domenica 30 novembre 2014

OMELIA


Avvento B – 30.11.2014

- Isaia 63,16-17; 64,2-7
- Marco13,33-37

“Il Signore verrà!”. Era l’annuncio con cui si chiudeva il tempo liturgico terminato domenica scorsa. Ma è anche l’annuncio con cui riprende il nostro cammino in questo tempo di Avvento che ci porterà al Natale. E’ confermato quindi che la nostra destinazione finale è l’incontro con Dio, pienezza della vita.

Questa ripresa del cammino avviene con una preghiera struggente, fiduciosa, che abbiamo sentito nella prima lettura tratta dal profeta Isaia; una preghiera in cui, confessando che tutti siamo avvizziti come foglie e portati via come il vento dalle nostre cattiverie, incapaci di un germoglio nuovo per il futuro, fissiamo lo sguardo su Dio, sulla sua fedeltà che è più grande di ogni nostro smarrimento, sul suo amore di padre.
E’ quasi un ritornello in questa preghiera: Tu Signore sei nostro Padre, ricordati Signore, e ritorna a noi ; noi siamo argilla e Tu colui che ci dà forma. Tutti noi siamo opera delle Tue mani.
Questo è l’Avvento. E la risposta a questa attesa è il Natale, la venuta di Gesù, venuta che è la conversione di Dio, il ritornare di Dio tra noi. Troppo speso abbiamo predicato che il primo passo da compiere è la nostra conversione. E’ indubbio che passo importante e decisivo lo è, ma prima c’è il passo di Dio che muove, che viene verso di noi. Non siamo noi che con le nostre forze, con i nostri meriti ritorniamo a Lui, è Lui che ci viene a cercare e ci raggiunge là dove ci siamo smarriti. Ma occorre ridestarci per accogliere questo ritorno di Dio, perché ci siamo assopiti, addormentati.

Ecco allora quanto suggerisce la similitudine che Gesù racconta e che contiene un’esortazione che non possiamo né vogliamo lasciar cadere. “Vegliate”, cioè “state attenti”, “tenete gli occhi aperti”, “fate attenzione”. Coloro che sanno vegliare sono due categorie di persone.

La prima. Sono le “sentinelle”. Costoro “lottano” contro il sonno e le distrazioni, è il caso di dire, a difesa dei propri beni, della propria e altrui vita, della propria dimora. In essi v’è il timore, la paura di perdere ciò che è a loro caro, ciò a cui tengono. E ne hanno ben donde, con quello che succede. Tra le “sentinelle” mettiamo anche i servi, di cui parla la breve parabola del Vangelo che, ricevuto il compito  dal padrone, e di vegliare, non sanno quando sarà il suo ritorno. Se questi trova le cose a posto e soprattutto non li trova addormentati non potrà che complimentarsi con loro.

L’altra categoria, di tutt’altro stampo e cuore, che non prende sonno ed è tesa alla veglia, sono gli “amanti”. L’impazienza, il non star più nella pelle, il non chiudere occhio, il desiderio che l’attesa accresce, l’emozione che monta, la gioia, non più la paura, dell’attesa, ci fanno sentire di essere vivi, contenti di esserci, increduli per quello che sta per accadere, l’incontro con chi ci ama, con chi amiamo, l’incontro con la felicità.

Non sono, sentinelle e amanti, due immagini che si contrappongono, ma che si completano. Una mi insegna la responsabilità, l’attenzione a non prendere lucciole per lanterne, a non lasciarmi derubare delle mie attese più profonde e ingannare. Appassionato sì della vita che mi è stata affidata, ma con intelligenza.  L’altra mi indica che solo nell’amore si può stare ben svegli tutta la notte, cioè quando le cose si fanno difficili e l’attesa sembra non risolversi in nulla. L’una mi ferma a pensare che a Dio sarò pur chiamato a dare conto del mio servizio, l’altra, ed è quella che io prediligo, in Dio potrà avere quell’abbraccio che qui ho sempre sognato e atteso, quell’abbraccio che qui ho soltanto assaggiato negli abbracci affettuosi e fraterni a cui mi sono concesso e che ho potuto dare.

L’Avvento è il tempo della responsabilità e dell’ amore che vegliamo. Con innamorata passione per la vita e per Dio, con attenzione intelligente in mezzo alle vicende dell’esistenza nostra e del mondo, continuiamo il nostro impegno,  riprendiamo il cammino, il nostro andare incontro al Signore che già viene verso di noi, ed è già molto avanti.






OMELIA


34° Domenica A – 23.11-2014 – Cristo Re e Signore

Siamo all’ultima domenica dell’anno liturgico, il tempo che la Chiesa si dà per vivere il mistero di Cristo. Dove ci porta il cammino di un anno e per dove ci indirizzerà nuovamente tra una settimana?
Ci porta e ci indirizzerà al Signore che verrà nella sua gloria. E’ Gesù, appunto Signore perché ha vinto la morte, ed è Re perché in Lui, anzi Lui è il Regno di Dio, cioè la quella vita nuova , piena, benedetta e beata, che il Padre vuole per tutti i suoi figli, per l’umanità intera.
Questa gloria non è nei titoli Re e Signore con cui oggi acclamiamo al Cristo. È invece rivelata dall’immagine del “pastore”, perché più di tutti nel “pastore”, così come viene annunciato nella prima lettura, è caratteristica la tenerezza, la misericordia, la cura, l’amore e la passione più totale per coloro che gli sono affidati, cioè noi.

Nella prima lettura, per mezzo del profeta Ezechiele, è lo stesso “pastore” che si confessa: cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna…le radunerò dove erano disperse, le condurrò al pascolo, le farò riposare. E poi ancora: andrò in cerca di chi si è perduto, ricondurrò chi è smarrito, fascerò chi è ferito, curerò chi è malato, avrò cura di chi sta bene ed è forte…
Ecco questo “pastore” è Gesù, ed è mio Re per questo amore e non per altro! E’ il Signore della gloria il cui altro nome è amore!

Ma non basta. Il cammino della fede e della Chiesa mi conduce sì al Signore della gloria, ma proprio perché il nome più vero di questa è l’amore, mi conduce all’uomo, alla donna, ai poveri, come bene ci mette in guardia il brano del Vangelo, che narra di un giudizio che noi stessi saremo un giorno chiamati a darci in base alle scelte fatte in questa tempo.
Ogni uomo, donna, i poveri, lì è la gloria, lì è la regalità verso cui persino Dio si abbassa, per cui s’incarna e diventa uno di essi; lì si manifesta il Regno, nell’accoglienza e nell’aiuto dato al fratello, alla sorella in difficoltà.

Come Dio si prende cura di noi, noi vogliamo prenderci cura gli unitegli altri; come Dio è il “mio “pastore”, noi lo siamo per gli altri. Voi lo siete per me, voi siete “il mio” pastore! E quando ripenso e rivedo con quanta tenerezza, partecipazione, affetto e premura, un anno fa, mi eravate vicini proprio in questi giorni, mi prende ancora una grande indescrivibile commozione.

Non trovo vergogna di essere presso di voi con la mia fame di amicizia, con la sete di giustizi, con il bisogno di essere rivestito della vostra stima, di trovare calore nella vostra casa, di sentirmi curato con pazienza nelle mie infermità, di godere simpatia anche nelle mie debolezze ed errori. Spesso pensiamo solo a dare, e così ci sfiniamo; ma anche il confessare la povertà o la difficoltà in cui ci troviamo diventa occasione di amore e quindi di gloria.

Sì, siamo “pastori” gli uni degli altri, ma soprattutto di quanti non hanno di che vivere, e sono privi del sostentamento necessario, o sono nella solitudine, non hanno dove abitare, sono malati o in situazione di emarginazione, anche a causa di sbagli commessi. Sono il Cristo oggi, e vive della nostra accoglienza, sia che lo riconosciamo come anche no.

La nostra comunità, celebrando oggi anche la festa del Ringraziamento per tanti doni e aiuti che ci sono qui in mezzo a noi, non può dimenticare, nascondersi a questa presenza. E allora ritroviamo la generosità di venire loro incontro. E’ sempre possibile, ancor più necessaria la raccolta di cibo e aiuti per famiglie che sono anche tra noi, riprendiamoci da una certa stanchezza e rassegnazione in modo che a nessuno manchi il necessario per un po’ di serenità pur nella difficoltà.

E con le cose, mettiamoci il cuore, mettiamoci il tempo, finché lo abbiamo, mettiamo quei piccoli servizi che rendono possibile e bella la vita della nostra comunità. Ogni gesto, attività, lavoro, servizio, con cui ci prendiamo cura gli unitegli altri, ci fa “pastori”, manifesti amore, accresca in noi quel capitale di gloria che è la felicità di tutti, e senza fine.






venerdì 21 novembre 2014

GRATITUDINE

(...festa del Ringraziamento!)


Al cuore
mille grazie,
dolce debito,
a condividere
tanto onore
non più esito.

Al tempo
riconoscente,
bella provvidenza,
senza calcolo,
misura stretta,
è tua presenza.

Alle forze
gratuiti gesti e parole,
aiuto sereno,
il responsabile peso, 
fraterno e amico
 rimane sereno.

Al ciel  che ama,
all’ amata terra,
insieme grati,
continui la via, 
gioia e fatica
che fan beati.



OMELIA


33° Domenica A – 16.11.2014

- Proverbi 31,10-13.19-20.30-31
- 1Tessalonicesi 5,1-6
- Matteo 25,14-30

C’è una prima, singolare, forse, per qualcuno, strana “bella notizia” nella parabola raccontata da Gesù. Ed è che Dio, come quell’uomo che padrone parte per un viaggio, si fa assente. Qualcuno potrebbe dire che non affatto una “buona notizia” l’assenza di Dio.

Quante volte ce ne lamentiamo. Dio non c’è, non si vede, non sente, è nascosto, è occupato altrove, e via di questo passo. Ma qui la parabola ci dice che Dio si assenta perché si fida di noi, ci dà fiducia assegnandoci i suoi beni, primo fra tutti la vita. Dio non è uno che ti sta con il fiato sul collo, non è un controllore asfissiante. Ti dà fiducia completa, piena responsabilità, mette nelle nostre mani i suoi tesori. Bellissima questa immagine di Dio.

Altro particolare della “bella notizia”, questa fiducia di Dio, è che per lui non conta che uno abbia più numeri di un altro nella vita, più talenti. Non contano i numeri, ma la qualità dell’impegno che ognuno è chiamato a profondere. E’ la responsabilità, il cuore che ci mette. Guarda la vita, mettici il cuore, ogni giorno, mettici amore, sembra dire consegnando i suoi beni.

Per questa rivelazione che ci viene dalla parabola vogliamo correggere la visione  “terroristica” di Dio a cui inclina una lettura errata della parabola stessa, oche abbiamo mutuato dall’educazione ricevuta. Una tale visione di Dio produce una religione della “prestazione”, non della gratuità, della benevolenza preveniente di Dio. Non c’è spazio per un etica commerciale e capitalistica nella storia che Gesù racconta quasi che la prima cosa, la cosa più importante, siano i conti che dovremo fare con Dio alla fine della nostra vita, siano le opre da far fruttificare.

La piena “bella notizia”, il pieno vangelo, è il finale di festa e di gioia che Dio vuole per tutti suoi figli. E’ una conclusione bella della nostra fatica, del nostro impegno, della responsabilità e del coraggio, messi in moto dalla fiducia che ci è data. Vogliamo essere consapevoli che c’è un dono che ci attende. Lo possiamo accogliere, e purtroppo anche perdere.

Perciò restiamo svegli, vigiliamo e siamo sobri, ci esorta Paolo nella seconda lettura. Non si tratta di coltivare un ottimismo ottuso, proprio di chi vuol dartela a bere, perché ci porta alla rovina, ma essere, sempre come precisa la parola di Paolo, “figli della luce e figli del giorno”.

Di questa saggezza abbiamo anche un’ immagine bellissima, quella della donna forte, cantata nella prima lettura. Uno stupendo omaggio, un doveroso riconoscimento a chi tanto porta dell’impegno dell’uomo. La donna sa essere  icona della saggezza  con la sua “ricchezza umana”, il più alto valore che dà consistenza a tutte le cose, e con il senso religioso della vita che dà sostanza alla sua quotidianità. Lode e vanto dei suoi cari, è tutta da ammirare questa saggezza.

Non ci rovini la giornata la sorte del servo malvagio e pigro che s’imbosca e imbosca i doni di Dio. Rimane una triste e terribile possibilità a cui non vogliamo concedere spazio.  Invece, la fiducia di Dio, che conta sulla nostra  responsabilità, la saggezza che ci è ispirata, sono per noi la notizia che oggi ci fa tanto bene.


venerdì 14 novembre 2014

OMELIA


32° Domenica A –09/11/2014

Dedicazione di S. Giovanni in Laterano


  
E’ singolare la ricorrenza di oggi che nemmeno la domenica fa passare in secondo piano. Forse perché è proprio la domenica il giorno della costruzione della chiesa, che prima di essere di pietre è di donne e uomini attorno alla pietra fondamentale che è Gesù. Comunque oggi, come ricordavo all’inizio, celebriamo la dedicazione di S. Giovanni in Laterano a Roma come la madre di tutte le chiese. Ci lasciamo guidare dalla Parola di Dio proposta per la preghiera in questa circostanza per la nostra riflessione e la nostra vita.


1 - La visione del profeta Ezechiele, un immagine piena di poesia, ci porta a considerare il “tempio” come luogo da dove un nuova sorgente di acqua specialissima esce per riversarsi e penetrare nel mare, che è il mondo, e risanarne le acque, assicurare guarigione là dove arriva e abbondanza di vita; e tutto attorno a quest’acqua conserva freschezza e maturità di frutti. Insomma un vero paradiso terrestre. Ed è così!

Questo tempio “è Gesù”, da lui sgorga, racconta Giovanni narrando della sua morte in croce, acqua viva che ha promesso, acqua che risana e reca vita al mondo, assicura abbondanza di bene, di festa, di frutti.

Il tempio di pietra, ogni chiesa, anche la nostra, è luogo che ricorda questo “corpo di Gesù” al quale egli fa riferimento nella discussione con i Giudei, come abbiamo sentito nel vangelo: “Distruggete questo tempio e io in tre giorni lo farò risorgere”.



2 – Mosso da zelo irruento Gesù scaccia i mercanti dal tempio. Collocato all’inizio del racconto di Giovanni, ci fa capire quanto stesse a cuore a Gesù sottolineare che il tempio che conta è tutt’altro che fatto di pietra. Più avanti dirà che Dio va adorato in Spirito e verità cioè nell’amore.

La forte presa di posizione di Gesù indignato – “fuori i mercanti dal tempio”, e, stimolati da papa Francesco, possiamo aggiungere noi, “dentro i poveri” - ci aiuta a verificare se davvero l’acqua viva che esce da Lui risana il nostro mondo.



“Non fate della casa del Padre mio, del tempio, un luogo di mercato”. E’ sbagliato usare e strumentalizzare Dio per i nostri interessi, ed è altrettanto sbagliato fare dei nostri interessi il nostro Dio. Forse il nostro tempio, la nostra chiesa festiva e quotidiana, è diventato il mondo in cui siamo, casa ingombra non di pecore e buoi, di denari e di colombe, ma di tanti idoli, casa che non lascia più trasparire Dio. Questo è il grande mare dove deve entrare quell’acqua viva di cui parlava il profeta per risanarlo.



C’è una convinzione da maturare perché questo possa avvenire. Il tempio non sono queste pietre, non è nemmeno il mondo con i suoi interessi. Il tempio dove Dio dimora, dà vita, è l’uomo, con la sua umanità, con il suo corpo, come Gesù, abitato dallo Spirito, anche se non lo sa. Tempio di Dio siamo noi, è la carne dell’uomo. E lo è il mendicante, l’immigra­to, lo straniero la cui sola presenza ci infastidisce. Dio ha fatto dell’uomo la sua casa, dell’umanità tutta la sua chiesa.



3 - I figli di Dio sono il santuario di Dio, chiunque essi siano. “Fratelli, voi siete l’edificio di Dio”, scrive Paolo nella sua lettera. Il fondamento che vi tiene su è Gesù. “Siete tempio di Dio e lo Spirito abita in voi”. Non fate mercato della casa del Padre mio! Non vendetevi!

E se questo tempio che siamo ci crolla addosso – e può capitare - Gesù è colui che lo riedifica, lo fa risorgere, che è l’azione propria di Dio. Là dove cadi, egli ti fa rialzare e risveglia la vita.



Oggi, uscendo da questo luogo viene con noi il tempio, la dimora di Dio. Noi siamo “architettura divina”. Custodiamola, onoriamola, riveliamo Dio. “Solo l’amore è il vero suo tempio, i suoi confini il cielo e la terra, l’umanità il suo corpo, la chiesa, suo tabernacolo il cuore dell’uomo” (Turoldo).



















sabato 8 novembre 2014

SEGNALI di VITA

            (... a novembre!)


Il cielo
nella nebbia
gocciola,
uggioso
il sole
nasconde.
E il lume s’accende.

La terra
inzuppata
frana,
foglie, frutti,
ancora seme,
cadono.
E l’uomo s’intende.

Ma il cuore
d’amore
irrora
le membra
pronte
a servire.
E la vita riposa.

Son versi,
battiti
di danza
che muove
a letizia
grata.
E l’umanità sposa.

Forte
s’abbandona
a fiducia,
cresce
nascosta
generosità.
E amore dà vita

Nel mondo
fatto
cielo/terra,
in ogni tempo
pulsa
feconda promessa
E carità gradita!



domenica 2 novembre 2014

OMELIA


Domenica 02.11.2014 – Commemorazione dei defunti

NB. Pensieri tratti da Papa Francesco – 04 dicembre 2013

Prolungando la preghiera che già ieri pomeriggio abbiamo condiviso, oggi commemoriamo i nostri defunti. Li ricordiamo con affetto e gratitudine, li affidiamo alla misericordia del Signore,e nel pensarli non possiamo dimenticare la meta che anche noi attende: non la morte, quella è una porta, ma la pienezza della vita, la risurrezione della carne, la nostra umanità.
E’ una verità non semplice, e vivendo immersi nelle cose concrete di questo mondo, non è facile comprendere le realtà future. Ma il Vangelo ci illumina: la nostra risurrezione è strettamente legata alla risurrezione di Gesù; il fatto che Egli è risorto è la prova che esiste la risurrezione dei morti. Sì, Lui è risorto, e perché Lui è risorto anche noi risusciteremo.

Dio, creatore e Padre di tutto l’uomo - anima e corpo -, ne è il liberatore, il Dio fedele all’amore con il suo popolo, con l’umanità Per questa ha in serbo una festa, un banchetto dove non ci sono più lacrime e pianto, tristezza e dolore, ma solamente gioia e vita piena.
Gesù, porta a compimento questa rivelazione, e ci assicura : «Io sono la risurrezione e la vita» (Gv 11,25). Infatti, sarà Gesù Signore che verrà e risusciterà nell’ultimo giorno quanti avranno creduto in Lui. Egli ci ha presi con sé nel suo cammino di ritorno al Padre. Il dono dello Spirito Santo è caparra della piena comunione nel suo Regno glorioso, che attendiamo vigilanti.

E’ la fonte e la ragione della nostra speranza: una speranza che, se coltivata e custodita, diventa luce per illuminare la nostra storia personale e anche la storia comunitaria. Se riuscissimo ad avere più presente questa realtà, saremmo meno affaticati dal quotidiano, meno prigionieri di ciò che è provvisorio e più disposti a camminare con cuore misericordioso sulla via della salvezza.

Che cosa significa risuscitare?  E’ la trasfigurazione gloriosa di tutto il nostro essere, corpo e spirito, pienezza di relazioni d’amore che qui abbiamo coltivato con non pochi limiti. Come Gesù noi risorgeremo con i nostri corpi che saranno trasfigurati in corpi gloriosi. Non sappiamo ancora come sia questa cosa., Solo crediamo che Gesù è vivo e non  ci lascerà morire senza farci partecipi della sua risurrezione. 

Del resto già adesso, qui, abbiamo in noi una partecipazione alla Risurrezione di Cristo. La vita eterna incomincia già in questo tempo che passiamo qui. Mediante il Battesimo, abbiamo in noi stessi un seme di risurrezione, quale anticipo di quella che riceveremo in eredità.
E la via sicura che vi conduce è la carità, perché significa camminare proprio con Gesù. Con la carità: perché Lui è presente nei più deboli e bisognosi. Si è identificato con loro: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi. …Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,35-36.40). La solidarietà nel compatire il dolore e infondere speranza è premessa e condizione per ricevere in eredità quel Regno preparato per noi. Chi pratica la misericordia non teme la morte.
Siamo in cammino verso la risurrezione, e saremo tutti insieme.Vedere Gesù, incontrare Gesù: questo è il nostro destino! Questa è la nostra gioia!





OLTRE LA VETRATA

                           (... quella luce!)


Facciata
sull’eternità, 
quella luce
m’attrae,
spazientisce quasi,
illumina il desiderio
di oltre vita.

Vetrata
è la  morte,
diaframma
tra attesa e realtà,
l’ammiro,
quella luce,
stupito.

Qui penombra
di provvisorio,
accende il cuore,
quella luce,
nel desiderio,
nostalgia
di volti cari.

Giorno chiaro
senza fine
né tramonto
anticipa
quella luce,
l’aspro sentiero
fa dolce via.

Trasfigurazione 
di grazia in gloria,
carità vince la morte,
il Risorto
mia vita e gioia,
nell’eternità,
quella luce,

quella!


sabato 1 novembre 2014

VANTO


(…2 Cor 12,1 –10  - ritiro 30.10.2014)

Di notte prega
perché io sia
la sua giornata
tra gli uomini

Chiede al Padre
il mio nome
perché io annunci
il suo ai fratelli

All’amicizia mi chiama,
discende con me
perché cresca il chicco
del Regno nel  mondo          (cfr. Luca 6,12-19)

Non superapostolo
fuori dal corpo,
testimone mi vanto
di mia debolezza

E’ potenza di Dio
che riempie il mio vuoto,
autorevole e forte,
vera credenziale

Il mio apostolato
è la carne mia,
di peccato alloggio,
dello Spirito dimora

Vaso di creta, eletto,
otre per vino buono,
ad assaporare 
di Cristo la presenza

E’ grazia che basta
più della spina,
tesoro di fragilità
il ministero

Armatura di Dio, Cristo, (cfr.Ef. 6,13)
mi rivesti di te,
forza che ama,
debolezza da amare.


OMELIA


Tutti i Defunti  - pomeriggio 01.11.2014

NB. pensieri tratti da papa Francesco –27 novembre 2013

Questi giorni, questa celebrazione per i nostri defunti, come la giornata di domani, ci inducono a indirizzare il nostro cuore il nostro pensiero sul nostro morire e il nostro risorgere in Gesù. 

La morte è realtà che ci riguarda tutti, e ci interroga in modo profondo. Se viene intesa come la fine di tutto, spaventa, atterrisce, si trasforma in minaccia che infrange ogni sogno, ogni prospettiva, che spezza ogni relazione e interrompe ogni cammino. Questo capita quando consideriamo la nostra vita come un tempo rinchiuso tra due poli: la nascita e la morte; quando non crediamo in un orizzonte che va oltre quello della vita presente; quando si vive come se Dio non esistesse; quando riteniamo l’esistenza come un trovarsi casualmente nel mondo, un vivere solo per i propri interessi e vivere solo per le cose terrene, e un camminare verso il nulla.

Il “cuore”, invece, ci fa sentire il desiderio che tutti noi abbiamo di infinito, la nostalgia che tutti noi abbiamo di qualcosa che non finisca. Se guardiamo ai momenti più dolorosi della nostra vita, quando abbiamo perso una persona cara, ci accorgiamo che, anche nel dramma della perdita, anche lacerati dal distacco, sale dal cuore la convinzione che non può essere tutto finito, che il bene dato e ricevuto non è stato inutile. No, la nostra vita non finisce con la morte.

Questa sete di vita ha trovato la sua risposta reale e affidabile nella risurrezione di Gesù Cristo. La fede nella risurrezione di Gesù dà la certezza della vita oltre la morte, e illumina anche il mistero stesso della morte di ciascuno di noi. Se viviamo uniti a Gesù, fedeli a Lui, saremo capaci di affrontare con speranza e serenità il passaggio della morte. «Se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consola la promessa dell’immortalità futura». E’ una bella preghiera della Chiesa questa!

Una persona tende a morire come è vissuta. Se la mia vita è stata un cammino con il Signore, un cammino di fiducia nella sua immensa misericordia, sarò preparato ad accettare il momento ultimo della mia esistenza terrena come il definitivo abbandono confidente nelle sue mani accoglienti, in attesa di contemplare faccia a faccia il suo volto. Questa è la cosa più bella che può accaderci: vederlo come Lui è, bello, pieno di luce, pieno di amore, pieno di tenerezza. Noi andiamo fino a questo punto: vedere il Signore.

E’ la pienezza della beatitudine, della felicità: vedere e amare il Signore. Per il momento, considerato il limite del nostro amore, siamo beati, come annuncia Gesù, non certo per le situazioni umanamente tristi e pesanti che ha ricordato, ma perché in queste situazioni  noi stiamo particolarmente a cuore a Dio, di noi ha cura. Beati perché amati.

Il Suo amore non ci abbandona, non s’infrange sulle porte della morte. Le abbatte, come è stato per Gesù, che dalla mano del Padre, come raffigura l’affresco qui realizzato, è richiamato alla vita. Anche la nostra morte diventerà una porta che ci introdurrà al cielo, alla patria di piena beatitudine, verso cui siamo diretti, desiderando abitare per sempre con il nostro Padre, Dio, con Gesù, con la Madonna e con  i santi, con i nostri cari. Amen 






OMELIA



Tutti i Santi – 01 Novembre 2014

- Ap 7,2,4-14
- 1Gv 3,1-3
- Mt 5,1-12

“Vidi un moltitudine immensa…”. E ‘un’esplosione di “cielo” quella che ci viene descritta nella visione della prima lettura. Un ‘esplosione di “cielo” che si riversa, invade, e fa bene alla terra.
Questa esplosione, invasione di cielo, di “santità”, di Dio, sulla terra fa bene perché aiuta l’umanità ad essere se stessa, aiuta tutti noi a renderci conto, come dice Giovanni nella seconda lettura, che siamo figli di Dio, ci aiuta vivere quali figli di Dio.

Ci porta “felicità”, e per rimanere nel linguaggio del vangelo, ci porta “beatitudine”.
Beati siamo non perché poveri, afflitti, perseguitati, troppo buoni, semplici, deboli, ma perché il “cielo”, cioè Dio, la sua santità, la sua vita, mediante lo Spirito è su di noi, è in noi.

Beati sono i poveri, con tutto il campionario di umanità qui ricordata, non perché “disgraziati”, senza grazia e benevolenza, ma perché pieni di grazia e di misericordia di Dio, beati perché “amati”!
Amati! Nelle prove e nella lotta che sosteniamo sino a dare la vita, a dare testimonianza fino in fondo in una vita di figli di Dio, in nostro favore e aiuto viene “il sangue dell’Agnello”. Va  a dire il Figlio di Dio Gesù e nostro fratello, che ci ama fino a morire, e poi per noi il Padre gli dà risurrezione.

Non siamo “santi”, non abbiamo la sua vita, la vita di Gesù in noi, per la nostra impeccabilità. La santità non è una condizione morale, o un comportamento che assumiamo, ma la vita che ci è donata con il battesimo e cresce nel nostro continuo incontro con Gesù, da cui siamo “amati, e quindi “beati”.

Questa esplosione di “cielo” che invade e fa bene alla terra, e ci rivela che santità è vita di Dio in noi “beati”, si chiama “comunione dei santi”. E’ la familiarità che nata grazie a Gesù si estenderà per tutta l’eternità.

Siamo, perciò, in comunione con tutte le donne e gli uomini di questo mondo che danno spazio e ascolto allo Spirito di Dio in se stessi, con un’esistenza di “figli di Dio”, anche se non lo conoscono, cioè un ‘esistenza di amore, giustizia, pace, fraternità.

Siamo in comunione, bella familiarità e sicura vicinanza, con i nostri cari che sono morti a questa esistenza terrena ma non sono dissolti nella nulla della polvere. I loro volti permangono a noi tanto cari. Perché ogni volto ci parla ancora non solo della storia che abbiamo fatto insieme, ma anche della storia dell’amore di Dio in cui essi ci hanno condotto anche senza saperlo. Sì, Dio legato ai nostri volti, ai nostri nomi, al volto e al nome di ciascuno di noi. Anche per questo c’è santità in noi. 

I nostri cari li ricordiamo con affetto, in special modo, oggi pomeriggio e domani nella preghiera.
Condividiamo con tutti, vivi e defunti, la vita che Dio ci ha dato e che non ritratterà più. Con Gesù che rimane in noi mediante il suo Spirito e la sua preziosa parola, continui, rinnovando così il mondo, il nostro cammino fino alla pienezza della santità, alla pienezza del cielo.