alcune loro durezze: "Mosè nella legge ha comandato di lapidare donne come queste". E Dio no.

Oggi, confermando quanto in queste settimane abbiamo considerato come condizione per la vera conversione, la gioia ha un nome: Gesù, che significa “Dio salva”. Egli è colui che libera, è la misericordia che non disprezza la miseria, non condanna, ma promuove una nuova vita.
E’ per questa liberazione  che il vangelo attrae, e il cristianesimo può davvero essere luogo di umanizzazione e di salvezza; liberazione dal sentirci giudicati e condannati, poiché non lo siamo, se sbagliamo, se commettiamo errori; liberazione dalla trasgressione che possiamo a volte pensare come unica strada per realizzarci. No, la vera liberazione e quindi la gioia che ne viene è Gesù, la misericordia in persona.

Con lui passiamo dall’infinita durezza all’infinta tenerezza, l’unica che può darci il coraggio e la forza di non peccare più. “Mi hai incontrato - sembra dire Gesù – ora puoi non peccare più”. Quel puoi, che io immagino, mi dice che il Signore conosce bene anche la fragilità che permane nella creatura. Ma il suo amore ripeterà il perdono.
Così con lui passiamo da un cuore di pietra ad un cuore di carne; forse anche da un chiesa delle pietre per l’uomo e la donna oggi smarriti, dove, a volte, di pietra è lo sguardo, di pietra il giudizio, di pietra la condanna, una chiesa pietrificata, ad una chiesa del cuore che accoglie, difende, risolleva, rialza, incoraggia ad una nuova vita, sempre pronta alla misericordia e a ripetuto perdono.

In queste settimane quaresimali la gioia ha fatto lieti  i nostri passi impegnativi. Ora la misericordia di Dio che ci è stata annunciata, mostrata da Gesù sta per manifestarsi e comunicarsi nel mistero d’amore che è la Pasqua. C’è ancora tanto spazio per essere contenti, per stare nella gioia, che non è finita, è solo all’inizio. Senza… calcoli!




 

venerdì 15 marzo 2013

BRICIOLE di VITA

" MISTERO PASQUALE "

             (... nella salute e nella malattia - 11/13 marzo 2013)



Con umile parola di chi ha nulla da insegnare, con trepidazione di chi ha ancora molto da imparare, e con l’affetto che ho nel cuore, narro la breve esperienza del mio ricovero in ospedale.
Lungi da me la presunzione di paragonarla all’intensa “passione, morte, risurrezione” di Gesù, ma sono pure convinto che nei frammenti dell’ esistenza si riflette un po’ del “mistero pasquale”. Nulla è insignificante nella nostra storia, e tutto, ogni particolare, può aiutarci a conoscere un po’ di Lui, della sua passione d’amore per noi e a farcene partecipi.

1 – L’attesa
Dopo aver valutato con i medici l’opportunità di intervenire e presa la decisione di farlo, notavo in me un periodo di disponibilità più che rassegnata, addirittura impaziente curiosa, che mi faceva sentire persino onorato. Circondato da affetto e incoraggiato da chi mi voleva bene.
Potevo vivere un momento di vera solidarietà con fratelli e sorelle molto più sofferenti di me, avvicinarmi timidamente e con maggior rispetto alla loro persona, alle loro paure, agitazioni e angosce. Questo mi faceva sentire che loro ed io eravamo e siamo un unico corpo, umanissimo luogo dove il bisogno di salvezza da una parte e la sovrabbondante risposta d’amore di Dio dall’altra potevano e di fatto s’incontrano, per la nostra felicità.

I miei giorni di attesa, poi, hanno avuto il dono di essere avvolti da un momento di gioia e letizia con l’esperienza della “piccola missione” che le sorelle francescane hanno vissuto e condiviso con noi. La loro persona, la semplicità, il sorriso, l’abbandono fiducioso alla volontà di Dio che è unicamente per il bene dei suoi figli, mettevano fretta al mio cuore desideroso di vivere questa nuova esperienza, occasione per mostrare, forse a me più che Lui, che in fondo ci conto perché lo amo. Portavo in cuore una grande speranza che anche questa esperienza era per il bene, il nostro bene, quello dei fratelli e mio.

“Sono venuto a portare un fuoco e come vorrei che fosse già acceso. C’è un battesimo che devo e ricevere…(Lc 12,49-50), confidava Gesù agli amici. Io oso fare altrettanto.
Gesù avvertiva l’urgenza di vivere fino in fondo la sua missione, di manifestare a tutti la vicinanza amorevole del Padre. Mostrava decisione e risolutezza consapevole di quanto poteva accadergli. Non si tirava indietro e indicava  che soltanto al termine di questo atto d’amore, triplice e unico qual è la “passione, morte, risurrezione” è possibile la vita per tutti.

Io non ero affatto baldanzoso, ma in un certo onorato di poter accompagnare Gesù con questo frammento, un “sassolino”, della mia vita. Non erano “calcoli” quelli che facevo, ma il desiderio di vivere e donare anche così il ministero a cui sono stato chiamato.

2 – L’abbandono
L’essere accompagnato all’ospedale da persone buone, accolto da persone gentili e belle nella loro familiarità, la vicinanza di tanti con la loro affettuosa preghiera e un caro umanissimo augurio, mi hanno aiutato a scivolare presto nell’abbandono.
Abbandono nelle mani dei medici, abbandono nelle attenzioni premurose del personale infermieristico, abbandono di ogni mio pensiero e progetto su come avrei gestito, con pretesa di guidare anche l’amore che mi è dato di vivere, questi giorni di degenza.

L’abbandono è stato consapevole e totale quando l’anestesia ha interrotto la mia vigile attenzione, ma non il cuore. Penso che questa situazione rifletta un po’ quella che tante volte siamo chiamati ad affrontare nella nostra storia. Siamo nella necessità di consegnare noi stessi a vicende, situazioni che non avremmo voluto, né di cui la nostra mente non ha saputo farsene una ragione; nello stesso tempo c’è una parte importante, fondamentale, di noi che rimane ad assumere anche il silenzio e l’abbandono più totale, ed è il cuore, l’amore.

Entrando in sala operatoria con un minimodi lucidità e poi “offrendo” che mi sia tolta, ho notato in due istanti immediatamente successivi (ma era passata un’ora e mezza!) il grande orologio analogico che sulla parte dettava i tempi. Il tempo! Che cos’è? Se non lo spazio, qui, in attesa dell’eternità, di fare consegna di sé nella mani di Dio spesso attraverso le mani degli uomini. Quest’ultime, anche nel fare il bene, possono ferire, quelle di Dio mi raccolgono con immensa tenerezza e io sono in braccio a Lui come “bimbo sereno in braccio alla mamma” (Salmo 131,2).

Gesù ha vissuto con questa consapevolezza l’abbandono all’amore fino a dare la vita. Si è messo nelle mani degli uomini e ancora più in quelle del Padre, pur sperimentando la tristezza  di essere stato allontanato. Ora l’abbandono per essere tale non è soltanto una condizione esteriore, ma un’esperienza interiore che mette alla prova la nostra fede. Dicendo di sì al progetto di Dio nella nostra vita diciamo di sì alla sua assenza-presenza che ci trae dalla morte alla vita.
Gli uomini trattano il mio corpo come meglio credono e sanno fare. Il Signore mi custodisce tutto, silenzioso e certo nella sua potenza e misericordia.

Così mi riportano alla mia stanza, ove disagi, insonnia, sussulti di stomaco, ricordano la mia assai limitata capacità di soffrire e la fragilità di chi si mette nella mani della vita.
Lascio i  “calcoli”, mi sono stati tolti, ma non cambia il risultato, positivo, che la debolezza umana mi offre.

3 - L’affetto
“Le donne vennero…”  (cfr. Luca 24,1)… al letto.
Guardano, silenziose e partecipi, il mio pallore.
Presenza cara, discreta, che rende possibile il pieno abbandono al progetto di Dio, la donna è segno della materna premura del Padre, docile allo Spirito, maestra nel dare forma al Figlio. E’ provvidenza più che umana, pone fine alla solitudine nel sogno di Dio e nel bisogno dell’uomo; familiare persona amica a cui sono debitore di delicatezze e attenzioni, fedeltà ed entusiasmo, capacità di sacrificio e di innamorarsi di ciò che riempie il cuore e la vita… le donne mi sono accanto, qui, con messaggi e telefonate, condivise da amici, con il ricordo che so ben vivo.

Questa vicinanza accompagna e benedice anche la missione pastorale nella comunità, addirittura il mio ministero sacerdotale. Rendo grazie! Le ferite della vita pastorale, e non, sono affidate anche alle donne, all’unzione e al profumo di cui sanno circondarle. Conoscono bene quelle dell’amore, loro, così fragili e forti!

Non mancano le attenzioni, le coccole affettuose, espressione umana della tenerezza divina, con il semplice sorriso, la parola che solleva, il rimuovere con delicatezza il bendaggio, l’accorrere prontamente ad un suono di campanello, l’interessarsi se c’è dolore, la pazienza con i pazienti… Prolungano l’ “unzione” che le donne volevano riservare al corpo di Gesù.
Di più, molto di più : sono piccoli grandi segni di “risurrezione” in atto!

E allora tutti, donne e uomini, familiari cari, come i discepoli del Risorto, provano stupore sollievo!
Gesù, bucando la morte, ha portato pace e rinnovato entusiasmo.
Attendo con loro che lo Spirito scenda abbondante a dare forza e coraggio, confermi la gioia, per continuare a vivere il mistero pasquale del Maestro e Signore nostro, Gesù.

“Tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene” (Gv 21,17) oso anch’io ripetergli oltre le mie cadute.
Mi ridona ogni volta fiducia e mi chiama a nuovi passi, su strade nuove o antiche, che voglio percorrere insieme a fratelli e sorelle che lo conoscono e ancor più con quelli che non lo conoscono, affinché questa conoscenza, secondo la volontà di Dio, possa svelarsi anche a loro. E’ l’unico “calcolo” che tengo stretto, o piuttosto, il “dono” che desidero condividere con tutti.

Per la misericordia che mi è continuamente usata, possa io “leggere” (Lc 24,27) la storia e quasi “completare” (Col 1,24) , dare compimento nel senso che Gesù vuole che io lo viva con Lui, un po’ del “mistero pasquale” (passione, morte, risurrezione), affinché  tutti abbiano vita in abbondanza e gioia piena nel Suo amore.
Amen.

( dall’ospedale di Noventa Vicentina
“tre giorni non interi… un frammento di Pasqua!”)