domenica 27 aprile 2014

OMELIA


2° di Pasqua – 27.04.2014

- Gv 20,19-31

Sono questi i giorni della Pasqua, giorni della gioia e della festa. Ne hanno ben motivo quanti credono che Gesù è risorto, vivente in mezzo a noi. E tramite la testimonianza di questi anche coloro che ancora dubitano o non sanno di questa novità.
E’ la settimana della misericordia di Dio, che viene in modo speciale celebrata in questa seconda domenica di Pasqua che Papa Giovanni Paolo II (oggi proclamato santo con Papa Giovanni XXIII!) ha confermato durante il suo servizio alla Chiesa e all’umanità tutta.
Misericordia significa che Dio “ha un cuore per noi, poveri”, “un cuore per le miserie” che affliggono, tormentano, ci rubano la dignità, rendono infelici, tristi, impediscono la bella umanità che Dio vuole per i suoi figli. Ci fa “uscire” da molteplici miserie che ci tengono ancora prigionieri.

Nel racconto evangelico che narra la doppia visita di Gesù risorto ai suoi, del suo farsi presente in carne e ossa tra i discepoli, ciò che li tiene, e ci tiene ancora prigionieri, impediti ad esprimere l’umanità nuova di cui già cominciano ad essere portatori, non è tanto quello che hanno combinato. Stando ai racconti pasquali la prima “miseria” che ci imprigiona tutti è la paura. E il ritornello più frequente che Gesù rivolge o fa giungere ai suoi, tramite anche la testimonianza delle donne, le prime ad averlo visto risorto, è “Non abbiate paura. Non temete!”. Che si completa, ed è qui la guarigione, la liberazione, opera appunto di misericordia, con “Pace a voi!”.

L'evangelista Giovanni dice che otto giorni dopo la Risurrezione, le porte erano ancora chiuse! Eppure avevano visto il Signore fermarsi in mezzo a loro. "Ricevete lo Spirito Santo" aveva detto, alitando su di loro. Ebbene le porte erano ancora chiuse! E pensare  che avevano anche gioito al vedere il Signore.
La paura è proprio una bestia  difficile a morire. Quale la mia paura?
Per di più rende poco credibili le nostre parole e inutilmente gli amici tentano di convincere Tommaso: “Abbiamo visto il Signore”. Ci sono sempre le porte chiuse.

Di chi o di che cosa avevano paura i discepoli di Gesù? Dei Giudei, di fare la stessa fine. Avevano paura di quel clima di persecuzione, ben orchestrato dalle lobby di potere di quel tempo, che si stava instaurando nell’opinione pubblica.
E il Signore porta una parola di pace. E’ misericordia. 
E aggiunge una parola di fiducia e coraggio: “guardate che solo voi potete liberare il mondo dal male, dal peccato. Se non lo fate voi, il male resterà”. Anche questa è misericordia affidata ai suoi, affidata a noi.

Ma, a pensarci bene, i discepoli erano barricati sì per la paura dei Giudei, ma forse erano anche barricati dentro da un'altra paura; la paura per come avevano reagito, per come si erano comportati nei giorni della cattura e della crocifissione del loro maestro. Bloccati, come a noi succede, dalla delusione verso se stessi, una delusione che genera inquietudine, genera frustrazione vergogna, genera paura.
Sì c'è bisogno di pace dentro di noi, una pace che liberi anche noi, che ci faccia “uscire” - come un giorno gli apostoli- dalle paure, dalle paure che ci bloccano dentro.

"Metti la tua mano nel costato", è l’invito di Gesù a Tommaso, rivolto pure a noi, a me. L’apertura del cuore di Cristo ci dà accesso alla misericordia che fuoriesce su di noi e che noi possiamo attingere per riversarla sugli altri, perché siano vinte le nostre paure e possiamo aiutare gli altri a vincere le loro, diventando credibile credibili nel testimoniare che Gesù è risorto, vive tra noi.








venerdì 25 aprile 2014

PENSIERI


BEATI GLI OPERATORI di PACE. MISERICORDIOSI !

Siamo qui nel tradizionale appuntamento del 25 aprile, festa di S. Marco che quest’anno cede il passo liturgico ad un solenne e luminoso venerdì nell’Ottava di Pasqua, per pregare per la pace onorando defunti e vittime delle guerre. Così la bella notizia, il vangelo della pace,  che è Gesù Risorto, non teme di fare i conti con l’umanità che la pace desidera ma che non sempre riesce ad ottenerla. Eppure proprio la parola del Signore, insiste nel ricordarci che noi siamo chiamati ad essere “operatori di pace”, e che se vogliamo essere “cittadini di questo mondo”, cittadini che s’impegnano per il suo bene, non dobbiamo rinunciare a diventare “cittadini del Regno” cioè del vangelo.

La pace è dono, ma le opere della pace sono affidate a noi. C’è una fatica, una responsabilità, c’è lo sforzo comune di costruire una casa che sia dell’uomo e abitabile. E tutti gli uomini, ad li là dei loro credo religiosi, devono operare per una pace fondata sulla giustizia. Il vangelo va più in là: c’è bisogno dell’amore, della misericordia. Non ci sono alternative. E l’amore estende la pace che è la somma di tutti i beni che l’uomo, nella sua nobiltà spirituale, può desiderare (dallo star bene alla serenità nella vita, dalla prosperità all’armonia della famiglia, dal benessere economico alla riconciliazione e composizione di rancori e ingiustizie) e si oppone ad ogni forma di squilibrio sociale. Questo squilibrio che crea tensioni e risentimenti non è dato solamente dall’avidità di alcuni che non si accontentano mai e non sono disposti a rinunciare ai loro privilegi, ma anche dall’indifferenza o dall’arte di arrangiarsi o di difendersi di chi si vede messo in qualche scomodità.  A fronte di questa situazione non cediamo al pessimismo di non ha più il coraggio di sperare, e dice “tutto è inutile”; lasciamo l’inerzia di chi delega ad altri dicendo : “il problema non è nostro; è dei potenti, dei governanti”.

Nessuno deve dimenticare che la pace, nelle sue differenti espressioni, è un bene indivisibile, cioè c’è quando c’è per tutti. E’ un valore e, come tutti valori, non esiste perché noi la proclamiamo, o diciamo di volerla, o ci lamentiamo che manchi, ma c’è perché noi siamo disposti a pagarne il prezzo, che non è mai la violenza.
Ricordavamo poco fa che essa è un dono, dono di Dio, ma è anche la misura di una responsabilità, di un dovere, di un compito che noi abbiamo nei confronti  dell’umanità intera, di ogni razza, lingua, popolo e nazione. Diciamo sempre che non può esserci pace senza giustizia, e questa, nel suo significato minimo, chiede che a ciascuno sia dato il “suo”. Questo “suo” riferito ad ogni uomo è la sua dignità. Non ci sarà giustizia, non saremo uomini giusti, non ci sarà amore, non saremo operatori di pace, se non riconoscendo, non in teoria ma in pratica e con gesti concreti, che ogni uomo, non importa chi e da dove venga, ha una sua dignità e grandezza inviolabile.
L’umanità, e noi ne siamo parte, è invitata a prendere coscienza della propria unità. I problemi, le necessità, i bisogni, causa guerre, migrazioni, ricerca di possibilità di vita, sono diventati “globali”. Vediamo come si sono superate le frontiere fra i continenti e quelle che esistono, o che vogliamo anche noi mantenere tra i popoli, hanno il sapore dell’artificio, della prevaricazione, del rifiuto e della violenza. Dove c’è bisogno di solidarietà e di educazione all’integrazione rispettosa, arricchente per tutti, senza paura che ci portino via del nostro, noi non possiamo dimenticare  quella virtù che racchiude i più veri sentimenti e atteggiamenti che Gesù ci ha insegnato, è cioè la misericordia.

E’ significativo che questa nostra preghiera e riflessione avvengano nella settimana di Pasqua, la settimana della pace e della misericordia. Cristo Gesù è la nostra pace, il mediatore della pace. Potremo anzi dire che la pace ha il nome di Cristo  o Cristo ha il nome della pace. Non a caso il saluto del Risorto ai suoi è: “Pace a voi!” E questa viene dalla misericordia che Egli ancora è, cioè “ha cuore per le miserie”, le più varie che affliggono e danno tristezza ai suoi fratelli. Anche noi non possiamo essere operatori e portatori di pace se non siamo misericordiosi come Lui, che del resto non ha mancato di incoraggiarci in tal senso: “siate misericordiosi, benevoli, come il Padre vostro che fa sorgere il sole o piovere sui giusti  e sugli ingiusti”. Non ha pure mancato di ricordare che se usiamo misericordia, della stessa potremo godere: “beati i misericordiosi perché troveranno misericordia”.

Misericordia è soccorrere i nostri fratelli nelle necessità, e in tal senso facciamo opere di giustizia, riconoscendo la loro dignità, e quindi di pace. Misericordia è il perdono che doniamo, la composizione di divisioni, il porre fine a odi e risentimenti.
Di misericordia, di perdono, abbiamo bisogno noi, la nostra società, per arrivare a dire, anche se forse sarà un po’ difficile in questi anni di celebrazioni che si preparano per gli anniversari della grande guerra, che quella, come tutte le guerre, è stata, secondo l’espressione dell’allora papa Benedetto XV, un’ “inutile strage”.
Speriamo che la sensibilità della gente non ci porti ad esaltare, proprio conoscendo le immense sofferenze di tantissimi, quei tristi avvenimenti, ma ogni ricordo diventi occasione per prendere la decisione di risolvere conflitti e rispettare i diritti delle popolazioni mediante il dialogo e l’azione diplomatica. Solamente se ci si porge la mano si avvia un processo di guarigione delle ferite subite e si può interrompere il circolo vizioso della violenza.

Giustizia, amore, misericordia, perdono, sono tratti dell’umanità nuova che Gesù risorto ci partecipa con il dono del Suo Spirito. Non è solo insegnamento, ma è la vita stessa che Egli ci comunica. Non siamo degli illusi, teniamo i piedi ben per terra, ma il cuore è aperto, e la mente non rinuncia trovare le vie che ci portino sui passi di Gesù, che ci ha detto, mostrandocene il volto, “siate buoni, perfetti, com’è buono perfetto il Padre vostro che è nei cieli”.
 Il grande Vescovo Ambrogio, vissuto a Milano nei primi secoli della chiesa, quando l’impero romano ancora dettava legge ricordava ai suoi cristiani questa regola: non ricambiare il male con il male è un dovere, ricambiare il male con il bene è la perfezione. Questa è la via di Gesù.

Monteviale, 25 Aprile 2014 – Omelia S. Messa per i caduti e la pace nella società







PROFUMO

Profumo d’acacia
e di bosco,
qui pace lieta
m’è data e conosco.

Profumo a sera,
tepida l’ora,
giallo il sole
la terra indora.

Profumo di vita
al cinguettio,
perfino il grillo
sul passo mio.

Profumo di muschio
il sentiero mi prende,
umido il terreno
ove il seme attende.

Profumo il prato
libero, selvaggio,
rovi fioriti
fan bello il maggio.

Profumo il sorriso
di volto non conosciuto,
non evapora più
il bene compiuto.

Profumo di festa
incanto e danza,
oltre ogni ora ed età
la vita avanza.

Profumo d’amore
porta eccitazione,
io vivente con te,
fragranza di risurrezione.







lunedì 21 aprile 2014

OMELIA


Giorno di Pasqua – 20.04.2014

Carissimi, è gioia grande poter ricevere e condividere con voi questo annuncio: Cristo è risorto!
E’ uscito dalla tomba, è uscito dalla morte. E con lui usciamo noi, esce la nostra povera umanità.
Questa è la Buona Notizia, questo è il vangelo : Gesù è risorto, c’è la speranza per ognuno di noi, per tutti. Non siamo più sotto il dominio del male, del peccato, della morte.
Ha vinto l’amore, ha vinto la misericordia!
Questa bella notizia è per ogni cuore, per ogni casa, per  ogni famiglia. Giunga in ogni angolo del mondo, dove c’è più sofferenza, dove la morte pretende di tenere prigionieri i figli di Dio, l’umanità intera.

Come coloro che andarono al sepolcro quella mattina, le donne discepole, poi gli uomini, non ci rendiamo conto di questo evento.
Maria di Magdala, per prima, non sa ancora cosa sia successo. Davanti alla tomba vuota non sa dove l’hanno posto.
Non sanno nulla i discepoli che corrono a vedere. Nessuno sa. Neppure noi.

Ma vedono i due. Maria, invece, come scorge la pietra tolta, corre via, scappa allarmata. Non tanto per la paura di trovarsi davanti a qualcosa di sgradito, quanto per il timore che le sia stato rubato anche l’ultimo segno caro di Gesù, il suo corpo esanime.

Giovanni e Pietro, no. Entrano, vedono i teli  posti là e il sudario avvolto in  disparte.
Entrano, vedono, e credono.
Credono che Gesù è risorto. Aprono loro gli occhi questi segni che ancora richiamano a quanto di triste era accaduto, ma sono ormai lasciati, abbandonati, quasi con ordine.

Se vogliamo anche noi credere a Gesù risorto riponiamo i segni di morte che ancora tengono fasciata, immobile e inerte, legata e prigioniera la nostra vita.

“Usciamo” da questa umanità sepolta dal male, dalla morte, dalla cattiveria e peccato di cui ognuno di noi si riconosce affetto. Perché più di questo vi è in noi l’amore di Dio più forte del male e della stessa morte; l’amore di Dio che può trasformare la nostra vita, ribaltare quelle tombe in cui ci siamo cacciati e abbiamo sepolto il nostro cuore, la speranza, la fiducia nel bene e l’impegno di cercarlo. 

 “Usciamo con Gesù”: lo Spirito che ha agito in lui, ridà la vita vera, anche a noi.
Ecco che cos’è la Pasqua: è l’esodo, il passaggio, l’uscita nostra dalla schiavitù del peccato, del male alla libertà dell’amore, del bene, di un’umanità bella.

Cristo Gesù è morto e risorto una volta per sempre e per tutti, ma la forza della Risurrezione, questo passaggio alla vita, all’umanità bella, come Dio la pensava da sempre, deve attuarsi in ogni tempo, negli spazi concreti della nostra esistenza, nella nostra vita di ogni giorno. 

Accogliamo la grazia della Risurrezione di Cristo! Lasciamoci rinnovare dalla misericordia di Dio, lasciamoci amare da Gesù, lasciamo che la potenza del suo amore trasformi anche la nostra vita; e con essa l’odio in amore, la vendetta in perdono, la guerra in pace, pace per il mondo intero, fin dentro le nostre case e famiglie. Ci faccia custodi di tutti i fratelli, del creato, del mondo.

L’alba di quel primo giorno della settimana è l’alba di una nuova creazione, di una nuova umanità che apre alla gioia e che con gioia salutiamo.








OMELIA


Sabato Santo - Veglia Pasquale – 19.04.2014

Carissimi, anche noi con le donne e come le donne, Maria di Magdala e l’altra Maria, con l’amore per Gesù dentro di noi, Gesù che è la nostra vita “usciamo” davvero verso di essa. Anche se l’orario di questo nostro muoverci e ritrovarci avviene in un’ora ancora tarda e buia, la celebrazione che ci riunisce è l’ “alba del primo giorno”, non solo della settimana, ma di una nuova creazione, di una nuova umanità. Perché Gesù è risorto e la morte stata vinta. Lui l’ha vinta, anche per noi.

E’ davvero un grande terremoto nella nostra esistenza, nel nostro modo di pensare, di considerare le cose di questo mondo, e di condurre la nostra storia. Anche noi risorgiamo con Gesù, partecipiamo di questa novità che viene dall’amore del Padre che non può accettare che il Figlio prediletto rimanga nella tomba.

Vi partecipiamo perché abbiamo Gesù dentro; noi “innamorati” di Gesù, ci portiamo dentro l’amore per lui e di lui. Se il nostro “essere innamorati” si fosse affievolito, per vari motivi, fragilità, prove, abitudine, Gesù, sepolto nel nostro cuore, ci risveglia, ci rimette in cammino.

Risorti alla vita siamo noi, che non ci rassegniamo ad un’umanità senza speranza perché pensiamo di aver  perduto il bene più caro; siamo noi ancora desiderosi di cercarla; e ci è data, innamorati come siamo.

Lo siamo talmente che ci troviamo pure esposti al timore che non sia vero quello che ci è dato di incontrare, e che la nostra povera umanità sia presa in un abbaglio e delusione che recherebbero ancora più grande sofferenza e pianto.

C’è chi pretende di imporre e custodire la morte, come purtroppo succede ancor oggi, quasi continuando la guardia del sepolcro, ma chi invece cerca l’amore, cerca la vita, chi non si da pace per essa, è sollecitato a non aver paura. “Voi non abbiate paura. So che cerate Gesù il crocifisso. Non è qui. E’ risorto”. Così l’angelo del Signore rivolto alle donne; così anche a noi: sollecitati a non avere paura! Non ricacciati nel dubbio, nella tomba, nell’oscurità.

Il folgore dell’angelo è un piccolo riflesso della luminosità dell’annuncio espressa anche dalla liturgia della luce che ha aperto questa celebrazione; e la sua veste bianca, ci riporta al nostro Battesimo, che è già la nostra risurrezione . Forte è l’annuncio  che ci viene detto, è bella notizia che addirittura ci mette fretta: “presto, andate adire sia suoi discepoli: è risorto dai morti.”

Innamorati di Gesù, della vita, del vangelo, sollecitati a non aver paura, a non temere imbrogli o sconfitte, “usciamo” verso l’umanità nuova, gioiosi. “Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli”, e al mondo.

La gioia è l’ingrediente determinante dell’umanità nuova, perché Dio ci ha creati per essere felici e ora con la vittoria sulla morte, sul male, sul peccato, rifiuto dell’amore, grazie a Gesù risorto, ci è data la realizzazione di questo progetto, di questa vocazione.

E non è una gioia vuota, un pio desiderio, una sensazione vaga, no. Perché Gesù, a conferma di questo prodigio, ci viene incontro, proprio come alle donne. Ci viene incontro con una parola che realmente dà ciò che indica. “Salute a voi!”. Salvezza, pace, pienezza del cuore, dono di ogni bene e felicità. Ci viene incontro e ci fa capaci di gesti di confidenza e di tenerezza. Le donne, non più impaurite, gli si avvicinarono, lo abbracciarono, lo strinsero a sé con amore.

Questi gesti gioiosi offerti nella vita quotidiana ai fratelli diventano il più bell’annuncio che sì Gesù è risorto e che noi siamo risorti con Lui, dicono che l’umanità nuova è qui e noi ne siamo i testimoni, noi, innamorati della vita, sollecitati a non avere paura, gioiosi, noi “viventi per Dio, in Cristo Gesù”.



UMANITA' NUOVA

                   (...a Pasquetta!)


Silenzio amato
ora nel giardino,
risveglio del Figlio,
sonno di fratelli,
uscito è l’angelo.

Leggera picchia
la pioggia sulle foglie,
cinguettio minuto,
sospiri al cuore,
offre variazioni.

Tempo di pace,
annuncio inaudito,
ricrea speranza,
da fatiche e doglie,
nel cammino.

Umanità nuova,
partorita d’amore,
di luminosa calma,
tenera forza,
divina ricreazione.

Stordito il mondo,
sorpresi gli amici,
“timore e gioia grande”
nell’amata amante,
è nuova vita.

Spirito forte dolce,
Risorto fratello vivente,
ora pienezza bella
il mondo vede, gioisce,
e attende.








sabato 19 aprile 2014

PREGHIERA MEDITAZIONE


Venerdì santo – 18.04.2014

Gesù, sei venuto, sei “uscito” dal Padre, per darci il tuo corpo e il tuo sangue, con l’unico dolce comando di amarci. Ce l’hai consegnato ieri sera alla Cena, alla quale hai voluto partecipassero i tuoi discepoli, peccatori come tutti. Ora esci incontro alla croce e così ci riveli il punto più alto dell’umanità tua e nostra. Tu sei la via, la via della croce, la via dell’amore.

Hai voluto percorrere l’esistenza nostra, abbracciando noi hai abbracciato il nostro peccato, il nostro rifiuto di te, della tua amicizia, e della fraternità che ci hai insegnato, per dirci che Dio invece non ci rifiuta mai, anche quando non lo sentiamo, come è capitato a te.

Gesù, chi avrebbe mai immaginato che umanità è anche “uscire incontro alla croce”, e non fuggirla? Il male, la morte, la cattiveria, il peccato, ci aggrediscono ogni giorno, e molti soccombono alla sua violenza, al suo inganno. E tu hai scelto di abbracciare questa umanità per dare speranza nella disperazione, per dare luce nell’oscurità, per dare vita nella morte.

Il concludere l’esistenza tua terrena tra noi in questo modo è condivisione della volontà del Padre che prega te, Figlio prediletto, di amare i tuoi fratelli fino alla misura massima che gli umani possono vedere ma non capire, fino a dare per loro la vita e a loro partecipare il tuo Spirito.
La tua morte, Gesù, è obbedienza al vostro amore trinitario, e insegna a noi l’obbedienza alla vita. “Uscire incontro alla croce” è obbedienza alla vita, alle prove e responsabilità che essa ci mette davanti, alle situazioni difficili in cui ci chiesto di stare senza rabbia o disperazione, senza odio; è obbedienza all’amore che fa di ogni ferita un solco dove può scendere un seme di bene.

Gesù, sei uscito incontro alla croce, non la fuggi perché vi sei costretto e inchiodato ma perché Tu sei obbediente al Padre, al suo amore, tu sei obbediente a noi, alla nostra esistenza.
La croce di tanti fratelli è spesso inspiegabile e ingiusta; altre volte, la nostra, è frutto di scelte sbagliate, il nostro peccato, oppure ci è messa sulle spalle dalla cattiveria altrui. Aiutaci, te ne preghiamo, a farne luogo di amore, occasione di umanità che nella sconfitta invece mostra il suo volto più bello, pur sfigurato dalla sofferenza,  e rivela il cuore più grande forse proprio perché squarciato dalle ferite, dilatato alla misura di Dio. Fa’ che non siamo mai preda della paura, dello scoraggiamento, ma nemmeno della presunzione che non dà salvezza.

La tua umanità sulla croce dice la cifra smisurata dell’amore di Dio, come pure la chiamata a non rifuggire né l’umanità nostra né tanto meno quella dei fratelli ancora più feriti dalla croce di cui magari siamo anche colpevoli con il nostro egoismo. Piuttosto, Gesù, fa’ che in noi, mentre stasera ancora una volta volgiamo lo sguardo a te trafitto per i nostri peccati e sui nostri peccati, ci sia posto per il pentimento, per il dispiacere di tanto male, per il non impedire da parte nostra che esso si scagli ancora contro i più deboli, Noi chiediamo perdono a te e ai fratelli giudicati, condannati, crocifissi, dalla nostra indifferenza ed egoismo. Trafiggi il nostro cuore con lo sguardo buono che hai rivolto anche al ladrone, vi fuoriesca ogni cosa cattiva e alla fine sgorghi da noi solamente pietà e misericordia.

Gesù insegnaci ad “uscire con te incontro alla croce”, come tante persone lungo la tua via; come e con i nostri missionari rapiti che abbiamo nel cuore. Maria e il discepolo Giovanni che stanno presso la tua croce ci danno coraggio. La fede della Madre tua che si trova a ripetere il sì nel momento di massima oscurità in cui conosce lo strazio più grande, e l’amicizia delicata, coraggiosa di Giovanni mentre tutti gli altri sono fuggiti, la presenza discreta, fatta di affetto e pianto del piccolo gruppo di donne che non ti hanno mai abbandonato, sono a noi lezione per “uscire con te”, per seguirti in questa umanità che si dona fino in fondo, quale chicco di grano che caduto in terra muore e porta molto frutto.

Gesù, nel gesto che ora compiremo avvicinandoci con cuore a questo segno di te crocifisso, trasfondi in noi il tuo Spirito, come il Padre vuole per tutti i suoi figli. Quel bacio e quella carezza che ti doniamo, si prolunghino in una parola, in un gesto di perdono che portano nella nostra casa, nella nostra famiglia, tra noi, come sangue che irrora la vita, nuova umanità. Benedetto è il tuo uscire verso croce, benedetto sia il nostro passo con te, benedetta ogni caduta dalla quale tu ci rialzi. Amen.
OMELIA


Giovedì Santo –17.04.2014

“Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto (uscito) da Dio e a Dio ritornava…” in questo “passaggio” al Padre, la sua Pasqua, Gesù ci vuole con sé, ci conduce alla nostra “uscita” verso la vita preparata e annunciata dalla liberazione della schiavitù d’Egitto, come abbiamo sentito nella prima lettura.

“Fate questo in memoria di me”, una triplice consegna per questa “uscita”  che dà vita.

1° - La consegna del suo corpo e del suo sangue, della sua vita e della sua morte; la consegna di un’alleanza di Dio e con Dio che non verrà mai meno.
Il corpo e il sangue dicono l’umanità del Figlio di Dio che nutrendoci di sé ci rifà, ci libera, ci assicura che Dio ci è vicino, ci fa “uscire” da un’umanità prigioniera della paura, della disperazione, della morte e del peccato, rifiuto dell’amore.
Gesù ci ama, e quindi ci salva, con il suo corpo e il suo sangue, e così siamo chiamati ad essere pure noi “salvatori” dei fratelli con il nostro corpo e il nostro sangue; come dobbiamo tenere in gran cura il corpo e il sangue di quanti sono feriti, disprezzati, abbandonati.

2° - La consegna della Cena. Questa cura, attenzione, amore, Gesù desidera che li viviamo nella comunione fraterna, nella condivisione, sedendo alla medesima tavola, di cui la Cena è segno.  Solamente insieme possiamo essere il Corpo e il Sangue del Signore. Non ci può essere comunione con Gesù, umanità nuova o vita cristiana, se non insieme, pur con le nostre differenze, come c’erano tra i discepoli quella sera. Questa Cena chiama e promuove familiarità, fraternità, amicizia, solidarietà. E, considerata la circostanza che era ed è di festa, non può essere caratterizzata da pesantezza e tristezza, ma da gioia, anche se messa spesso alla prova, come avviene quella sera.

3° - La consegna di un gesto che svela il cuore con cui stare insieme per essere Corpo e Sangue del Signore. Gesù  che “si alza da tavola, depone le vesti, si china a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli” dice che il servizio umile agli altri, volere il loro bene, ritenerli più importanti di noi, nutrirli di attenzione delicatezza, liberarli, purificarli dalla povertà materiale, morale, spirituale, questa è la vera Cena del Signore. Gli altri, i più poveri, persino i peccatori, sono, secondo una espressione ripetuta di papa Francesco, la “carne di Gesù”!

Il gesto che la liturgia di stasera ci invita a compiere ricordando Gesù ci svela a che cosa impegna l’andare alla comunione, sederci alla mensa del Signore. Ci impegna a fare comunione con gli altri, a lavarci i piedi gli uni agli altri, servire i fratelli più poveri, imparare a farlo.

Io lo sento come lezione sapendo la fragilità e la debolezza di vario tipo che in questo tempo si manifestano sempre più anche nella mia umanità; lo sento insieme miei fratelli preti, per i quali preghiamo ricordando don Gianantonio e don Giampaolo che con la suora sono ancora prigionieri dei loro rapitori.

Ho desiderato celebrare il gesto di Gesù che lava i piedi dei discepoli invitando chi da tempo ormai dona il proprio servizio in mezzo a noi in alcune necessità della vita parrocchiale.
Desidero poi contraccambiare chi letteralmente si è sempre preso cura di me e in questi mesi e non ha temuto di lavarmi nella mia malattia.

Ma soprattutto avrei voluto lavare i piedi ai tre poveri, giovani profughi dalla loro terra e da situazioni di pericolo e di morte, ai quali l’Amministrazione comunale ha avuto il coraggio, per giustizia e umanità, di offrire ospitalità. La comunità cristiana condivide questa scelta e persone buone non mancano di dare collaborazione e aiuto. Il bene offerto e compiuto viene spesso incompreso e criticato; come Pietro che resiste e protesta davanti a Gesù non capiamo l’amore. Siamo ancora un’umanità vecchia, prigioniera della paura e dell’egoismo. Nell’invitare allora un rappresentante dell’Amministrazione comunale, idealmente è a questi fratelli che laviamo i piedi e facciamo parte con loro, anche se di altra fede, del Corpo e del Sangue di Gesù, del suo cuore, della sua umanità.


mercoledì 16 aprile 2014

OMELIA


  Quaresima A – 06.04.2014

“Usciamo” nella Quaresima che stiamo attraversando verso l’umanità nuova che Dio vuole per i suoi figli. “Usciamo” verso questa singolare terra promessa. Ci è svelata e data in Gesù. Alcuni tratti li riconosciamo anche nel vangelo che abbiamo appena ascoltato.

- Innanzitutto l’umanità nuova che viene da Gesù, vive e cresce dentro legami di amicizia, calda e leggera nello stesso tempo, come quelli che affiorano da tutto il racconto: "Il tuo amico è malato"; e ancora: "Gesù voleva molto bene a Marta e Maria"; "il nostro amico si è addormentato"; "Gesù quando la vide piangere si commosse profondamente, e si turbò... e scoppiò in pianto...."; "Vedi come lo amava".
L’umanità è fatta di sentimenti, di emozioni, di passione, e non è diversa la vita cristiana che la esprime. La fede in Dio non può abitare con l’indifferenza verso gli uomini, nostri fratelli. Saremmo privi di umanità, come i farisei apparivano anche domenica scorsa davanti al cieco che aveva ottenuto la vista, e oggi davanti alla morte di Lazzaro e al suo ritorno alla vita.

- Nell’umanità “nuova”, quella di Gesù, pianto e fede sono contemporanei. La fragilità e la debolezza di fronte alla prova, la fiducia e la fortezza della fede stanno insieme. Fede e pianto sono abbracciati. Nelle sorelle di Lazzarone pure in Gesù.
Crediamo, ma non possiamo soffocare il pianto. Piangiamo, ma ci è data la fede; pianto e fede sono insieme. Mi ha impressionato mesi fa quando Papa Francesco ha denunciato che non siamo più capaci di piangere davanti ai drammi dei nostri fratelli rifiutati, respinti, abbandonati…Il pianto non toglie la fede; è la naturale  fragilità o compartecipazione che fa appello alla vera forza e all’amore.

- Altra cosa che ci sembra impossibile: nell’umanità che ci viene da Gesù l'oggi e il futuro sono insieme. Cioè non dobbiamo aspettare per avere una vita migliore. Se abbiamo Gesù, la novità è qui, la pienezza di ogni buon desiderio, la realizzazione di ogni bella speranza è qui. La vittoria sul male sulla morte è qui se accogliamo Gesù. Dice Marta  a Gesù: "So che risusciterà nell'ultimo giorno". Gesù le risponde: "Io sono la resurrezione e la vita"".
A Marta che usa il futuro -risorgerà- Gesù risponde usando il presente: "io sono -oggi sono- la resurrezione e la vita". Certo risorgeremo, ma non rimandiamo tutto al futuro; le cose cambieranno, ma non rimandiamo tutto al futuro. La presenza di Gesù e l’affidarci a lui qui adesso riaccende la nostra vita, ci richiama dalla morte. Il comando di Gesù su Lazzaro sono illuminanti: “vieni fuori” e ancora “scioglietelo e lasciatelo andare”. Sì, Gesù ci libera e ci fa uscire verso una nuova umanità.



BRICIOLE di VITA


Vita parrocchiale – Aprile 2014



La confidenza


Come da favo
stillante dolcezza,
come da cuore
gioiosa mitezza.
pure lacrima
si riversa,
zampillo d’amore,
un nodo stringe.
E’ confidenza!
Goccia a goccia
si narra la vita;
fiorisce,
tepore di primavera,
sempre bella sì cara
l’amicizia sincera




Carissime/i,
                       occhi inumiditi i nostri e quelli suoi mentre il cuore si apriva a dir della vita, dell’amore, del dolore, delle cose belle, sogni e progetti, desideri… tesoro custodito da Colui che tutto raccoglie nel cuore Suo! Lasciava “uscire” da sé non parole su altri, non vuote chiacchiere, ma il battito interiore che muove ogni passo, il gocciolar di vita che dà rinascita, l’umanità che mette pace, il sospiro che suggerisce nostalgia e grazie!… Ancora un incontro che porta dentro di te la Pasqua, ti fa fare il “passaggio” di cui hai bisogno per sentirti vivo, per continuare ad amare quest’esistenza, dove non la chiusura, la paura, la morte, s’impongono, ma la confidenza e il coraggio rischiamo!
Non più diffidenti crediamo nell’umanità nuova che il Signore ci riconsegna, ce la narriamo con i fatti, piccoli e grandi, della nostra vita, e diventa davvero fioritura di un mondo diverso, gioioso e bello. “Usciamo” con il Crocifisso Risorto non più in difesa dei segni di morte dell’egoismo e chiusura di fronte a chi è nel bisogno, dell’apparenza e della paura di perdere, ma per mettere in bella confidenza “germogli” che, proprio perdendosi, maturano in tanti buoni frutti.
Confidenzialmente :BUONA PASQUA!

Don Francesco