BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia
4° Quaresima B – 14.03.2021
2Cronache36 – Efesini 2,4-10 – Giovanni 3,14-21
“Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito”: è la luce venuta nel mondo, il giudizio, lo sguardo di misericordia che Dio ha sul mondo. Egli, infatti, “non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato”, liberato dal male, riscopra l’amore e la vera umanità dei figli di Dio.
Questa rivelazione avviene nel dialogo di Gesù con Nicodemo, nell’intimità della casa, nella notte, luogo e momento delle più care confidenze. Se domenica scorsa abbiamo letto che Gesù non si era trattenuto e non aveva avuto paura di gridare pubblicamente e mostrare il suo sdegno in favore di Dio e del tempio, dove incontrare Dio, oggi, quasi sussurra in privato, ma con luminosa chiarezza a chi nel buio cerca la verità, Nicodemo, il segreto che tutto muove: Egli è il Figlio che ci porta l’amore di Dio.
A me non preoccupa tanto, nel cammino di conversione, diventare più buono, più generoso, più paziente. Questi, e altri passi, sono conseguenza di una conoscenza che mi è data e alla quale, ecco la più profonda conversione, io voglio consegnarmi, e voglio seguire: Gesù, Figlio di Dio, “innalzato”, posto in alto sulla croce, perché, credendo in Lui, io abbia la vita.
Anche lo strano paragone che Gesù fa in quel dialogo, può aiutare questa conoscenza, e mi incoraggia ad elevare lo sguardo a Lui e a Lui affidarci. “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che Egli sia innalzato” per dare vita. Per il popolo di Israele, in cammino verso la libertà, guardare il serpente di bronzo che Mosè aveva posto in alto su di un’asta per ordine di Dio era un prendere consapevolezza del proprio peccato di infedeltà, un’umile supplica di essere guariti dai morsi velenosi e mortali di quei rettili.
Possiamo tradurlo così: tutto ciò che può essere causa di male e di morte, Gesù, il Figlio, l’ha assunto, l’ha fatto proprio. In comunione con il Padre ha accettato di essere innalzato sul palo della croce, a dire che niente, mai ci può separare dall’amore del Padre, nessun peccato, nessun male, né la morte. Ha fatto sua la condizione di chi ne era prigioniero, ed è diventato la medicina, l’antidoto a questa mortale condizione.
Non dobbiamo aver paura di guardare la nostra miseria, il nostro peccato, e confessarlo. Se alziamo gli occhi a Chi si è fatto peccato per raggiungerci, possiamo essere guariti. Non condannati, ma richiamati alla vita. Lo conferma Paolo nella seconda lettura: “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo – e pensiamo a tutti i morsi velenosi del male, che riceviamo e che facciamo – ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia – bontà esclusiva sua, senza nessun metro nostro – siete salvati”.
L’immagine del serpente ci può in qualche modo atterrire, ma quella di Gesù con le braccia aperte al Padre e al mondo sulla croce ci attrae! Ci attrae questo amore vulnerabile.
Siamo atterriti o vogliamo essere attirati? Atterriti, e incapaci ancora di lasciare le tenebre per la luce, il male per il bene? oppure attirati, grati e fiduciosi nell’amore di Dio? Non si va avanti per paura, ma solamente per attrazione. Alzando qualche volta lo sguardo al crocifisso che magari è nella nostra casa, andiamo alla Pasqua attratti dall’amore “innalzato” per noi.