martedì 30 ottobre 2018

BRICIOLE di PAROLA
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Solennità di TUTTI I SANTI – 01.11.2018

1 e 2 Novembre. I Santi e i nostri defunti ricordati quasi in un'unica celebrazione.
Che siano gli stessi?
Io, conoscendo il bene che mi hanno voluto e compiuto i miei cari, la fede che mi hanno trasmesso, le prove portate con forza e speranza nel corso delle loro esistenza, non faccio fatica a pensarlo: che, sì, sono gli stessi! O tutt’al più, i miei, i nostri cari, possono stare tra i Santi, quelli titolati che onoriamo sui nostri altari (a volte anche portando via il posto a Dio!), sono “i santi della porta accanto” (GE 7), come li chiama Papa Francesco. Sono coloro della cui bontà ci siamo magari accorti quando non c’erano più.

Santi, quelli titolati, e i nostri morti, un’unica grande comunione di affetti, gratitudine e ammirazione che ci portano a lodare Dio per il bene che hanno fatto, sono un’unica bella testimonianza che incoraggia anche il nostro cammino, “ognuno per la sua via” (GE 10) precisa Papa Francesco; i Santi ci spronano a non fermarci lungo la strada, ci stimolano a continuare a camminare verso la meta”. (GE 3)poiché tutti siamo chiamati alla santità.

E’ la prima bella notizia, molto più che un augurio, da accogliere in questa, che possiamo considerare, “festa della famiglia dei figli di Dio”. Poiché tali siamo, come ce lo ricorda Giovanni nella sua lettera (1,Gv3,1-3). Fin dal nostro battesimo, anche se Dio ci ha amato, pensato e voluto dall’eternità, lungo la via propria di ognuno, eppure insieme, siamo chiamati alla santità. Insieme ci sosteniamo, ci incoraggiamo, ci aiutiamo, ci portiamo. Papa Francesco ha una bella espressione: “il santo è la persona, il vicino, il parente, l’amico, colui che ti porta in spalla”. In questa chiamata ci è offerta la vera vita, la felicità, per la quale siamo stati creati, (GE 1), la beatitudine.

Cos’è santità? E’ Cristo che ama in me… «è Cristo che ama in noi, perché «la santità non è altro che la carità pienamente vissuta» e «la misura della santità è data dalla statura che Cristo raggiunge in noi…» (GE 21). La carità di Gesù vissuta “mediante piccoli gesti” (GE 16) come di fronte “sfide più grandi”(GE 17) dell’esistenza.
Santità non è perfezione, poiché rimaniamo con i nostri liti, commettiamo errori, persino esperienze di peccato dalle quali ci salva la misericordia di Dio, nella Chiesa santa composta da peccatori (cfr GE 15). Santità è un volto, è un cuore, è la carne di Gesù in noi! Santità è Gesù! Ci fa più vivi, più umani, e tale rende pure il mondo (cfr GE 32-34) immettendovi il Regno di Dio, poiché ogni santo è missione (cfr GE 19) e diffonde la vita che Dio vuole per i suoi figli, vita che ci fa “beati”. “Beati”, cioè amati in ogni situazione e amanti in ogni situazione!

“Beato” è Gesù, e nella misura propria di ognuno in cui ci identifichiamo con Lui (cfr GE 25) anche a noi appartiene la beatitudine, la gioia, la felicità che Dio Padre offre a tutti i suoi figli (cfr GE 1).

NB. Cfr “Gaudete et exultate” – Esortazione apostolica di Papa Francesco sulla santità nel mondo contemporaneo (19.03.2018).

domenica 28 ottobre 2018

BRICIOLE di PAROLA
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30° Domenica B – 28.10.2018

- Geremia 31,7-9    - Ebrei 5,1-6       - Marco 10,46-52

“Che cosa vuoi che io faccia per te?”. Mi commuove questa attenzione di Gesù. La sento rivolta anche a me, come al povero cieco di cui non può ignorare il grido nonostante coloro che gli sono attorno vogliano zittire questo infelice. “Cosa vuoi che io faccia per te?”.

Gesù non fa orecchie da mercante, non tralascia le richieste di chi incontra, le necessità che vede o che sente. Gesù non può tirare diritto, il suo cuore, cuore di compassione glielo impedisce. Domenica scorsa aveva mostrato la medesima disponibilità anche ai due che avevano osato un richiesta impertinente: “Cosa volete che io faccia per voi?”. E quelli: “Vogliamo sedere uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nella tua gloria”. Che differenza con la supplica di questo povero! Gesù è così buono che con lui possiamo osare domande infantili, richieste che rasentano l’osceno, esigenze banali, ma anche domande profonde, necessità legittime,  come quella del povero cieco. “Figlio di Davide, abbi pietà di me… Maestro che io veda di nuovo”.

Gesù che non è mai infastidito dalla mia immaturità, quando le richieste sono infantili, o disturbato dalla mia necessità di vita, dalla mia condizione di mendicante di vita.
“Cosa vuoi che io faccia per te”, chiede a me in questo momento,  a te, a ciascuno di noi. Cosa gli rispondo? Sappiamo cosa rispondergli?

Non è mica facile, perché appena mi accingo a farlo non so più  a cosa dare priorità: la salute, la pace, il lavoro, la famiglia, la serenità… prima questo dopo l’altro, no, tutto… Insomma se Gesù mi chiede “cosa vuoi che io faccia per te?”, va a finire che vado il tilt e mi perdo l’occasione.

“Maestro, fa’ che io veda di nuovo!”. E cioè: “Maestro mio, dammi uno sguardo nuovo sulla vita; che io possa vedere in modo nuovo la mia vita, quello che succede, il volto dei miei cari, le persone che incontro, la realtà in cui sono…”. E ancor di più:  “Maestro, che io veda te,  e allora vedrò ogni cosa in modo nuovo, fino a seguirti”.

Questo è possibile perché Gesù è il Figlio di Davide, l’inviato di Dio, alla fine il Figlio di Dio, venuto a realizzare la promessa di Dio di cui parlano le immagini della prima lettura: il cieco, lo zoppo, la donna incinta, la partoriente, tutti coloro che hanno motivo di afflizione, io li riporterò tra le consolazioni, li ricondurrò per una strada dritta, perché io sono un padre per il mio popolo.

Egli è la promessa fatta carne. Riporta la lettera agli Ebrei: Egli è il sommo sacerdote scelto tra gli uomini nelle cose che riguardano Dio. E quali sono questo cose di Dio? Sono i suoi figli, che non sono cose, e che gli sono ben cari. Allora Gesù è in grado di sentire giusta compassione.

Hanno il suono della speranza anche per ciascuno di noi le tre brevi parole che i suoi amici, loro sì scocciati, ma non certo Gesù, sono costretti a rivolgere al pover’uomo: “Coraggio. Alzati. Ti chiama”.





domenica 21 ottobre 2018

BRICIOLE di PAROLA
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29° Domenica B – 21.10.2018

- Isaia 53,10-11 - Marco 10,35-45

E dopo i soldi, a frenare o a danneggiare il cammino dietro a Gesù, ecco l’ambizione del potere dei primi posti, il voler essere sopra gli altri. Così, il tale che, secondo il vangelo di Domenica scorsa, non ha avuto il coraggio di seguire Gesù mollando tutti suoi beni, trova degni compari in questi discepoli del Signore che ambiscono una sedia importante.
I suoi amici sono in lizza per ottenere il posto accanto a lui nella sua gloria, sorge una discussione su chi tra loro sia il più importante. Giacomo e Giovanni, forse forti dall’essere cugini di Gesù, gli chiedono di avere i primi posti. «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».

Ah, l’attrazione che esercita la sedia che conta e il suo potere “incollante”. “Guardatevi bene da queste cose”, dirà Gesù, a quelli che lo seguono, perché “fra voi non è così”, e non deve essere così, come “ i governanti e i capi  delle nazioni” che dominano e opprimono.

 Cosa volete che io faccia per voi?”.
Se avesse chiesto a noi, chissà che cosa avremmo risposto!
Con un po’ di pudore non quello che hanno domandato Giacomo e Giovanni, ma insomma: un po’ di salute, la tranquillità, la serenità, la protezione da ogni male, anche un buon successo nelle nostre cose, qualche soddisfazione nella vita…tutte cose legittime e buone…Egli ci ascolta!

Possiamo però immaginare lo sguardo di Gesù che si fa severo davanti a pensieri, desideri, richieste e comportamenti che non sono secondo il suo stile. Ma “buona parola”, vangelo, è anche un sguardo che richiama, una parola che, paziente, aiuta a riflettere, suggerisce una correzione del proprio modo di vedere le cose e di agire.

Gesù risponde pure con ironia. Anche questo è pur sempre uno sguardo d’amore, delicato, forse pure li scusa, quei due. “Voi non sapete quello che chiedete”.  Come a dire: prima di parlare, occorre pensare.
E poi li istruisce: “potete voi bere il mio calice, essere immersi, partecipi totalmente nella mia missione, che non è piacevole?”. Uno sguardo e una parola che fanno riflettere. Ecco dove sta un altro pezzetto di vangelo.

“Bere il calice” o “ricevere il battesimo”, significa “siete disposti ad addossarvi l’iniquità di molti”, per usare l’espressione che troviamo nella prima lettura a proposito dell’inviato di Dio; siete pronti a farvi carico della cattiveria del mondo?  ad immergervi tra i peccatori (battesimo vuol dire immersione) sino a portare le conseguenze del peccato e del male senza averlo compiuto? E tutto questo per manifestare quello che fa Dio, la sua vicinanza, il suo amore, la sua misericordia, a tutti coloro che sono provati dalla grande infermità che è il peccato. Questo fa grande il servizio di Gesù che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”. Ecco la grandezza a cui anche noi tendere!

Ognuno nella propria storia e casa, conosce che cosa richieda questo servire e offrire se stessi per gli altri, questo farsi carico delle loro debolezze, portare insieme i peccati gli uni degli altri, condividere il calice della volontà di Dio che è amare. 
Tutto con Gesù, e sull’esempio di Gesù, a nostre spese!



lunedì 15 ottobre 2018

BRICIOLE di PAROLA
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28° Domenica B – 14.10.2018

- Marco 10,17-30

Tutti portiamo dentro di noi un desiderio: avere più vita, e non solo di quantità, ma di qualità. E per questo siamo ammiratori di Gesù, “Maestro buono”
La “bella notizia”, la bella risposta al mio desiderio, che può aiutarmi a fare un salto di qualità, a prendere magari una nuova direzione, a muovere un passo deciso, è nello sguardo di Gesù: “Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò”. Così egli accoglie quel tale che gli si è inginocchiato davanti.

Egli ci tiene gli occhi addosso da innamorato. E vede tutte le nostre potenzialità di bene non ancora espresse che attendono di essere attuate. Finché non avvertiamo questo sguardo, non cogliamo questo amore, sarà tutto incompleto. Io sarò forse perfetto nell’osservanza dei precetti, ma incompleto. Non si tratta di “fare” qualcosa di più di quello che già faccio, ma di aprire gli occhi su questo amore, su questa simpatia, che Gesù nutre per me, sentire e cedere al suo sguardo su di me.

Da questo sguardo viene la chiamata anche a compiere un passo impossibile agli uomini ma non a Dio, dirà Gesù commentando l’esito, peraltro triste, di quel dialogo. Il Signore guarda e chiama amando: l’amore in uno sguardo! Pure noi, se vogliamo aiutare qualcuno, un figlio, una figlia, un amico, a fare un passo nuovo non c’è che uno sguardo d’amore, più che d’autorità o comando, o minaccia.

La ricchezza, purtroppo, come anche altri amori, possono sopraffare questo sguardo suo d’ amore, e impedire una progressione nel pur buona vita cristiana. Ma Gesù, proprio per il bene che ci vuole non demorde, anzi osa una proposta radicale: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni, seguimi!”. Insegna a quel tale a fare il miglior investimento della propria vita. Ma questi si spaventa, si rattrista per quelle tre parole, va da un’altra parte. Non capisce che la felicità dipende non dal possesso ma dal dono. Quanti di noi cristiani siamo come lui, onesti o perfetti ed infelici! Osservano tutti i comandamenti, ma non hanno la gioia!

Per accogliere la proposta di Gesù che vede il nostro desiderio di vita, abbiamo bisogno della sapienza, il discernimento. Lo riconosce il credente nella prima lettura ascoltata oggi: “Pregai e mi fu elargita la prudenza, implorai e venne in me lo spirito di sapienza”, cioè la capacità di scegliere il bene. Perché, dobbiamo saperlo, “tutto è possibile a Dio”. Lo conferma Gesù a chi è spaventato e scoraggiato.

Che giunga il giorno in cui dire con gioia: Seguirti, Signore, è stato il migliore affare della mia vita!




domenica 7 ottobre 2018

BRICIOLE di PAROLA
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(versione lunga)

27 Domenica B – 07.10.2018
- Genesi 2,18-24 - Marco 10,2-12
Dalle parole di Gesù, severe nella loro chiarezza, poco comprensibili alla mentalità odierna, può oggi venire una “buona notizia”, un autentico vangelo? Certamente!
Esse dicono e difendono la grandezza e la bellezza insite in un uomo e una donna uniti in matrimonio secondo il pensiero di Dio. Quel legame d’amore è l’immagine più viva, concreta, pienamente umana di Dio stesso; è Dio stesso che s’incarna nuovamente e si manifesta nell’amore di un uomo e di una donna che formano una famiglia in un rapporto indissolubile, fedele, aperto alla vita e a suo servizio. Dio l’ha scelto il matrimonio come segno visibile, come luogo di comunicazione del suo amore.
Due sposi, nell’amore confermato dal sacramento del matrimonio, si regalano Dio l’uno all’altra; svelano e realizzano il suo progetto per la loro felicità. Fin dall’inizio Dio dice: “non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda”. Stare di fronte l’uno all’altra, e non girarsi le spalle, o combattersi, per accogliersi e favorirsi reciprocamente nelle responsabilità della famiglia.
Nell’abbraccio di due sposi c’è Dio. Se io non avessi l’esperienza singolare dell’Eucaristia, potrei anche essere invidioso. Questo mistero è grande e io m’inchino ad esso, e dagli sposi mi onoro di imparare l’amore.

Alla luce di questa rivelazione, possiamo meglio comprendere come Dio possa essere “geloso” dell’amore suo che consegna con fiducia ad un uomo e ad una donna nel matrimonio, e voglia difenderlo. Gesù è venuto a confermare questo amore, a benedirlo, a risanarlo, quando, messo nel cuore umano, conosce incrinature o si spezza.
Spesso la nostra vita non coincide la Parola di Dio che abbiamo ascoltato. 
Dove sta allora la buona notizia, oltre la grandezza e la bellezza del matrimonio? Sta nel fatto che con Gesù è finita “la durezza del cuore” che ci allontana dal progetto di Dio; con Lui non possiamo più dire “io ti ripudio”, “me ne prendo un altro, un’altra”.

Il matrimonio nell’amore che il Signore consacra è un “cristallo prezioso”; è fragile, perché fatto anche della debolezza della creatura, ma bellissimo e sa emettere un suono dolce se accarezzato o delicatamente percorso; bellissimo nel riflettere la luce in tutti i suoi colori quando viene attraversato da una fonte luminosa, anche da una prova. Il matrimonio? E’ realtà di tutti i colori! E’ bellissimo, nel sua trasparenza lascia intravedere il mistero da cui viene e a cui porta: Dio.
Ancora la bella notizia: Gesù è venuto non per giudicare o condannare chi vede infrangersi questo cristallo prezioso, ma per incoraggiare e sostenere; è venuto per ridargli brillantezza. E’ venuto perché chiunque vive e soffre questa fragilità sappia di essere amato/amata.
Chi ha visto il proprio matrimonio andare in frantumi, chi patisce questa sconfitta o in qualche modo vi ha contribuito con la propria fragilità, sappia che l’amore di Dio è tale che non si ritrae mai da nessuno, da quei frammenti; non li abbandona, non li getta vita. Egli li ha cari ancor di più e riserva loro un posto, una valorizzazione, una nuova vocazione che solo il Suo amore ricco di misericordia, non frantumato dai nostri fallimenti o peccati, sa trovare.

Dio dice: “Non sentirti condannato o condannata se non riesci a vivere nell’amore che ti ho donato. Affidati a me. Ti darò capacità d’amare nella fedeltà. Quello che non sei capace di fare tu, da solo, da sola, lo faccio io per te e con te, per voi e con voi”.




martedì 2 ottobre 2018

BRICIOLE di PAROLA
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26° Domenica B – 30.09.2018

- Marco 9,38-48
Gesù istruisce i suoi discepoli che mostrano di non comprendere la sua via. Che non ci sia comprensione lo si coglie dal lamento di Giovanni, uno dei più vicini a Gesù: “Abbiamo visto uno fare del bene nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva, non era dei nostri”.
E qui Gesù ci dice la prima buona parola: ci mette in guardia dall’ invidia, il peccato dei buoni, o di quelli che si ritengono tali, spesso intolleranti. Il tarlo dei buoni, dei fedeli, anche dei zelanti operatori del vangelo è nell’ invidia, nella gelosia, nel ritenersi esclusivi detentori del bene. 
Gesù, invece, riconosce, e chiede ai discepoli di fare altrettanto, il bene che possono fare anche coloro che non sono dei suoi; il bene che anche da costoro può essere fatto “in suo nome”, cioè con il suo amore, con un amore simile al suo.

La seconda parola buona di Gesù è nell’ apprezzare ed esortare a gesti semplici, “un bicchiere d’acqua nel mio nome”. Non è necessario trovare cose eclatanti, o campare scuse perché non sono capace o non ne ho occasione, basta poco con tanto amore che si manifesta nel riconoscere e soccorrere quelli che sono di Cristo, cioè i poveri. In un bicchiere d’acqua ci può essere un oceano d’amore, il vangelo.
La terza parola, buona, ci appare esagerata. Ma è un richiamo all’ onestà. Vuoi un mondo dove non ci siano furti, ruberie? Comincia dalla “tua” mano, non pensare che siano e sempre solo gli altri a rubare, “tagliala”, smetti di fare la tua parte. Vuoi un mondo dove non ci sia violenza, non si percorrano vie di odio e di sangue? Comincia dal “tuo” piede, mettiti sulla via del vangelo e non percorrere e non condurre altrui per strade sbagliate, “taglia il tuo piede” o cambia direzione. Vuoi un mondo più limpido, senza inganni, dove si abbia vista solamente per il bene? Comincia dal “tuo” occhio, che non sia avido, sospettoso, fermo soltanto sulle cose che non funzionano, giudice dai giudizi perversi, “gettalo via”, cambia sguardo e sia misericordioso, buono.
Il vangelo non ci vuole monchi, zoppi o “guerci”, con un occhio solo. Meglio due mani per abbracciare, per dare di più; meglio due piedi per camminare più decisi, svelti e spediti, e sostenere chi è incerto e cade; meglio due occhi per vedere tutte le meraviglie di Dio, per vedere il bene e i bisogni degli altri. 
Meglio, soprattutto, un cuore, non attaccato alle cose e inquinato dall’ avidità per le varie ricchezze, un cuore che pulsa come quello di Gesù, ama come Dio ama.