lunedì 30 settembre 2019

BRICIOLE di PAROLA
...nell'omelia

26° Domenica C – 29.09.2019


Amos 6,1.4-7 – 1Timoteo 6,11-16 - Luca 16,19-31

Parole buone solo per i poveri, nel Vangelo? Possibile che non ci sia una parola buona anche per i ricchi, nel Vangelo? Io trovo in questa parabola del ricco e del povero proprio una parola davvero buona per chi se la spassa, al di là dei commenti che sono sempre stati fatti per “consolare” i poveri (avranno il paradiso!) e “spaventare” i ricchi” (“finirete all’inferno!”). Io non ci sto. Pure la sorte dei ricchi sta a cuore a Dio. Anche contraddicendo alle violente invettive del profeta Amos ascoltate dalla prima lettura.

Essere ricchi, star bene, se consideriamo come viveva quel ricco che “indossava vestiti di porpora e di lino purissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti”, ma anche non essere ricchi sfondati, avere semplicemente qualcosa messa da parte, è una bella, grande, opportunità! Una benedizione che può portare altre benedizioni, secondo le nostre possibilità. Hai tante o poche ricchezze? Hai comunque possibilità di far del bene! Hai un’opportunità unica per dire e mostrare Dio che, attraverso di te, si prende cura dei figli suoi poveri. 

In altre parole Gesù aveva detto fatevi amici con la ricchezza che rimane pericolosa. Domenica scorsa ci aveva spaventato, forse irritato, chiamando la ricchezza disonesta; “disonesta” non perché necessariamente frutto di imbrogli e furti, ma perché, dicevamo, ci ruba il cuore, ci ruba la fiducia, ci illude, ci inganna. E così l’opportunità di far del bene può svanire, essere buttata via, ed è questa la tristezza, il dramma, e infine il motivo di condanna che troviamo alla fine della parabola.

L’opportunità per il ricco è data dal “povero che stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano leccare le sue piaghe”. Sta nell’accorgersi di costui, di andare, il ricco, alla porta, di condividere il suo benessere, forse anche di far accomodare il povero presso di sé. Dalla tavola alla porta, andata e ritorno! Con il povero! Gli amici che ci garantiscono la vita, la riuscita della nostra esistenza, l’uso più intelligente dei beni che abbiamo, sono i poveri.

Un particolare della parabola ci pungola tutti: i “cani”! Erano così chiamati i pagani, i non credenti! Noi uomini religiosi e credenti, non di rado possiamo imparare da quelli che non lo sono ad accorgerci e a soccorrere chi è nella povertà, nel bisogno, a prenderci cura delle loro ferite, senza far finta di non vedere.  

Dio, nostro Padre, che ci conosce per nome poiché siamo i tuoi figli poveri che ama, non ci hai lasciato alla porta, ma in Gesù è venuto a chiamarci e ci ha fatto entrare nella sua vita, dandoci la possibilità di sfamarci di vita e d’amore. Ci aiuti a condividere ogni bene, così che il suo regno abbia qui già inizio e si compia nell’eternità.
Incoraggia l’esortazione di Paolo all’amico Timoteo: “tu, uomo di Dio,  - che vuoi essere vero credente – fuggi queste cose; tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza”.

 




lunedì 23 settembre 2019

BRICIOLE di PAROLA
...nell'omelia


25° Domenica C – 22.09.2019

Amos 8,4-7 - Luca 16,1-13

La parola buona del vangelo ci è di scandalo! Ci è di inciampo! Ed è provvidenziale e salutare se stiamo percorrendo una strada sbagliata e pericolosa. Questa strada è la strada dell’avidità, della ricchezza disonesta approfittando dei più poveri.
La strana parabola di Gesù, parabola di non facile comprensione - quando si parla di soldi, di ricchezza, di beni, anche la riflessione e il commento si fanno problematici. La parabola, comunque, non è un inno alla furbizia della corruzione, un incentivo alla disonestà. Ma, piuttosto, ad usare saggiamente delle possibilità che ci sono date, con sana scaltrezza anche dei beni, pochi o tanti che sono a nostra disposizione.  

Ricchezza disonesta. Questa non è necessariamente tale perché accumulata con l’inganno, la frode, il furto. Uno può aver lavorato sodo, essersi impegnato, aver rischiato, sudato correttamente per raggiungere quello che possiede. Nelle parole di Gesù la ricchezza è disonesta perché ti ammalia, ti fa sentire importante, e così vanità, orgoglio, autosufficienza ti catturano, ti imprigionano. Il denaro è idolo che corrompe, e tu dai il cuore al denaro. E quando al denaro dai il cuore, allora tutto è possibile, allora -come dice con la sua parola veemente il profeta pecoraio Amos contro lo stile di vita di credenti che poi ingannano e sfruttano gli altri -, allora arrivi a comprare il povero per un paio di sandali e lo giustifichi dicendo che queste sono le esigenze del mercato.

Come si esercita questa scaltrezza o saggezza? “Fatevi amici con la ricchezza disonesta”, pericolosa; vale a dire “passate ad un uso diverso di quello che possedete, del posto che occupate, delle responsabilità che avete”. Servirci del denaro sì, ma essere servi del denaro no: è idolatria. Il denaro è un idolo a cui si arriva purtroppo a dare un culto. Possiamo sì cercare un giusto benessere, se lo ricerchiamo per noi e per gli altri insieme: questa è la condizione che lo rende giusto. Ma servire il denaro, cioè dare il cuore al denaro no! Quando al denaro dai il cuore, allora tutto è possibile.  Anche venire qui chiesa, ma il nostro Dio è in banca. Lì è il nostro cuore!

C’è un unico Signore da riconoscere, da servire, da amare nella nostra esistenza, a cui dare il nostro cuore, ed è Dio; c’è un unico modo, passatemi l’espressione – ma considerata la mentalità corrente è più comprensibile -  per “comprare il paradiso”. Ed è utilizzare la nostra esistenza, le nostre possibilità o risorse, la stessa ricchezza, non come un idolo, una divinità alternativa, ma uno strumento, un’occasione di bene. A questo punto non parliamo più di “comprare”, perché ciò rimane ambiguo e odioso; si tratta di accogliere quello che Dio ha preparato per noi e che dall’eternità continua ad offrirci. E non sono saldi, sconti, ma veri doni!

Dicevo all’inizio che questa parola ci scandalizza, ci fa inciampare e rivedere se stiamo percorrendo la strada giusta della vita. Benedetto inciampo!  Allora, che fare? Farci furbi e determinati, come insegna Gesù – e ancor più lo farà con la parabola che ascolteremo domenica prossima - nelle cose che contano, tra le quali, prendendo una parola di Paolo nella seconda lettura, creare la possibilità per tutti di "trascorrere una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio".


domenica 15 settembre 2019

BRICIOLE di PAROLA
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24° Domenica  C – 15.09.2019

- Es 32,7-14  - 1Tm 1,12-17  - Lc 15,1-32

E’ una pagina del vangelo arcinota, come la misericordia che viene insegnata. Con queste tre parabole noi tocchiamo il cuore del vangelo, il cuore di Dio. E ci lasciamo toccare il cuore da Dio, di cui Gesù è venuto a svelare il volto buono di Padre. Il desiderio più grande di costui è di avere figli e non servi in casa, figli amati e non servi interessati o impauriti, figli che fanno festa con lui e non “scribi e farisei che mormorano” o trovano da ridire sulla sua bontà, perché “riceve i peccatori e mangia con loro”.

Nelle tre parabole, più che la pecora perduta o la moneta smarrita, o il figlio che se ne va sbattendo la porta, o quello che recrimina sulla debolezza del Padre,  in evidenza è il pastore, la donna, il padre di quei due figli. Tutti luoghi e manifestazioni di premura, presenze stupende di affetto.
La pecora, la moneta, il figlio… si perdono. Ma anche Dio si perde. Si perde dietro a uno solo. Dio perde la testa per uno solo. Ognuno è unico e prezioso. Chi di noi non ha mai perso al testa, il sonno, l’appetito, la serenità, per un figlio, per la persona che più ama?

“ Dio si pentì del male che aveva minacciato di fare e non lo fece” (prima lettura). Così Dio “si converte” alla fragilità dei suoi figli, dopo aver dato  loro la massima e più bella libertà: uno lo abbraccia, l’altro esce a pregarlo! Dio non sa nuocere, non sa punire. Dio che si pente…non è un “padrone”. Non è da servire, ma da amare, soprattutto accogliendo il suo amore e condividendolo con gli altri. Il suo è cuore di padre, che ama come una madre.

Non vado oltre. Vi lascio tre veloci pensieri
Primo: Non pretendiamo di passare subito alla imitazione del padre. Il passo è veramente troppo grande. Continuiamo piuttosto a stupircene e ad approfittare di tanta bontà. A forza di contemplarla e di goderla, i sentimenti e i gesti di Dio diventeranno anche i nostri.

Secondo: Dio non impone il suo amore. Lo fa con discrezione tanto che i due figli neanche se ne accorgono. Il Padre ama concedendo la libertà di non essere amato, rischiando questa possibilità. Non è che non ne soffra, ma non costringe. L’amore è tale quando accetta il rischio di essere rifiutato. L’amore più grande non è nell’abbraccio, nel gesto di perdono, ma nell’accettare di essere respinti, rispettando la libertà dell’altro.

Terzo: l’amore non si comprende dalle cose che possiamo mettere a disposizione. I due figli non lo capiscono. Si comprende dal perdono, dall’abbraccio, dalla gioia e dalla festa, dalla comunione di vita: “figlio, tu sei sempre con me”.  E ancora: “Rallegratevi con me”. Queste sono parabole della gioia, perché della misericordia!

La buona notizia di oggi è la porta che si spalanca per accoglierci; è la porta di casa, il cuore di Dio Padre, il suo abbraccio. Tutti siamo peccatori, in un modo o nell’altro. A me dà molto conforto la testimonianza di Paolo udita nella seconda lettura:  “Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ho ottenuto misericordia per essere io di esempio a tanti altri.”







martedì 3 settembre 2019

BRICIOLE di PAROLA
...nell'omelia


22° Domenica C – 01. 09.2019

- Siracide 3,17-20.28-29     - Luca 14, 1.7-14

“Sforzatevi  di entrare per la porta stretta” era l’esortazione che domenica scorsa veniva da Gesù. Non è cosa da poco, facile, immediata. Occorre ridurre il nostro largo egoismo, abbassare l’altro orgoglio, smettere di essere ingombranti con la nostra voglia di essere grandi.

La Parola di Dio oggi ci richiama all’umiltà, ad un agire che tralascia ogni egoistico interesse, non pretende, nemmeno cerca, di essere ripagato. Già nella prima lettura ci spinge a lasciare ogni prepotenza, ad operare con mitezza, atteggiamento che viene dall’umiltà davanti a Dio che ai miti rivela il suoi segreti, il suo amore, la sua saggezza.

Con la parabola degli invitati, Gesù segnala come vero posto d’onore “l’ultimo posto”. E’ paradossale! Sta a vedere che adesso mi tocca litigare nell’ambire e occupare l’ultimo posto…O per far capire a parenti e amici che non li ho dimenticati o trascurati, che il mio cuore non si ferma a loro. E’ paradossale!
Gesù è chiaro: “Va a metterti all’ultimo posto”. Come occuparlo? Non per cedere alla pigrizia, alla comodità, alla paura, al tirarci indietro e lasciare ad altri le responsabilità; non per disistima di sé; tanto meno non deve dar spazio all’invidia, al giudizio, alla rabbia, perché vediamo altri davanti a noi. Non è sufficiente nemmeno occupare l’ultimo posto per modestia, che può essere attenzione a sé, a non fare brutta figura con una falsa umiltà. L’ultimo posto va occupato solo per amore!
Si occupa l’ultimo posto per amore, cioè per fare grande, primi, degni di onore e attenzione, gli altri. La modestia o l’umiltà, da sola possono puzzare! E’ per amore, per il bene, per la gioia degli altri che li onoriamo del primo posto. Dice il vangelo: scegli sempre il bene dell’altro, allora, quando scegli sempre il bene dell’altro il Signore, che vede, penserà lui al tuo bene: “Amico, vieni più avanti”!

Ecco la bella notizia, oggi, a fronte del trovarmi o dall’ aver scelto per amore l’ultimo posto. Oggi  Gesù dice anche a me: “non hai motivo di stare indietro, non sei l’ultimo; sei il primo per me, sei unico, sei l’amico, vieni avanti…Riscopri la tua dignità, considera il valore che tu hai per me; dai, non demoralizzarti, se fossi rimasto indietro perché non ti consideri amabile. No, vieni avanti..”
Quante occasioni per abbatterci, per vergognarci, per commiserarci di noi stessi, quando non sono gli altri ad umiliarci. E Gesù mi dice: “Amico, vieni più avanti”. E’ una parola “buona” che mi fa immensamente bene.

Questa parola, io desidero imparare, sia “buona” per gli altri; questa attenzione, predilezione, amore siano per chi si trova costretto davvero all’ultimo posto nella  vita, nella società, nella chiesa, gli emarginati, i poveri, quelli che sono privi della possibilità di gustare pienamente della festa della vita.
Queste sono le persone più degne a cui cedere il posto, e noi non perderemo il nostro con loro davanti a Dio. Quindi, occupati del bene degli altri e permetterai poi a Dio di occuparsi del tuo bene e lo farà in abbondanza.
Il "posto" non è un luogo. E' il cuore!