martedì 22 settembre 2015

EDUCARE

(Dedicato a genitori… senza respiro!

Famiglie occupate,
preoccupate,
sovraoccupate, 
d’affetto no disoccupate,
ma pesante foschia,
soffocante cappa,
senza respiro e tempo,
tra cose e corse:
“che diamo ai figli?”.

Overdose
d’attività cara,
arte, danza, sport,
in casa e comunità,
e col misurino
a smarrire ignari
libertà vera
che tanto perde
e il Tutto trova.

Poveri figlioli
di genitori smarriti
che nulla lasciano
per dare umanità.
Pur questa è la via,
chiede luce,
discernimento saggio,
solo evangelica cura
dà fiducia e coraggio.

Fiorisce pure l’umano
nelle menti e nei cuori,
talenti nascosti
anelano agli onori,
le passioni più belle
avvicinano la terra
al chiaror delle stelle,
al volere di Chi ti ha creato,
il successo è nell’amore
e nell’essere amato.







lunedì 14 settembre 2015

CONTEMPLAZIONE

 
(…nella festa liturgica
dell’ “esaltazione della santa croce del Signore”)

Alta umanità
su palo della croce,
abisso d’incarnazione
senza più voce.
Solo dell’amore
e misericordia vertice,
riconciliazione dolce
di salvezza indice.

Su letto di dolore
o chi conosce offesa,
conserva speranza
la vita amata e difesa.
Fa serena pace,
non condanna né gogna,
né viene castigo
dal legno di vergogna.

Per grazia divina
ora nessuna infelicità,
regna chi muore
per somma carità.
Non più solitudine
nel male mio,
sull’alta umanità
ho visto il volto di Dio.

Su luogo sì aspro
di lacrime e dolore
vince la vita,
esaltato Amore
il pianto asciuga,
il buio dirada,
Madre con me,
riprendo la Sua strada.
Contemplo e attivo fo
dono tanto grande,
dal monte lassù
vera gloria s’espande.




















domenica 13 settembre 2015

OMELIA

 
24° Domenica B – 13.09.2015

- Isaia 50,5-9
- Giacomo 2,14-18
- Marco 8,27-35

Dalla teoria alla pratica. Così mi viene di chiamare questi pensieri che condivido con voi dopo aver ascoltato la Parola di Dio. Credenti quanto alla teoria, non proprio discepoli, questo è il rischio, quanto alla pratica, alla vita e alle sue scelte.

La teoria sta nel saper dare le giuste risposte a parole, nel conoscere la dottrina, diremmo noi, nel dire, sempre a parole, la verità, come fa Pietro alla domanda di Gesù. Dopo avere chiesto ai discepoli cosa pensi la gente di lui, Gesù interpella i suoi più stretti amici. “E voi, ciascuno di voi, chi dite che io sia?”. Questa domanda esige che i discepoli si chiedano se anche loro lo seguono. E’ importante sentirsi interpellati personalmente, perché non possiamo farci bastare l’opinione comune, ci vuole un proprio pensiero. E Pietro: “Tu sei il Cristo, il Messia!, sei più di un profeta, sei l’inviato di Dio, unto dal Signore per stabilire il suo regno”. Ecco proclamata la teoria. La sappiamo e la diciamo anche noi. Ora occorre passare alla pratica, cioè cosa comporta e insegna questa teoria, questa conoscenza.

E qui “casca l’asino”, si suol dire. Perché la teoria o la conoscenza che aveva e voleva Pietro, propria del suo tempo, era un Messia potente, vittorioso sui nemici, mentre Gesù cominciò a spiegare che “doveva soffrire molte cose, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere”. Bella la teoria, “tu sei l’inviato di Dio”, tragica la pratica. Pietro non ci sta e forse anche noi : credenti sì, religiosi molto di più, discepoli no! Perché è evidente che la via del Maestro sarebbe stata poi anche quella dei discepoli. Pietro si arrischia addirittura di riprendere e correggere Gesù e riceve da lui un terribile ammonimento: “Va via da me, Satana, sta la tuo posto, metti dietro di me; tu non hai pensieri di Dio, ma secondo la mentalità del mondo”.

E qui passiamo alla nostra pratica, alla vita e alle scelte di noi che ci diciamo credenti, affermiamo di conoscere la teoria. Ci aiuta nella nostra schietta verifica la parola dell’apostolo Giacomo ascoltata nella seconda lettura. Gc. 2,14-18: A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta - teoria senza pratica - Al contrario uno potrebbe dire: «Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede», cioè mi avvicinerò a conoscere davvero il Signore.

Certo non tutte le opere dicono la fede, ma le opere che hanno dentro il lievito del Vangelo, la bellezza del Vangelo. Per fare queste opere, passare dalla teoria alla pratica, è necessario, precisa Gesù, “rinnegare se stessi” che non significa, come spesso si è fatto pensare, essere sbiaditi, incolori, insignificanti, ma significa non essere ripiegati su se stessi, sulle proprie cose, sui propri interessi. Significa pensare e agire secondo Dio e non secondo il mondo, dio che è venuto a servirci amore con passione e gioia.




















mercoledì 9 settembre 2015

IL MEGLIO

 (Oasi del Divin Maestro – Camaldoli –
 07.09.2015)
 
Filtra la luce tra i rami del bosco,
il mattino accende il giorno.
Sibila il vento tra gli alti pini,
unico suono in ampio silenzio
quasi sospiro,
gemito o soffio di vita,
lieve il passo di chi è sulla via.
Nessun rumore
la montagna scuote,
la campanella lontana
delicata richiama.
M’accomodo al sole,
tepido amante,
il suo bacio sul volto,
la carezza nel cuore.

Cercando vo il meglio
da offrire chiunque,
qui e ora, sempre,
sia il suo Amore.
Il meglio di Gesù,
di me esaurito,

nel tremolio di foglie, nell’umile pietra, nel volo di farfalla…
nel passaggio di un volto, nello sguardo di un bimbo, nel pianto di una mamma…
nell’estasi di due sposi, nella fatica del papà, nella consacrazione di una giovane…
nella mano tesa del povero, in quella generosa di chi dona, nel sorriso di chi è accolto…
nella preghiera del monaco, nel mio ministero “inutile”, nella gioia di offrirlo…
nella Parola che vi lascio, nell’Eucaristia che con voi spezzo, nel perdono che chiedo e do…
……

Continua tu,
che sei…
“il meglio di Gesù!”.














A MICOL

(...nel giorno del suo Battesimo - 06.09.2015)

 
Di re figlia e sposa,
di profeta sorella,
sii donna saggia,
buona e bella.
Irrighi di vita
il nome che porti,
ruscello di grazia
sulle umane sorti.
A mamma e papà 
sorridi con brio,
tu dono d’amore,
Micol, “chi come Dio”.
Mai dispiaciuta,
la vita danza,
condividi gioia
di una santa alleanza.
Con l’augurio caro
ti sono vicini,
onorati e commossi
nonni e padrini.
Data dal cielo
è oggi grazia divina,
tutti facciam corona
alla nostra amata regina. 









OMELIA

 
23° Domenica B – 06.09.2015

- Isaia 35,4-7
- Giacomo 2,1-5
- Marco 7,31-37

Che cosa mi dice dell’amore di Dio la Parola ascoltata? E’ questa la domanda con cui ci poniamo davanti al vangelo, ad ogni brano della Scrittura. Quella successiva è comprensibile, doverosa, se prima cogliamo una possibile risposta a questo interrogativo. Cosa mi dice dell’amore di Dio questa pagina del vangelo, questo atteggiamento di Gesù? E’ quello che io cerco quando preparo per me e per voi questi pensieri. 

Gesù è di un amore che “ esce” continuamente dai confini, va oltre quello che la legge gli consentirebbe e cioè portare parole segni che dicono la misericordia di Dio in terre straniere. Nessuno è escluso dal ricevere questo annuncio. Non ci sono angoli del mondo, situazioni, persone che egli non voglia raggiungere. Questo è già un primo segno d’amore. No?

Davanti ad un povero uomo – un sordomuto – ferito, limitato, impedito nella possibilità di esprimere tutta la sua umanità, fatta di ascolto e di parole, fatta di comunicazione, Egli l’accoglie e agisce in modo singolare. Anche questo dice amore. E guardate che possiamo essere ciascuno di noi, incapaci di ascolto e maldestri nel dire.

Lo prende in disparte, lontano dalla folla. Dio ci riserva un’attenzione, una cura tutta personale. Ama me, come unico per lui. Non mi considera parte di una moltitudine, di una massa indifferenziata di individui. Si prende cura di me e sa la mia difficoltà , il mio impedimento, la mia necessità. Questo è amore!

Il gesto di Gesù è poco educato. Così ci appare. Fa parte di un rituale di guarigione bel conosciuto ai suoi tempi, e mi dice una cosa importante. Gesù non guarisce tenendo la distanza, ma tocca proprio lì dove io sono ferito nella mia umanità.
E qui noi vorremmo riconoscere il nostro handicap, si chiami, invidia, gelosia, paura, rabbia, impazienza, avidità, incapacità di dialogo, di ascolto, di parole buone…Tutte forme di chiusura all’amore! Gesù lì ci tocca. Non è un intervento generico il suo, non è un farmaco generico quello che ci dà. Ci tocca nelle nostra parte di umanità malata. Diremmo che è un amore…competente il suo!

Perché è manifestazione di quello di Dio. Infatti “guardando verso il cielo”, cioè invocando il Padre suo, “emise un sospiro”.
Il sospiro è un gemito davanti ad una situazione poco piacevole, ad una sofferenza, e Gesù non può sopportarla.
Ma è anche un atto creativo, perché sospirare, è lasciar uscire quel soffio che portiamo dentro, e nel caso di Gesù, è l’amore in grado non solo di compatire ma anche di guarire.
Viene da chiedersi come sono o di che qualità sono i nostri “sospiri” nelle vicende della vita. E se noi facciamo sospirare qualcuno è per amore?

“Effatà”, cioè “Apriti!”, è l’unica parola di Gesù. I gesti già dicono molto, basta una parola.
Aprire alla vita, alla possibilità di gustarla, all’amore alla possibilità di recepirlo e di esprimerlo, aprire alla relazione con gli altri, alla possibilità di partecipare alla costruzione di un mondo nuovo, aprire alla speranza, alla possibilità di dar fondo alle nostre capacità, risentirsi vivi, utili… “Apriti!” è un comando, ma prima ancora un’opportunità che ci è data. Questa parola oggi ci racconta, di quell’amore molto concreto promesso nella prima lettura e insegnato, esemplificato, molto concretamente dalle parole di Giacomo nella sua lettera.

Solo ora che ho intravisto quello che la Parola ascoltata mi dice dell’amore di Dio per me, posso farmi l’altra domanda: “che cosa, Signore, vuoi da me?”. Anche qui, prima il “piacere” “poi il dovere”
















sabato 5 settembre 2015

LA PAROLA

 Dedicato a chi si...parla, a chi si...ama!

"...sulla tua parola getterò le reti". (Luca 5,5)

Dolce risveglio
al mattino la tua parola,
fiducioso saluto
invia al lavoro,
sollievo il suo ricordo
nelle ore della fatica
e saluto affettuoso
si fa al ritorno,
"ben tornato, mio amore".
E poi intimo dialogo
spegne chiacchiere,
si riempiono gli occhi
di quella sussurrata,
la musica di un giorno
è canto alla sera.
Ora all'abbraccio consegna
parola che tace,
anche dire nel sonno
è amore!


Non tacere,
non lasciare a riva
la tua parola,
domani e ancora,
in alto e profondo mare,
mi getterò per ascoltarti,
e insieme sarà pescoso
il vivere quotidiano,
stupore e gioia
a nutrire fame
di chi c'ascolta,
e figli, persone care,
faranno eco nel dir loro,
impareranno grati
la lingua bella,
la parola nostra,
di famiglia e casa,
che dà unica voce
all' amore!