1° Avvento B – 30.11.2014
- Isaia
63,16-17; 64,2-7
- Marco13,33-37
“Il Signore
verrà!”. Era l’annuncio con cui si chiudeva il
tempo liturgico terminato domenica scorsa. Ma è anche l’annuncio con cui
riprende il nostro cammino in questo tempo di Avvento che ci porterà al Natale.
E’ confermato quindi che la nostra destinazione finale è l’incontro con Dio,
pienezza della vita.
Questa ripresa del cammino
avviene con una preghiera struggente, fiduciosa, che abbiamo sentito nella
prima lettura tratta dal profeta Isaia; una preghiera in cui, confessando che
tutti siamo avvizziti come foglie e portati via come il vento dalle nostre
cattiverie, incapaci di un germoglio nuovo per il futuro, fissiamo lo
sguardo su Dio, sulla sua fedeltà che è più grande di ogni nostro smarrimento,
sul suo amore di padre.
E’ quasi un ritornello in
questa preghiera: Tu Signore sei nostro Padre, ricordati Signore, e ritorna
a noi ; noi siamo argilla e Tu colui che ci dà forma. Tutti noi siamo opera
delle Tue mani.
Questo è l’Avvento. E la
risposta a questa attesa è il Natale, la venuta di Gesù, venuta che è la
conversione di Dio, il ritornare di Dio tra noi. Troppo speso abbiamo predicato
che il primo passo da compiere è la nostra conversione. E’ indubbio che passo
importante e decisivo lo è, ma prima c’è il passo di Dio che muove, che viene
verso di noi. Non siamo noi che con le nostre forze, con i nostri meriti
ritorniamo a Lui, è Lui che ci viene a cercare e ci raggiunge là dove ci siamo
smarriti. Ma occorre ridestarci per accogliere questo ritorno di Dio, perché ci
siamo assopiti, addormentati.
Ecco allora quanto suggerisce
la similitudine che Gesù racconta e che contiene un’esortazione che non
possiamo né vogliamo lasciar cadere. “Vegliate”, cioè “state attenti”,
“tenete gli occhi aperti”, “fate attenzione”. Coloro che sanno vegliare sono
due categorie di persone.
La prima. Sono le
“sentinelle”. Costoro “lottano” contro il sonno e le distrazioni, è il caso di
dire, a difesa dei propri beni, della propria e altrui vita, della propria
dimora. In essi v’è il timore, la paura di perdere ciò che è a loro caro, ciò a
cui tengono. E ne hanno ben donde, con quello che succede. Tra le “sentinelle”
mettiamo anche i servi, di cui parla la breve parabola del Vangelo che,
ricevuto il compito dal padrone, e di
vegliare, non sanno quando sarà il suo ritorno. Se questi trova le cose a posto
e soprattutto non li trova addormentati non potrà che complimentarsi con loro.
L’altra categoria, di
tutt’altro stampo e cuore, che non prende sonno ed è tesa alla veglia, sono gli
“amanti”. L’impazienza, il non star più nella pelle, il non chiudere occhio, il
desiderio che l’attesa accresce, l’emozione che monta, la gioia, non più la
paura, dell’attesa, ci fanno sentire di essere vivi, contenti di esserci,
increduli per quello che sta per accadere, l’incontro con chi ci ama, con chi amiamo,
l’incontro con la felicità.
Non sono, sentinelle e
amanti, due immagini che si contrappongono, ma che si completano. Una mi
insegna la responsabilità, l’attenzione a non prendere lucciole per lanterne, a
non lasciarmi derubare delle mie attese più profonde e ingannare. Appassionato
sì della vita che mi è stata affidata, ma con intelligenza. L’altra mi indica che solo nell’amore si può
stare ben svegli tutta la notte, cioè quando le cose si fanno difficili e
l’attesa sembra non risolversi in nulla. L’una mi ferma a pensare che a Dio
sarò pur chiamato a dare conto del mio servizio, l’altra, ed è quella che io
prediligo, in Dio potrà avere quell’abbraccio che qui ho sempre sognato e
atteso, quell’abbraccio che qui ho soltanto assaggiato negli abbracci
affettuosi e fraterni a cui mi sono concesso e che ho potuto dare.
L’Avvento è il tempo della
responsabilità e dell’ amore che vegliamo. Con innamorata passione per la vita
e per Dio, con attenzione intelligente in mezzo alle vicende dell’esistenza
nostra e del mondo, continuiamo il nostro impegno, riprendiamo il cammino, il nostro andare incontro al Signore che
già viene verso di noi, ed è già molto avanti.