BRICIOLE di PAROLA ...nell'omelia
26° Domenica A – 27.09.2020
Ezechiele 18,25-28 e Matteo 21,28-32
Gesù oggi ci provoca con la parabola dei due figli, che alla richiesta del padre di andare nella vigna, che è anche loro, rispondono: il primo no, ma poi ci va; il secondo sì, ma poi non va. Il primo figlio è indolente e pigro, il secondo è falso e ipocrita.
Nel cuore del primo, dopo il no, risuonava o gli rodeva dentro ancora l’invito del padre; nel secondo, invece, nonostante il sì, la voce del padre era forse stata sepolta. Il ricordo del padre ha ridestato il primo figlio dalla pigrizia, mentre il secondo, diventato impermeabile alla voce del padre, e della coscienza, ha smentito il dire col fare.
Gesù con questa parabola pone due strade davanti a noi. Visto che, davanti a scribi e farisei, simili nel cuore al secondo figlio, chiama le cose per nome: “In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”, possiamo scegliere se essere peccatori pentiti, che restano in ascolto del Signore e quando cadono si pentono e si rialzano, come il primo figlio; oppure peccatori ipocriti, attaccati alle apparenze, pronti a giustificarsi sempre e solo a parole secondo quello che conviene. La parola chiave è pentirsi: è il pentimento che permette di non irrigidirsi, di trasformare i no a Dio in sì, e i sì al peccato in no per amore del Signore. Ed è la parola che permette al figlio che s’era tirato indietro, invece, di fare ciò che è gradito al padre.
In questa parabola di Gesù noi vediamo qualcosa di noi stessi, a volte pigri, lenti, poco interessati, impauriti…tutte situazioni che ci frenano; a volte, purtroppo, peggio, falsi, che promettono e non mantengono. Ma conosciamo anche qualcosa del padre, autentica buona notizia, che è poi quello che induce il ribelle a ricredersi e, speriamo, il fannullone a convertirsi prima o poi.
Quel padre si “rivolge” ai figli, cioè è presente, sembra non alzare la voce; non grida, non comanda, non batte i pugni, non impone. Piuttosto invita, esorta, forse richiama a responsabilità, chiede con quella parola che non è parola di padrone, parola che sa d’amore e non di dominio. “Figlio”. E conta sui figli, sulla loro maturità, non li ricatta, accetta, persino, la risposta che danno, in silenzio. Non riprende il primo che gli dice “no” e si fida del secondo che ne tradisce la fiducia. Forse è padre debole che non sa farsi rispettare? No. E’ padre che sa amare! Il padre che è presente e che sa amare riesce a portare dalla parte del bene e della responsabilità il proprio figlio; questi non può rimanere insensibile. Lo stesso padre non mancherà di scoraggiarsi se invece gli tira il pacco.
In lui c’è qualcosa del volto di Dio, del suo sguardo su di noi, della sua voce, del suo cuore. Dio, che incassa i nostri no come soffre per i sì falsi, vive l’attesa che arriviamo al pentimento. Lo possiamo mettere alla prova, ma non riusciremo mai a deluderlo. Ci capita dirgli di no. Li accetta, appunto, confidando che prima o poi il cuore e il senso di responsabilità che ci ispira il suo amore ci aiuteranno a ricrederci, a farci partecipi protagonisti e beneficiari della vigna e dei suoi buoni frutti.
Nessun “no” ci allontana dall’ amore, dalla salvezza, che Dio vuole per i suoi figli. Egli sa che l’amore vincerà.