OMELIA
23°
Domenica B – 06.09.2015
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Isaia 35,4-7
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Giacomo 2,1-5
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Marco 7,31-37
Che
cosa mi dice dell’amore di Dio la Parola ascoltata? E’ questa la domanda con
cui ci poniamo davanti al vangelo, ad ogni brano della Scrittura. Quella
successiva è comprensibile, doverosa, se prima cogliamo una possibile risposta
a questo interrogativo. Cosa mi dice dell’amore di Dio questa pagina del
vangelo, questo atteggiamento di Gesù? E’ quello che io cerco quando preparo
per me e per voi questi pensieri.
Gesù
è di un amore che “ esce” continuamente dai confini, va oltre quello che la
legge gli consentirebbe e cioè portare parole segni che dicono la misericordia
di Dio in terre straniere. Nessuno è escluso dal ricevere questo annuncio. Non
ci sono angoli del mondo, situazioni, persone che egli non voglia raggiungere.
Questo è già un primo segno d’amore. No?
Davanti
ad un povero uomo – un sordomuto – ferito, limitato, impedito nella possibilità
di esprimere tutta la sua umanità, fatta di ascolto e di parole, fatta di
comunicazione, Egli l’accoglie e agisce in modo singolare. Anche questo dice
amore. E guardate che possiamo essere ciascuno di noi, incapaci di ascolto e
maldestri nel dire.
Lo
prende in disparte, lontano dalla folla. Dio ci riserva un’attenzione, una cura
tutta personale. Ama me, come unico per lui. Non mi considera parte di una
moltitudine, di una massa indifferenziata di individui. Si prende cura di me e
sa la mia difficoltà , il mio impedimento, la mia necessità. Questo è amore!
Il
gesto di Gesù è poco educato. Così ci appare. Fa parte di un rituale di
guarigione bel conosciuto ai suoi tempi, e mi dice una cosa importante. Gesù
non guarisce tenendo la distanza, ma tocca proprio lì dove io sono ferito nella
mia umanità.
E
qui noi vorremmo riconoscere il nostro handicap, si chiami, invidia, gelosia,
paura, rabbia, impazienza, avidità, incapacità di dialogo, di ascolto, di
parole buone…Tutte forme di chiusura all’amore! Gesù lì ci tocca. Non è un
intervento generico il suo, non è un farmaco generico quello che ci dà. Ci
tocca nelle nostra parte di umanità malata. Diremmo che è un amore…competente
il suo!
Perché
è manifestazione di quello di Dio. Infatti “guardando verso il cielo”,
cioè invocando il Padre suo, “emise un sospiro”.
Il
sospiro è un gemito davanti ad una situazione poco piacevole, ad una
sofferenza, e Gesù non può sopportarla.
Ma
è anche un atto creativo, perché sospirare, è lasciar uscire quel soffio che
portiamo dentro, e nel caso di Gesù, è l’amore in grado non solo di compatire
ma anche di guarire.
Viene
da chiedersi come sono o di che qualità sono i nostri “sospiri” nelle vicende
della vita. E se noi facciamo sospirare qualcuno è per amore?
“Effatà”,
cioè “Apriti!”, è l’unica parola di Gesù. I gesti già dicono molto, basta una
parola.
Aprire
alla vita, alla possibilità di gustarla, all’amore alla possibilità di
recepirlo e di esprimerlo, aprire alla relazione con gli altri, alla
possibilità di partecipare alla costruzione di un mondo nuovo, aprire alla
speranza, alla possibilità di dar fondo alle nostre capacità, risentirsi vivi,
utili… “Apriti!” è un comando, ma prima ancora un’opportunità che ci è data.
Questa parola oggi ci racconta, di quell’amore molto concreto promesso nella
prima lettura e insegnato, esemplificato, molto concretamente dalle parole di
Giacomo nella sua lettera.
Solo
ora che ho intravisto quello che la Parola ascoltata mi dice dell’amore di Dio
per me, posso farmi l’altra domanda: “che cosa, Signore, vuoi da me?”. Anche
qui, prima il “piacere” “poi il dovere”