mercoledì 30 ottobre 2019

BRICIOLE di PAROLA
...nell'omelia


Domenica 30° C – 27/10/2019

- Luca 18,9-14

Cominciamo dalla buona notizia che questa Parola appena ascoltata ci reca: “questi (il pubblicano) a differenza dell’altro (il fariseo), tornò a casa sua giustificato (gradito a Dio) perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato”. Dio non gradisce l’autoesaltazione, mentre benedice l’umiltà, atteggiamenti che possono apparire anche nella nostra preghiera. Gesù ritorna oggi a parlare della preghiera.

La preghiera non è dire le preghiere o fare tante orazioni, ma stare e porre davanti a Dio le questioni della nostra vita, la nostra persona e tutto ciò che vive, l’appassiona o la preoccupa, come Mosè che contava sull’aiuto di Dio per il suo popolo e la vedova che giustamente esigeva notizia. Era la Parola di domenica scorsa Domenica scorsa che incoraggiava la preghiera a mani alzate, quella di Mosè, e a voce alta, certamente, quella della povera donna.

Oggi con la parabola che abbiamo udito, Gesù prosegue il suo insegnamento sulla preghiera. Non basta domandarci quanto preghiamo, ma come preghiamo! Davanti a Dio si sta, oltre che con le mani alzate, anche con le mani vuote; vuote di meriti, di bravura, di referenze. Solamente così si è accolti e giustificati. Chi sta davanti a Dio “stando in piedi”, cioè con orgoglio facendo sfoggio della propria bravura, magari si compiace della propria osservanza dei precetti, si parla addosso, sproloquia, sente Dio come colui che gli è debitore ; inoltre mostra un senso di superiorità verso gli altri che giudica, perché non sono come lui. Costui, il fariseo, non trova gradimento presso Dio e se ne torna con un peccato, una cattiveria in più.

Il pubblicano, “fermatosi a distanza”, “non osava alzare gli occhi”, “si batteva il petto”, umile, aveva pochissime parole, “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Non dice altro, dice tutto! Dice la verità di chi si affida a Dio.  Il pubblicano sente posarsi su di sé lo sguardo misericordioso di Dio. Questo atteggiamento, che appunto Dio benedice, ci svela che la preghiera essenziale, che conta, che Dio gradisce e ci fa giusti, è mendicare la misericordia di Dio. Perché Dio è il Padre che abbraccia in primo luogo i figli più fallimentari.
Questa misericordia ci insegni a fare altrettanto con gli altri: dare misericordia.

Ho immaginato una bellissima conclusione della parabola, ma tutta diversa, forse quella che avrebbe sperato Dio. “Allora il fariseo, sentendo quelle parole di Dio, fu colto da un fremito e disse, prostrandosi con la faccia terra: Signore, abbi pietà anche di me, peccatore, che non so riconoscere la tua bontà e non so guardare con misericordia i fratelli che fanno più difficoltà. Poi si alzò, scese, ritornò fino al fondo del tempio, a fianco del pubblicano, a dividere il suo silenzio, la sua preghiera, e l’Amore del Padre per tutti i suoi figli”.





lunedì 21 ottobre 2019

BRICIOLE di PAROLA
...nell'omelia


29° Domenica C – 20.10.2019

- Esodo 17,8-13       - Lc 18,1-8                

Domenica scora i dieci lebbrosi, oggi una donna sola, vedova: la preghiera, la supplica, sono la ricchezza e la forza dei poveri. Dio non può non ascoltare, perché dietro ogni supplica, ogni grido, e talvolta anche dietro ad una bestemmia, c’è la povertà, la fragilità, il bisogno della creatura che Egli ama.

 “Gridare giorno e notte” verso Dio! Perché Dio vuole questo? Lui non conosce già le nostre necessità? Che senso ha “insistere” con Dio?
Lui ci ascolta e conosce tutto di noi, con amore. E’ al nostro fianco e la preghiera ci fa sentire la sua presenza, la sua misericordia, anche il suo aiuto. E, per quanto ci riguarda allarga il nostro cuore, il nostro respiro. La fede ci fa pregare e la preghiera aiuta a conservare la fede in Dio – perché c’è il pericolo che la smarriamo, e Gesù stesso sembra timoroso di questo con la domanda finale - ad affidarci a lui anche quando pesano  silenzi, ritardi, da parte sua; non si comprende la sua volontà.

“Pregare sempre”, quindi! Equivale alla necessità di respirare.
Non è semplicemente dire preghiere e orazioni, ma respirare l’amore, che è Gesù, cioè inspirarlo, accoglierlo, metterlo dentro di noi, ed espirarlo, mandarlo fuori, comunicarlo. La preghiera è il respiro della vita cristiana E’ possibile pregare sempre? E’ possibile respirare sempre? E’ auspicabile: se non si respira, non si vive. E di respirare non sempre ci si accorge, salvo quando si fa fatica, quando il respiro viene a mancare.

Che significa precisamente pregare o qual è il contenuto della preghiera?
Pregare è porre le nostre questioni davanti al Signore, tenere la nostra  vita, la nostra persona davanti a lui. E’ desiderare Dio e la sua giustizia, cioè il suo amore, di cui abbiamo bisogno per vivere. A mani alzate! Come Mosè, l’amico di Dio, come la povera donna che alza le mani e pure la voce per farsi ascoltare dal giudice. Preghiamo per dire che la nostra vita noi la mettiamo davanti a Dio perché sia vita di figli di Dio che hanno un profondo desiderio di sentirsi accolti, amati, aiutati, sostenuti, liberi e felici.

E’ possibile pregare senza stancarsi mai? Senza abbandonare la lotta, senza disertare.  La stanchezza ha tanti motivi:  dalla mancanza di allenamento e la presunzione delle nostre forze, l’impazienza, lo scoraggiamento, la constatazione di non essere esauditi secondo i desideri, le vicissitudini della vita, l'impressione è che Dio temporeggi, ritardi un po’ troppo.

La perseveranza, il non mollare, è nel fidarci di Dio che ai suoi eletti, cioè a coloro che ama e perché li ama, risponderà prontamente, cioè al momento giusto. Dio è Padre buono! Ancora una volta Gesù ci rivela il Padre a cui consegnare la vita nostra con fiducia. Fiducia che non viene mai meno, perché, con l’amore, questa è la buona notizia di oggi che ci incoraggia a pregare, a gridare giorno e notte: l’insonnia di Dio!




lunedì 14 ottobre 2019

BRICIOLE di PAROLA
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28° Domenica C – 13.10.2019

- 2 Re 5,14-17 2 - Lc 17,11-19

Domenica scorsa era la domanda dei discepoli a Gesù: aumenta la nostra fede. Ma quale fede?
Quello che avviene nel gruppo dei dieci lebbrosi induce pensare che c’è una fede che guarisce e c’è quella che …salva. A noi basta la prima, che è buona, ma non basta, e quella per cui Gesù è venuto.

La fede che guarisce, che cerca guarigione, che ci mette o ci fa sentire a posto, è quella che si ferma all’osservanza di leggi, norme, prescrizioni, precetti, nel rispetto di quanto è scritto.  Anche Gesù si attiene ad una prescrizione della legge di Mosè ricordandola a quei poveri ammalati che gli gridano :“Gesù maestro, abbi pietà di noi”.. E lui ordina: “andate a presentarvi ai sacerdoti”.  No, non è malvagia questa fede. Osservando questa norma (“mentre andavano furono purificati”) ebbero la guarigione fisica, necessaria per prendere parte al culto nel tempio e alla vita sociale.

“Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo”. Questa è la fede di chi si sente toccato dall’amore. Viene dallo stupore e dalla gratitudine. Infatti “torna indietro lodando Dio a gran voce”. Saper ringraziare, saper lodare per quanto il Signore fa per noi ci dà salvezza, ci aiuta riconoscere che lui è il nostro Dio.

Quello che fa pensare è che la fede che guarisce, “interessata”, è propria dei “praticanti” che osservano le prescrizioni, mentre la fede che salva, quella che dà gloria Dio e riconosce il suo amore, la vediamo in uno straniero, un samaritano, in un pagano, come nell’episodio narrato nella prima lettura dove Naamàn il Siro, liberato dalla lebbra ammette che non c’è altro Dio se non in Israele.
Per accedere a questa fede ci vuole umiltà come questo comandante che si lascia guidare da una povera schiava e obbedisce all’uomo di Dio che gli indica di immergersi nell’acqua. Come può Dio chiedere cose tanto banali? Accanto all’umiltà, ulteriore espressione di questa è saper dire grazie. “Un cristiano che non sa ringraziare è uno che ha dimenticato la lingua di Dio”(Papa Francesco)
Ringraziare è quanto ha fatto colui che è tornato a rendere gloria a Dio, e ha riconosciuto che il vero tempio in cui s’incontra Dio,  - poiché li aveva mandati al tempio quegli infelici - lo si adora, lo si prega, lo si ama, è Gesù stesso, altro che le norme ,i riti, i sacrifici al tempio di Gerusalemme. La vita è lì in Gesù, lì c’è la salvezza, la pienezza della vita, il suo senso, la sua realizzazione vera. Credere, sapere che da Dio siamo amati e liberati dal peccato, male, lebbra che deturpa la nostra umanità.

Che ne viene a Gesù di “dannarsi l’anima”, diciamo noi, perché gli uomini conoscano questo amore? Ben poco, guardando alla conclusione di questo beneficio recato ad un gruppo di disperati, è il caso di dire: ha dato dieci e ha avuto il ritorno di uno. Niente male come percentuale del bene fatto. Un bella lezione per noi!




lunedì 7 ottobre 2019

BRICIOLE di PAROLA
...nell'omelia


27° Domenica 06.10.2019
Abacuc 1,2-3 – Luca 17,5-10
Due preghiere, assai familiari, ci toccano

“Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti?” (Ab 1,2).
Questo umanissimo, legittimo, lamento, questa comprensibile recriminazione davanti ai ritardi e al silenzio di Dio, in verità, ci apre alla fede.

Osiamo, pure, con umiltà nei confronti di Dio, e saremo da lui sorpresi. Egli spesso prepara e agisce in silenzio. Non ci risolve le situazioni difficili in modo brusco, attende la nostra umiltà, la nostra richiesta, il nostro grido, ma è già pronto il suo aiuto. E la fede ce la offre! Invita ad attendere con pazienza, senza mai perdere la speranza.

Se Dio non asseconda i miei desideri, che magari vorrebbero cambiare il mondo, è perché mira a guarire il cuore, il mio, il tuo, il cuore di ciascuno; mira ad aprirlo a Lui. Dio cambia il mondo cambiando i nostri cuori. Egli conta sulla nostra conversione. E così la nostra fede vince il mondo.

L’altra preghiera: “accresci in noi la fede”, va a dire: “Signore, conta su di noi”. Una preghiera da fare ogni giorno. Noi chiediamo la fede, e Gesù risponde come se l’avessimo già. “Se voi aveste fede quanto una granello di senape…”. E’ cosa piccolissima, di una potenza enorme.

E’ un dono o dobbiamo chiederla e coltivarla? Non è una forza magica che scende dal cielo, una “dote” che si riceve una volta per sempre, nemmeno un super potere che serve a risolvere i problemi della vita. Sarebbe egoistica, tutta centrata sui nostri bisogni e non sulla benevolenza di Dio.
Ma, insomma,  la fede, sono io che la chiedo (accresci la mia fede, perché non ne posso più) o è Lui che me la offre (se ce l’hai puoi vedere miracoli)?

Rispondo con un esempio, da un fatto che mi è capitato.
Un giorno, arrivo in una famiglia. M’investe profumo di torta, sulla tavola. Io sono stanco, sfinito. Devo ritrovare forze. E oso, mi prendo la confidenza: “Ne mangio volentieri una fetta, se la tagliate”. Non mi ero accorto che era pronta. La risposta accogliente di chi l’aveva da poco sfornata, quasi presagendo il mio arrivo: “E’ già tagliata per lei, se la mangia!”. Risposta bellissima, oltre che buonissima quella torta!
Così è della fede. Prima che io la chieda, è pronta, mi è offerta. Ma è importante che io la chieda.

Signore, sono stanco, non ne posso più, fino a quando questa fatica? Signore, se accresci la mia fede, - se me ne dai una fetta - vado avanti!
Risposta: “La fede? Il mio aiuto? Qui ti è offerta. Tutta la torta  che vuoi. Approfittane e avrai forza!