25° Domenica A – 21.09.2014
- Isaia 55,6-9
- Fil 1,20-24.27
- Matteo 20,1-16
Ad
ascoltare la Parola del Signore siamo qui i più diversi tra noi, con storie e
sensibilità differenti, con atteggiamenti e difficoltà non tutti uguali, con
sentimenti e attese più varie. Ciò che ci unisce è la comune passione per vita,
ed è la passione d’amore che il Signore ha per noi e per la nostra felicità. La
parola che ascoltiamo è la stessa, identico l’amore che ce la rivolge e se c’è
una preferenza è che a quest’amore sta particolarmente a cuore chi porta una
sofferenza e una speranza nella propria storia, ma anche chi si prodiga per
alleggerire e aiutare chi è provato.
E’ una premessa che mi sembra importante davanti a questa
parabola che, come altre, magari riteniamo sia per altri ma non per noi che
siamo bravi, puntuali, generosi, e non pigri o fannulloni. Ci illumina sul
fatto che il Signore chiama tutti, non vuole che nessuno sia privo della
possibilità di essere partecipe del bene, di sentirsi responsabile in questa sua
vigna che è la vita; il Signore conta su tutti, sui più fortunati o
intraprendenti, come su coloro che hanno motivo di lamentarsi e forse un po’ indolenti.
Chiama all’alba, al mattino, verso mezzogiorno, il pomeriggio, verso
sera. Nessuno dica : il Signore non è attento alla mia situazione. Potremo
dire che il lavoro di questo padrone di casa è di andare alla ricerca di chi
può coinvolgere nella sua passione per la vita. “Cercate il Signore, mentre
si fa trovare, invocatelo mentre è vicino”, si apriva la prima lettura,
assumendo giuste disposizioni. Ma , secondo la parabola, è il Signore che ci
cerca, ci chiama, ci assume, per darci quello che è giusto.
E qui, dopo la sollecitudine del Signore che non
dimentica e non lascia fuori nessuno, ecco la grande rivelazione che non
riusciamo a capire appieno, ci scandalizza, ci fa probabilmente uscire in
lamentale e contestazioni. E’ la giustizia con cui il padrone tratta i suoi
lavoratori, la giustizia con cui il Signore si rapporta a noi, ultimi e primi.
La parabola non dà indicazioni per una contrattazione sindacale, ma rivela il
cuore di Dio. Nella risposta finale alla controversia che era sorta tra i lavoratori
della prima ora e il padrone che riaveva assunti, veniamo a sapere che “Dio
è buono” e che forse noi, se siamo tra i più fortunati, siamo invidiosi. E’
vero quando facciamo il nostro dovere e vantiamo dei meriti, ciò che ci
indispettisce non è non avere quello pattuito, ma il trattamento uguale
riservato ad altri meno meritevoli di noi. Ci dà fastidio l’uguaglianza. In
qualche modo vorremmo eccellere, star sopra, venir prima. Altrimenti è
un’ingiustizia, protestiamo.
Ma visto che la mettiamo sulla “giustizia”, quella
di Dio prima di tutto, anche se quella umana dovrebbe tenerne conto, dovremmo
imparare dalla parabola che questa è interessamento degli altri, vicinanza,
assunzione delle loro necessità, dare quanto hanno bisogno per vivere, quel “un
denaro” che permetteva a tutti di provvedere alla propria famiglia. Dio è
giusto non perché paga secondo i meriti, ma perché ci appaga con la sua bontà: “io
sono buono”. Non è detto che riusciamo ad impararla tale giustizia, ma
chiediamo per questo l’aiuto dello Spirito di Gesù. Perché se è dare secondo il
bisogno di chi ci sta davanti, è anche vero che è dare secondo la propria
bontà, la propria capacità di amore.
Vi ricordate quello che ha detto Gesù domenica
scorsa? Dio ha tanto amore amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito.
Altro che un denaro! Ebbene, per noi, tanto amore uguale tanto dono, misurato
amore uguale ben misurato dono, contrattato amore ben contrattato dono. Se
voglio essere giusto a mio modo, rischio di non essere buono. Se sono buono
come lo è il Signore, giusto è Lui, ed io con Lui, in tutte le sue vie.