lunedì 25 settembre 2017

BRICIOLE di PAROLA

 …dall’omelia del 24.09.2017

Matteo 20,1-16

In terra di viti e di vigneti la parabola di Gesù ci consente di “vendemmiare” buone parole, come acini che spremuti già tra le labbra, ci fanno pregustare il vino buono della vita. Tre belle e buone parole: 

1° - La vigna, innanzitutto. Nella Bibbia veniva chiamato così e si riconosceva così il popolo che Dio aveva scelto, custodiva, proteggeva, coltivava con amore. Mi piace allargare l’immagine della vigna alla vita. Non semplicemente è un cantiere la vita, dove si fatica, non un’ officina dove si assemblano dei pezzi, neppure soltanto un campo di grano, dove si suda sotto il sole, non … un campo di patate dove si procede ricurvi… Ma perché la vigna?
“Sotto i filari dell’uva” si va con gioia, con allegria, con amicizia, ci si dà aiuto, contenti che si va a raccogliere il succo dolce, sarà il vino che inebria, che, preso in giusta dose, esalta… Ricevere l’annuncio che la vita è come una vigna, che va pur coltivata e protetta, lavorata, è proprio una bella parola.

2° - Il padrone in… uscita! il Signore scende in piazza e ci incontra. Ci chiama a lavorare non perché ne ha bisogno, ma per farci partecipi della vita stessa, per darci di che vivere. Egli sa il nostro bisogno della vigna, bisogno della vita, bisogno di pane sì, ma anche di amore, di affetto, di amicizia, di giustizia, di pace, di senso. Il padrone della vigna, qui immagine del Padre che Gesù è venuto a rivelare, vuole che a nessuno manchi il necessario e la festa che dà la vita. Non è il suo bisogno che lo muove, ma il nostro.

  - La terza bella parola … “fa grado” direbbero gli enologi dell’uva. Dio è uno che non paga, Dio regala! Se dovesse pagarci, staremmo freschi. Dio non conta i meriti, - o le ore -  ma fa i regali. Allora non è giusto? Di più: è buono, è generoso. E’ questa la giustizia che libera dal male, dalla tristezza, dall’infelicità. In Dio non c’è giustizia distributiva, ma “affettiva” che è di altra e alta qualità: dare a ciascuno ciò di cui ha bisogno per vivere! E’ il Padre che vuole donare a tutti la possibilità di vivere, di essere contenti, di conoscere il suo amore. Non un premio, o una paga, ma un regalo. Se a qualcuno questo comportamento può sembrare ingiusto, e non gli sta bene, è “invidioso”perché Lui è “buono”! 

Restiamo e lavoriamo con gratitudine e gioia nella vigna, nella vita, e il Signore non farà mancare nulla a noi e ai nostri cari.



lunedì 18 settembre 2017

BRICIOLE di PAROLA
 
…dall’omelia del 17.09.2017

Matteo 18,21-35

24° Domenica A – 17.09.2017

C’è un invocazione nella preghiera del Padre Nostro che è particolarmente “imbarazzante”, e fonte di timore per la realtà che nomina : “liberaci dal male, dal maligno”.
Il male rende prigioniero, malato, il cuore, ferisce e dilania la nostra comunità, le nostre famiglie.

Gesù sta parlando proprio del male che può annidarsi tra i suoi discepoli, i suoi amici. Una prima attenzione per difenderci  ci è stata ricordata domenica scorsa: “ se vedi il tuo fratello fare qualcosa contro di te, va e correggilo, convincilo, ricomponi il dissidio che s’è creato”.

La correzione è un intervento per togliere il male che è nel fratello. Ma è efficace? E’ sufficiente?
Siamo esortati ad un ulteriore passo, che non è una sconfitta se non siamo riusciti nella correzione.
Per liberare dal male non basta correggere, toglierlo da chi ne è, in pratica, prigioniero. Occorre assumerlo, prenderlo su di sé, portarlo o portarne le conseguenze, distruggerlo… e questo si fa con il perdono. Il padrone, nella parabola narrata da Gesù, libera il servo debitore con il perdono, con il condono, facendosi carico lui delle pendenze di quell’uomo.

Gesù non è venuto per correggere semplicemente. Sapeva che saremo rimasti nella nostra cattiveria e che in essa saremo ricaduti chissà quante volte. E’ venuto per perdonare, per darci questo amore del Padre. Sulla croce si è fatto peccato, si è caricato del peccato, del male, per distruggerlo superandolo con l’amore. Solo con l’amore e l’amore che perdona, si corregge.
“Da a me il tuo errore, il tuo egoismo, la tua infedeltà, che io accolgo, faccio mio, mediante  il perdono che in cambio ti offro. E tu non sarai mai schiavo del tuo male, anche se vi ricadrai ancora”.

Perché caricarmi del debito altrui? Perché perdonare? Perché sono in grado di farlo!
E perché sono in grado di farlo? Perché Dio l’ha già fatto con me!
Se vi rinuncio lego le mani a Dio, come il servo malvagio ha fatto con il suo padrone che era stato benevolo verso di lui. Arrivo ad impedire a Dio di perdonarmi! Per me è la fine. Non solo, ma la mancanza di perdono conduce alla morte i componenti della comunità, e della famiglia.

Il servo che alla misericordia ha preferito la giustizia, o meglio un’applicazione imperfetta della giustizia, è chiamato precisamente “maligno”, con lo stesso termine che si ritrova nella preghiera del Padre Nostro. Il maligno è colui che è incapace di perdonare.

Il perdono taglia le mani al male, scardina gli artigli del maligno, e, ricevuto e dato, è necessario per essere liberi, per imparare davvero la giustizia, ma quella di Dio.




domenica 10 settembre 2017

BRICIOLE di PAROLA

 
…dall’omelia del 10.09.2017

Matteo 18,15-20

A proposito di “correzione” – che come abbiamo sentito è il tema che apre questo brano del vangelo che in queste domeniche tratterà dei rapporti all’interno della comunità dei discepoli -  domenica scorsa si era mosso in tal senso Pietro che, non condividendo le parole di Gesù aveva agito per la correzione del Maestro. Era stato a sua volta ripreso e corretto con parole molto forti.
Cos’è che non ha funzionato nella correzione che Pietro voleva attuare su Gesù? Gliel’ha detto Gesù stesso: “tu non parli secondo Dio ma secondo gli uomini”.
Ecco la prima attenzione da usare nella correzione, o nell’aiuto che vogliamo darci. Spesso i nostri interventi non sono “secondo Dio”, ma secondo noi, secondo le nostre ragioni o pareri. “Secondo me, tu sbagli” è troppo spesso il metro del nostro intervento.

Può accadere che davvero l’altro sbagli o si comporti male, commetta una colpa verso di me. Allora c’è un’altra attenzione per avvicinarlo, ammonirlo, come dice Gesù. Ed è quella di considerare l’altro non un nemico che si combatte, non un avversario che si contesta, non un concorrente da sconfiggere, non un estraneo che si ignora. L’altro è mio fratello, ed io lo correggo. Lo guardo con tenerezza, con comprensione, con dispiacere nel vedere che si comporta male, che si fa o che reca del male.
Allora la correzione ha un buon punto di partenza, si muove bene. Non la faccio per rivalsa ( e cantargliele), per ostentazione (e mostrare che io sono migliore), per mia liberazione (e acquietare la coscienza).

Perché correggere? Perché un fratello che va “guadagnato”. Domenica scorsa Gesù aveva detto che non serve guadagnare il mondo se poi si perde la vita vera. Invece “guadagnare il fratello” è la ricchezza più grande e preziosa. E’ aiutarlo a non rimanere nel male, a non radicarsi nel peccato. Talvolta per guadagnare occorre far debiti: “Fratelli non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole”(Romani 13,8). Tale correzione non è impaziente, non è intransigente, non toglie mai la fiducia. (”basta,con te ho chiuso”, “di te non ci si può più fidare”)

Correggere è legare il male, frenarlo, impedirlo; è sciogliere il bene, liberare la vita, ricomporre belle relazioni. E’ potere dato a tutti noi. Per attuarlo è necessario “mettersi d’accordo”. Gesù ci rassicura : “se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà”.

Nella correzione ci può essere diversità di vedute. La mente vede in modo differente. Questa diversità può anche rimanere. L’accordo, invece, dice unità di amore; è fatto di cuore. Ci si corregge non se si raggiungono le stesse idee o conclusioni, ma se si rimane nel medesimo amore, “riuniti nel mio nome”, dice Gesù.




venerdì 8 settembre 2017

BRICIOLE di PAROLA

…nella natività della Vergine Maria – 08.09.2017

Il buon giorno si vede dal mattino. E noi oggi ci svegliamo a questa giornata che sarà luminosa, con un sole alto e caldo – Gesù – salutando l’aurora fresca, tersa, limpida, meravigliosa che l’annuncia. Questa aurora è Maria di Nazareth nella sua natività. La continua promessa che accompagnato la storia d’Israele, con lei, che sarà degna dimora del Figlio di Dio entra ormai nel compimento.

Come salutiamo, allora, noi un giorno che nasce?

1 – Con gratitudine perché sta per finire la notte, l’attesa lunga, interminabile; e con essa la paura di non vedere l’alba, l’insonnia, la solitudine, e gli incubi che si dissolvono, i sogni che possono diventare realtà… Ringraziamo il buon Dio che davvero è di… Parola. In Maria di Nazareth sarà in un momento non più lontano vergata, scritta nel suo grembo, con il suo sangue. E da Lei vedrà la luce il Sole di giustizia per l’umanità!

2 – Con meraviglia perché il chiarore sta vincendo la notte, la luce albeggia e lascia  intravedere il tratti delle cose belle e soprattutto dei volti. L’aurora comincia a mostrare la bellezza dell’esistenza anche tribolata, di ogni esistenza che fa parte di un progetto d’amore.

3 – Con speranza, perché una giornata non può cominciare diversamente. E’ speranza che chiama all’impegno di accogliere,  con Maria, il Sole che da lei sorgerà per opera dello Spirito santo e giungerà a al suo splendore; speranza anche nelle difficoltà perché tutto concorre al bene di coloro che amano Dio.

Maria è presente ai nostri mattini turbolenti e carichi di ansia, di preoccupazioni, paure; mattini che aprono a giornate pesanti e ancora di sofferenza, dove l’avanzare dell’amore incontra l’ostacolo della cattiveria, del peccato, della disperazione. Con Maria, aurora che dipinge l’alba e che ci porterà Gesù, viviamo la nostra giornata, la nostra esistenza. Iniziamola con un sorriso con cui vorremo sempre salutarci ogni mattina; iniziamola così, e con lei tutto mettiamo, affidiamo, viviamo, fiduciosi nell’amore di Dio.


mercoledì 6 settembre 2017

BRICIOLE di PAROLA

...dall'omelia di Martedì 05.09.2017

1Tessalonicesi 5,1-11  Luca 4,31-37

“Dio ci ha destinati ad ottenere la salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo”.

Questa assicurazione, questa promessa, consolida quel conforto che siamo invitati a darci (come ci esorta l’Apostolo alla fine delle righe che abbiamo ascoltato oggi e ieri)
“Salvezza”! Quante volte la leggiamo questa parola, e risuona nel nostro dire e predicare! Che cosa ci può stare in essa, dentro questa promessa?

La vita, la sua pienezza, l’amore con le sue più belle relazioni, , la conoscenza profonda di noi stessi, delle cose, il loro senso e significato, la loro valorizzazione, la giustizia, la pace, ogni bene vero, la gioia di essere ala mondo… fino alla eliminazione di ogni male e della morte. Insomma, con una parola “banalizzata” fin troppo, anche se non lo merita,  quel “benessere” che desideriamo e cerchiamo pure per vie traverse, incentrate su noi stessi, pratiche o tecniche che lasciano inevasa la nostra sete di felicità, di vita, di verità.
La salvezza che si riassume nell’essere e nel saperci amati, con i frutti e le conseguenze di tale grazia (infatti è un dono gratuito), è e ha un nome, è e ha un volto, è una presenza: il Signore nostro Gesù Cristo! E lui solo!

C’è un’altra presenza che si pone agli antipodi di questa volontà di Dio. Ce la svela l’episodio che avviene nella sinagoga di Cafarnao, come abbiamo sentito. Questa presenza è il demonio. Questa parola “demonio” riteniamo sciocco pronunciarla; forse ne abbiamo paura, o non la consideriamo relegandola a qualcosa di indefinito, prodotto della nostra mente, o inventato da chi vorrebbe tenerci infantili. E’ invece una presenza reale, spirituale, che vuole la nostra distruzione, la distruzione di tutto ciò che è bello…le creature che Dio ama più di tutte, cioè noi, l’amore, la famiglia, pace, l’armonia, la natura, il mondo. L’esistenza del demonio rimane un mistero nel progetto di Dio che ha creato l’universo intero, angeli compresi. 

E’ riscontrato dall’esperienza che tale presenza non è inerte, anche se vorrebbe agire senza farsi notare, e può incidere, se gli concediamo spazio, e soprattutto lo togliamo a Cristo Signore, nella nostra ricerca di felicità risolvendo la stessa in un inganno, illusione, delusione, sofferenza per noi e per altri. E invece di disinquinare la nostra umanità, la intossichiamo e la avveleniamo sempre di più. A noi capita di offrire ospitalità nei modi più differenti, anche imprudenti, con stili di vita e con scelte che si oppongono al vangelo, con ricerche della verità volutamente lontane da Gesù, quasi arrogandoci noi quella misteriosa “conoscenza del bene e del male” di cui ci parla la Bibbia.

Il demonio teme Gesù, l’abbiamo sentito gridare forte : “Basta! che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!”. Una volta tanto colui che è il menzognero per natura dice la verità; solo che questa non può più cambiare la sua sorte. Non è sufficiente riconoscere Gesù il Signore se siamo definitivamente confinati nel male. Per fortuna, o meglio, per grazia, non è la nostra condizione, e sempre possiamo dire ed invocare il nome di Gesù, amarlo e metterci al suo seguito. Il demonio può anche gettarci a terra, come succede a questo “povero diavolo”, con tutto ciò che significa questa espressione, ma non può farci male, godendo noi della presenza di Gesù. 
Così recita un’ingiunzione al demonio nella preghiera liturgica della Chiesa, “…riconosci il potere invincibile di Gesù Cristo: egli ti ha sconfitto nel deserto, ha trionfato su di te nell’orto degli ulivi, ti ha disarmato sulla croce e, risorgendo dal sepolcro, ha portato i tuoi trofei nel regno della luce”

Il santo “timore”, che è più meraviglia e non paura, come per i presenti al fatto, può aiutare la nostra apertura, la nostra accoglienza alla salvezza che Egli è.



domenica 3 settembre 2017

BRICIOLE di PAROLA

…da omelia del 03.09.2017

Domenica i complimenti a Pietro, oggi il rimprovero! E pesante! A seguito della spiegazione di Gesù alla definizione che Pietro aveva dato sulla sua persona: “ doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno”.

Questa coraggiosa rivelazione di Gesù mi dice una cosa importante, un prima e bella parola: non  “noi come Dio” ma “Dio come noi”; sì, Dio, in Gesù, ha scelto, venendo tra noi, sofferenza e morte per non lasciarci soli e darci pienezza di vita con la risurrezione. Questo è l’amore in Dio manifestatosi in Gesù, il Figlio.

La seconda bella e buona parola paradossalmente sta nel rimprovero rivolto a Pietro, che si prende l’appellativo di satana: “va dietro a me”. La mia via, seguendo Gesù, la via del vangelo, è mettermi dietro all’amore. Se io, invece mi metto davanti all’amore, come osa fare Pietro, questo lo stabilisco io a chi, come, quanto e per quanto amare. Mettermi dietro l’amore è rinnegare me stesso, rinunciare a pensieri di ambizione, di successo, di supremazia; è sollevare la croce che non è andare in cerca di dolori, sofferenze e disgrazie, ma portare l’amore, non cedendo alla mentalità del mondo.  

La terza bella e buona parola io me la dico da me, provocato dalla sfida che getta Gesù: “chi vuol salvare la propria vita…”, e  io voglio salvare la mia vita: che sia piena di senso, di libertà, di soddisfazioni, di gioia, di festa. E lo faccio cedendo alla seduzione di Dio, come confessa il profeta Geremia, alla seduzione del suo amore tenero e forte. Questa seduzione mi consente di “perdere” la mia vita per causa sua e di trovarla, per me e per tutti.

Siamo credenti e discepoli non per deduzione, cioè semplicemente perché convinti, ma per seduzione, cioè perché innamorati. Ma siamo liberi? La libertà è di casa nell’amore.