domenica 29 gennaio 2023

BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia 

4° Domenica A – 29/01/2023

Matteo 5,1-12

Gesù aveva cominciato a radunare attorno a sé coloro che poi sarebbero diventati i suoi discepoli e apostoli. Ha chiama Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, pescatori, per farli “pescatori di uomini” . Così il racconto di domenica scorsa. Oggi prende avvio la sua predicazione come riporta il capito 5 di Matteo, “il discorso della montagna”,  come se Gesù fosse il nuovo Mosè che detta la legge per il suo popolo.

Sorprende  che il Figlio di Dio, mandato dal padre a far conoscer il Suo amore, con queste parole conosciute come le “Beatitudini”, mostri come Egli sia venuto innanzitutto a fare l’umanità “nuova”, ad indicare quali sono i tratti dell’umanità secondo il progetto di Dio. Del resto sono i Suoi stessi tratti che addita e propone a tutti noi. Le Beatitudini sono l’umanità che non si lascia sottomettere dal male e dal peccato, pur conoscendone le ferite e le prove.

Beati e non disgraziati sono coloro che si trovano nelle situazioni segnalate dalle diverse condizioni; beati perché amati da Dio; amati perché riflettono i tratti dell’umanità vissuta da Cristo, umanità che è nel segno della debolezza, e che avrà, paradossalmente, la massima “realizzazione” sulla croce da cui verrà la vittoria sul male e sulla morte.

Questa umanità nuova ha per fondamento, anzi per radice feconda l’umiltà: “beati i poveri in spirito!”. Dall’umiltà viene l’umanità che sa piangere, sa affliggersi per il male, non è indifferente alle sofferenze, alle cattiverie, che vede attorno a sé. Vi risponde con la mitezza, con la bontà si oppone all’arroganza e alla violenza, proprio come Cristo Gesù.

E’ un’umanità che ha sete e fame di fare la volontà di Dio, che è la vera giustizia. E riconosce questa volontà nella misericordia che così diventa il suo cuore…misericordioso. Un cuore puro, limpido, che sa vedere il bene ovunque; un cuore da figli di Dio, operatori, artigiani di pace!

E’ un’umanità che sa di ricevere insulti e derisioni, di incontrare persecuzioni. E’ la sorte toccata a Gesù, e non può essere diversamente se tratti che la caratterizzano sono quelli del Maestro e Messia. E’ un’umanità che sa gioire in modo “divino” in mezzo ad ogni sorta di male, non perché già gode della ricompensa: immedesimata nel Figlio di Dio! Allora dice Dio: “Vi voglio felici!”.

Non sono i comandamenti e la loro osservanza che renderanno migliore il mondo, non sono sufficienti. I comandamenti servono da freno per non fare il male, con tutta una serie, prevalentemente, di divieti. Le beatitudini, invece, umanità nostra dilatata, pur sembrando di dover subire il male, sono per fare il bene. Se ci meravigliamo, rileggiamo 1Corinti 1,26-31, seconda lettura di oggi: “ quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti…”. Rivestiti  di questa “umanità” noi “siamo in Cristo Gesù”, e siamo felici di esserlo, perché questa è la Sua volontà: che siamo “beati!”

 

sabato 21 gennaio 2023

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

3° Domenica A – 22/01/2023

Matteo 4,12-23

Un equivoco da chiarire, un incontro da accogliere, una risposta pronta da dare. Ecco dalla Parola di oggi.

Un equivoco da chiarire, innanzitutto, davanti alla pagina ascoltata: l’idea che quanto qui viene narrato riguardi soltanto alcuni, e in special modo quelli che sono chiamati ad essere come gli apostoli, dei san Francesco o Madre Teresa, o simili che lasciano “subito” tutto, “reti, barca, padre, madre” e vanno dietro a Gesù. La bella notizia, invece, è che tutti Dio ama e chiama, secondo un progetto personalizzato.

Nella nostra esperienza sentirci chiamati per nome quando ci troviamo in una situazione difficile ci dà coraggio.  Quando ci sentiamo soli e inadeguati, vorremmo sentire pronunciare il nostro nome, desideriamo essere riconosciuti. E quella parola diventa luce, ci accende il cuore; detta con amore, percepiamo l’affetto, la fiducia di chi ce la rivolge.

Così Dio raggiunge ogni uomo nella sua “Galilea”, come a dire nella nostra confusione,  nelle situazioni di oscurità e incertezza in cui siamo.  Ed è lì che  Gesù chiama per nome… lungo questo mare, in cui possiamo sempre sprofondare, senza prendere nulla, dopo tanta fatica, tanta notte, intrappolati nelle nostre reti.

Gesù chiama ad un incontro da accogliere. Ci raggiunge nella nostra esistenza quotidiana, dove gettiamo e tiriamo le nostre reti, le nostre fatiche, le nostre speranze.  Lì ci vede, ci guarda, ci chiama. E il suo è uno sguardo non di commiserazione, “poveretti come state tribolando per niente”, ma di simpatia, di apprezzamento per il nostro lavoro, di fiducia.  A volte ci diciamo: chissà se il Signore vede, se al Signore interessa quello che sto facendo per i miei, per lui! Gesù, che viene in cerca di noi, ci dona un incontro che ci fa alzare il capo dalle nostre fatiche o ci aiuta rimanervi con gioia, realizzando le parole della prima lettura “hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia”.

Un incontro che porta ad una risposta da dare; una risposta che richiede coraggio, amore, incoscienza d’amore. Come si fa a lasciare e seguire il Signore? Quand’è, piuttosto, che uno lascia la casa, la vita di prima, le vecchie consuetudini? Quando ha trovato il suo amore! Il vero distacco non è quando si lascia, ma quando si incontra o quando si trova, o si capisce che si è trovati! Si è trovati per un  un investimento sicuro di quello che siamo. Il Signore, infatti,  non ha alcuna intenzione di distruggere quello che ha creato. A coloro che saranno i suoi  discepoli, Gesù propone di diventare ‘pescatori di uomini’, come a dire che pescatori sono e pescatori resteranno. Gesù non vuole affatto snaturarli. Propone loro di mettere a disposizione del Regno quello che già sono, affinché la loro identità abbia pienezza di vita. Dio non vuole toglierci proprio niente! Lasciandoci incontrare da Gesù si comincerà a vivere in modo nuovo la vita di sempre. E sarà la beatitudine che domenica prossima ci sorprenderà.

 

lunedì 16 gennaio 2023

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

2° Domenica A – 15.01.2023

Giovanni 1,29-34

Dapprima i pastori vanno, secondo le indicazioni dell’angelo in quella notte di Betlemme, e vedono il Bambino nato, Gesù. Poi, i magi, seguendo la stella, trovano, sempre Gesù, il Re dei Giudei. Sulle rive del Giordano, là dove il Battista battezzava nell’acqua i peccatori invitandoli a conversione, la voce del Padre si fede udire: “Questi è il Figlio mio, l’amato”. Gesù: il Bambino, il Re dei Giudei, il Figlio di Dio.

Che cosa manca ancora per definire l’identità di Colui che il padre ha mandato? “Ecco l’agnello di Dio!”. Che significa questa qualifica di Gesù! Che cosa ci rivela di lui e di Dio? Che cosa dice di noi e a noi? E per noi importante penetrare la ricchezza di questa espressione? Non ci basta essere buoni, bravi, generosi, onesti, fedeli credenti e discepoli di Gesù? Che bisogno abbiamo di complicarci la vita con parole alla cui comprensione si dedicano studiosi e teologi? Lasciamo agli studiosi questo approfondimento. E invece no.

E’ importante che noi conosciamo che il Bambino nato a Betlemme, il Re dei Giudei, il Figlio di Dio, è il nostro Salvatore, perché così era stato annunciato fin dall’inizio :è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore”. Egli è il Salvatore perché è l’ “agnello di Dio”. E qui pensiamo al sangue dell’agnello che posto sulle porte delle case degli ebrei in quella di liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, ha consentito loro di avere protezione e libertà. Gesù ha accolto la volontà del Padre di essere l’agnello che porta salvezza.  Riconoscerlo e confessarlo è fondamentale per la nostra fede. La vita di Gesù, fino alla morte, al sacrificio del Suo sangue, è per altri, è per noi. Gesù ricorda l’agnello della cena pasquale, l’agnello che viene ucciso al nostro posto, ma è anche l’agnello che viene mandato nel deserto, carico dei peccati del popolo, come gesto di abbandono là nel deserto dei nostri peccati. Egli non è soltanto un profeta, un buon uomo, un sapiente; è Colui che dà la propria vita per il mondo. Questa è la buona notizia: Dio ha mandato il Figlio che si è fatto agnello per dare salvezza al mondo. Il mondo è quella mentalità chiusa, autosufficiente, che rifiuta vita e luce, che continuamente propone una propria vita, una propria luce, che sono invece morte e tenebra.

“Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo”. Toglie il peccato del mondo dà il perdono a chi si concede al peccato, a questa mentalità; toglie il peccato del mondo sfidandone e vincendo le conseguenze di questo male: la tristezza, la paura, la rabbia, la sofferenza e  la più grande di tutte che è la morte. Se le carica se io gliele affido, se io mi affido a lui. Forse a questo punto è proprio lui che mi prega di dargli il nostro “carico”: “Dammi ciò che ti pesa!”; e mi chiede di portarlo con lui: “Seguimi”. Tutto fa con la mitezza dell’agnello, non con la violenza di una scure a cui inizialmente faceva riferimento anche il Battista, che poi si ritrova a indicarlo appunto, contraddicendosi, quale Agnello di Dio. Ora, sapere che il mio essere buono, bravo, generoso, onesto, fedele discepolo di Gesù, può contare su di Lui quando io davvero non ce la faccio più, non è affatto di poco conto. Non è di poco conto sapere, ed è quello che anch’io vi testimonio, pur non essendo Giovanni il Battista, che qualcuno ci mette persino il proprio sangue perché io non perda la speranza; qualcuno che mi battezza, mi immerge nello Spirito che è la vita, la luce, l’amore che Dio ha per me, come per il Suo Figlio prediletto. Ah, lo sono anch’io!

domenica 8 gennaio 2023

 BRICIOLE DI PAROLA...nell'omelia

Battesimo di Gesù – 08.01.2023

  Matteo 3,13-17

Dalla Parola che ora ci è stata annunciata nel narrare questo strano episodio della vita di Gesù ormai adulto, strano perché non aveva certo bisogno di essere battezzato Gesù, di compiere questo gesto di penitenza e purificazione com’era l’essere immersi nelle acque del Giordano, cogliamo alcune espressioni che ci illuminano sul significato di tale “obbedienza” che Gesù compie.

Sì, è un atto di “obbedienza” il presentarsi di Gesù sulle rive del Giordano, un atto che lo stesso Giovanni Battista, sconcertato, vuole impedirglielo. Dove sta l’obbedienza di Gesù e a cosa o meglio a chi obbedisce. Egli risponde al cugino: “Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia”.

Gesù obbedisce ad un piano di “giustizia” nel voler ricevere il Battesimo di penitenza; non lo fa per finta o per accattivarsi la simpatia di qualcuno. Il termine “giustizia” significa ciò  che Dio vuole. “Conviene che facciamo la Sua volontà”, dice Gesù. Ma che cosa questa volontà? In che cosa consiste? Cosa vuole Dio da me, da noi? Tale domanda, e la relativa risposta obbediente, costituisce il compito che Dio ha affidato a Lui, a Gesù, ma anche a noi. Conviene che adempiamo ogni giustizia, facciamo la Sua volontà.

 

Per questo si aprirono i cieli, per questo si è allargato il cuore di Dio, il cuore di un Padre; per questo si è lasciato squarciare il cuore di Figlio sulla croce; per questo è disceso lo Spirito di Dio con l’immagine della colomba su Gesù, ma anche su di noi, nel nostro battesimo: perché tutti comprendiamo che Dio ci ama in una misura tale, a noi incomprensibile, fino a farsi solidale, a mettersi in fila con noi peccatori, non per farci rigar dritti, ma per assicurarci della Sua vicinanza, della parola di misericordia e salvezza, e non giudizio e condanna; per offrirci il Suo stesso Spirito, la Sua vita di figli amati, di figli che sono la gioia del Padre; perché ognuno di noi possa sentire su di sé il Suo sguardo di compiacenza.

Questa è la missione alla quale Gesù si apre con questo gesto al Giordano: iniziare a mostrare che il peccato, quando chi lo commette lo confessa con umiltà, mostra pentimento, desidera esserne purificato, e riprende una via nuova, il peccato o meglio la condizione di peccatore, avvicina Dio a noi. Dio è santo, l’uomo peccatore: il Figlio di Dio è venuto proprio per colmare questa distanza fra l’uomo e Dio, e si realizza questo disegno del Padre attraverso la via dell’obbedienza filiale e della solidarietà con l’uomo fragile e peccatore.

Anche il profeta Isaia, nella prima lettura,  annuncia la giustizia, cioè la volontà, che il Servo di Dio, altra preziosa rivelazione di colui che  Dio ha mandato a noi perché ci ami fino a dare la propria vita, a morire per noi, per la nostra salvezza (questo è il significato del termine Servo di Dio); e annuncia che compie la sua missione nel mondo con uno stile che noi penseremo stolto e illuso nel cercare di ottenere qualche risultato: “Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta” (Isaia 42,1-7). È l’atteggiamento della mitezza, dell’umiltà, l’atteggiamento della semplicità, della bontà.

Questa missione che ci riguarda viene dal nostro Battesimo. Nella festa del Battesimo di Gesù, riscopriamolo. Come Gesù è il Figlio amato del Padre, anche noi rinati dall’acqua e dallo Spirito Santo sappiamo di essere figli amati, fratelli di tanti altri fratelli, investiti di una grande missione: testimoniare e annunziare l’amore sconfinato del Padre.

venerdì 6 gennaio 2023

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

Epifania - 06.01.2023

Matteo 2,1-12

In queste parole augurali, “…su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te”, sta l’autentica benedizione d’Epifania,  che ci conduce a Gesù, inatteso o cercato Dono del cielo.

Dopo i pastori che, sorpresi, nella notte di  Natale si sono detti “andiamo a Betlemme e vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”, ecco i magi, figura dell’umanità intera, cercare Gesù. In qualunque gruppo noi ci ritroviamo, ci accomuna tutti una cosa, e vogliamo che lo sia. Il nostro cuore, l’umanità di cui siamo fatti, è assetata di luce; e i nostri occhi, anche se dobbiamo camminare, non possono essere rivolti solamente alla terra; scrutano il cielo. Citiamo Benedetto XVI, affidato ieri al Signore con gratitudine per la sua guida. Benedetto, forte nell’annunciare la verità perché mite nella carità, scrive che i magi erano “uomini dal cuore inquieto; uomini in attesa, che non si accontentavano del loro reddito assicurato e della loro posizione sociale. Erano ricercatori di Dio”

Questa inquietudine che caratterizza un po’ tutti non è la scontentezza di chi ha già tante cose, ma è un desiderio che va oltre a quello che abbiamo o miriamo. Desiderare è guardare oltre, perché la vita non è “tutta qui”, casa, lavoro, corse, divertimenti, intelligenti studi e scoperte, è anche “altrove”. Dio ci ha fatti così: impastati di desiderio; orientati, come i magi, verso le stelle, verso di Lui, che è venuto verso di noi. La crisi della fede, la crisi nella nostra vita, nella nostra società, nelle nostre stesse famiglie, ha anche a che fare con la scomparsa del desiderio di Dio. Ha a che fare con il sonno dello spirito, con l’abitudine ad accontentarci di vivere alla giornata, senza interrogarci su che cosa Dio vuole da noi, sazi di tante cose, ma privi o comunque poveri di Dio. Ci preoccupiamo più dei bisogni, pur legittimi,  e non coltiviamo desideri profondi di verità, di bontà, di vita. E la tristezza, a volte la rabbia, regnano sovrane.

Dice Papa Francesco in una sua omelia : Andiamo a “scuola di desiderio”, andiamo dai magi.

Essi partono al sorgere della stella: ci insegnano che bisogna sempre ripartire ogni giorno, nella vita come nella fede. A Gerusalemme chiedono: chiedono dov’è il Bambino? Ci insegnano che abbiamo bisogno di ascoltare con attenzione le domande del cuore, della coscienza; perché è così che spesso parla Dio.

Ancora, i magi sfidano Erode. Ci insegnano che abbiamo bisogno di una ricerca coraggiosa, che non abbia paura di sfidare la mentalità del mondo che teme per il proprio potere. Ancora oggi, tanti Erode seminano in vario modo morte e fanno strage di poveri e di innocenti, nell’indifferenza di molti.

I magi, alla fine ritornano “per un’altra strada” , dice il racconto evangelico. Ci insegnano a cercare e a percorrere strade nuove che lo Spirito non manca di suggerire per portare il Vangelo al cuore di chi è indifferente, lontano, per dare testimonianza di “una gioia grandissima”, quella che i magi hanno provato.

Lezione cruciale: quando arrivano a destinazione “si prostrano e adorano il Bambino” Adorano. Solo se recuperiamo il gusto dell’adorazione di Dio, si rinnova il desiderio di strade nuove, di nuovo impegno.  Il desiderio porta ad incontrare Gesù e all’adorazione, e l’adorazione, a sua volta, rinnova e accresce il desiderio. Adorare, in silenzio, è desiderare! Che io ti desideri e cercandoti ti trovi e trovandoti mi metta a cercare, a desiderarti ancora di più (cfr Sant’Anselmo) 

Non temiamo le notti, i pastori ne sono stati liberati dalla loro, i magi le hanno attraversate, Come i magi, alziamo il capo, ascoltiamo il desiderio del cuore, seguiamo la stella che Dio fa splendere sopra di noi, cercatori inquieti, e dentro di noi.