domenica 26 luglio 2015

OMELIA

 
17° Domenica B – 26-07.2015

- Giovanni 6,1-15

L’ho letto e riletto, questo vangelo. Anche adesso, con voi. L’ho cercata, ma non l’ho trovata quella frase. 
Che abbiano manomesso il vangelo? Cosa cercavo?
Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?».
E qui m’accorgo che manca: “Gesù rivolto a tutta quella gente, disse: Andate a casa vostra”.
Forse è più sotto. Mi dico. Controllo. «C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che cos'è questo per tanta gente?». No, non c’è neanche qui. Proprio non c’è. Ma piuttosto: “Fateli sedere” .

Eppure la sentiamo da tempo questa frase, almeno la pensiamo, anche ce l’auguriamo. L’abbiamo sentita  molto in questi giorni, alla tv, sui giornali, nei commenti della gente: “Andate a casa vostra”. E’ stata detta da cristiani, esasperati si comprende, forse discepoli spaventati come quelli di Gesù: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?».
Sì, da cristiani, che magari vanno anche a Messa alla domenica, contro poveri che cercano un po’ di salvezza, pane e casa, come quelli che aveva davanti Gesù; cristiani che vogliono il crocifisso nelle loro case, ma non alla loro porta.
 E così, magari istigati da politici, fanno gesti violenti, e danno fuoco a materassi e mobili per impedire l’alloggio di immigrati, A Crema, in una scuola cattolica, ed è tutto dire, i genitori che vi mandano i figli, scendono in piazza perché il Vescovo li cacci gli immigrati, da un ambiente attiguo: “Andate a casa vostra”. E’ lo slogan di moda.
Fanno più rumore le contestazioni, le chiusure, i rifiuti, ma per fortuna ci sono anche coloro che sanno accogliere.

La situazione è complessa e non vogliamo dare nessun giudizio. Casomai lo dà il vangelo, con la luce necessaria affinché ognuno, politici, istituzioni, cittadini, faccia la propria parte.

Il prodigio della moltiplicazione-distribuzione di pochi pani e di pochi pesci di un ragazzo lì presente tra la folla, ci avvisa che affinché ci sia abbondanza, ci sia pane per tutti, ci vuole la condivisione. Non occorre aver molto: il poco condiviso basta per tutti. Tanto più e perché interviene… la provvidenza.
Non occorre avere delle scorte (quello che abbiamo messo via!) per accogliere e aiutare chi ci chiede pane; bastano le primizie (come aveva questo ragazzo nei semplici pani d’orzo) a cui potrebbe anche non seguire altro se dovesse capitare qualcosa, ma onorati di servire Cristo nei poveri e di fidarci di Lui.

Nel vangelo di oggi, Gesù che interviene a soddisfare una  fame molto materiale, apre la strada alla buona notizia che per noi, per la nostra fame più profonda, c’è un pane di diversa qualità. La sentiremo nelle prossime domeniche.
Ma intanto, non è da trascurare quest’attenzione molto concreta di Gesù. Dare accoglienza e pane è inizio di vangelo, e poi prenderemo con sincerità l’altro pane, la carne e il sangue di Gesù, la vita di Gesù dati in cibo.

Ricorda papa Francesco (ne sul recente viaggio in alcuni paesi dell’America latina)  che “imparare ad essere ospitali per porre fine alla solitudine, è l’insegnamento di Gesù. Essere suoi discepoli, noi cristiani oggi, non è gestire cose e progetti, ma imparare a vivere l’accoglienza e la fraternità. Questa è la migliore testimonianza di Dio. La fede senza solidarietà è una fede senza Dio, senza Gesù, senza i fratelli.

Per far spazio a qualcuno in casa nostra effettivamente ci possono essere delle difficoltà, e come ricordavo prima la soluzione non è semplice. E sta prima di tutto nell’accoglierlo nel nostro cuore, in una mentalità veramente umana ed evangelica. Altrimenti sì ci troviamo davvero a manomettere il vangelo di Gesù. Ci scopriamo solo religiosi, ma non credenti.
Ne va di mezzo la salvezza, quella vera, di tutti.











giovedì 23 luglio 2015

BREZZA

(…dopo giorni “infernali”)


Strusciano le foglie
sull’uscio della preghiera,
gratitudine cantano
fresca e sincera.

Giorni d’afa,
clima di clausura,
respirar sollievo
s’era fatta dura.

“Riposatevi un po’”,
l’aveva detto il Signore,
l’amico, il maestro,
a cui stiamo a cuore.

Così serrato in casa,
pregare, scrivere, leggere,
qui sosta al ministero
e alla calura reggere.

Ma il cuore vicino
a chi pena e soffre,
ogni debolezza e ferita
di misericordia copre.

Una boccata d’aria,
brezza propizia
il torrido placa,
dà sorriso e letizia.

Giorni verranno
di cielo più mite,
della terra le speranze
saranno forti e unite.

Estate è “Assunta”,
prossima festività,
Maria  custode materna
di nostra comunità.








OMELIA

 
16° Domenica B –19.07.2015
- Geremia 23,1-6
- Marco 6,30- 34

A fronte di tanti “pastori”, di ieri di oggi, chi perché chiamato a questo servizio dalle responsabilità che gli sono riconosciute (genitori, educatori, insegnanti, preti), chi perché vorrebbe approfittare del potere che ha in mano e si merita, l’abbiamo sentito nella prima lettura il rimprovero, il lamento di Dio, giacché non sempre all’altezza del loro compito né per correttezza, fedeltà, abnegazione interesse dei più bisogni di essere custoditi, accompagnati, serviti, nutriti… ecco Gesù, il pastore buono, bello.

Che dire di Lui?
Da quello che ci narra quest’oggi il vangelo, colgo un tratto del suo essere “pastore”, del suo prendersi cura degli altri, di chi il padre gli ha affidato. E questo tratto, da un parte innanzitutto ci dà sollievo, ci rassicura – ed è davvero buona notizia – e dall’altra, poiché  siamo chiamati ad imparare da Lui, pure ci è lezione ci impegna.

Questo tratto è il suo sguardo il saper vedere ciò che accade nella vita delle gente, nella mia vita,e riconosce e le mie necessità; uno sguardo di compassione. Sì, prima della parole da dire, c’è uno sguardo da imparare donare se vogliamo essere “pastori” gli uni verso gli altri… Il padre, la madre, prima di tutto sono custodi dei figli da come li guardano, che non significa tenerli sotto controllo, ma con che animo vedono le loro necessità: Anche tra noi, ci aiutiamo dal modo con cui ci guardiamo. C’è lo sguardo curioso, giudice, indifferente; lo sguardo che inganna, falso, interessato; c’è lo sguardo amico, affettuoso, premuroso…Lo sguardo di compassione, quello di Gesù.

Egli vede la stanchezza dei suoi che ritornano dalla missione a cui gli aveva inviati. Sono, chi euforico, contento, chi amareggiato per qualche rifiuto… chissà. Gesù vede e legge la loro stanchezza: “basta, riposatevi un poi, venite in disparte, tirate il fiato”.
Immersi come siamo nel compiere tante cose buone del nostro dovere, aver qualcuno che ti dice: “Dai, calmati, fermati, riposa, molla un po’, pensa te stesso… è una benedizione. Aver qualcuno che comprende la tua stanchezza e ti concede respiro, è un grazia, è una carezza di vangelo. Vuoi mettere uno che ti sempre addosso, e magari ti mette agitazione, affanno, ti fa sentire in colpa perché non fai abbastanza? “Venite in disparte, riposatevi un po’”, non è invito alla pigrizia, ma forse un aiuto a renderci conto che non facciamo tutto noi. Se poi questo riposo è ascoltare se stessi e Gesù,allora è ritrovare le forze.

Lo sguardo di compassione di Gesù vede la fame della gente. Tante “fami”: quella del corpo, (interverrà anche per questa!) e quelle del cuore: vita, serenità, pace, sostegno, giustizia…Vede la folla come “pecore senza pastore” e si commuove. Anche gente incredula, probabilmente, che lo cerca, magari con ambiguità  o interesse trasparente, o perché gli vanno dietro tutti, ma per Gesù merita compassione…(Questo sguardo mi mette in crisi! Il primo, quello verso i discepoli stanchi, mi prende, ma questo mi mette in difficoltà…perché tutti quelli che vengono e lo cercano anche con i motivi meno maturi, meritano comparsone e non giudizio perché sono come “pecore senza pastore”). E di qui riparte la “giostra”, la fatica.

Gesù ha avuto compassione e misericordia verso gli apostoli stanchi che avevano bisogno di riposo e ora ha misericordia delle folle e interrompe il suo riposo. Se abbiamo uno sguardo di misericordia diamo la precedenza alle domande degli altri, le sappiamo intercettare, siano esse espresse o no, siamo per loro motivo di festa, riposo e aiuto.







domenica 12 luglio 2015

OMELIA

 
15° Domenica B – 12.07.2015
- Amos 7,12-15
- Marco 6,7-13

Noi “non siamo profeti, o figlio di profeti”, come confessa l’uomo di Dio nella prima lettura. Non abbiamo prerogative speciali, o credenziali, o patenti, ma il Signore ci dice “va, parla, profetizza…”, come del resto fa Gesù con i suoi amici (che non erano preti!). Anche noi, che ci diciamo credenti o ci sentiamo annoverati tra i discepoli di Gesù, siamo chiamati e mandati, ognuno nelle propria specifica vocazione e condizione.

La prima “buona notizia che portiamo è questo essere assunti e mandati da Gesù, anche se non vorremmo mai altri grattacapi con tutti i pensieri che ci tormentano. Ma ci sono due ragioni che si spingono.
La consapevolezza di avere un tesoro tra le mani da comunicare, una ricchezza importante e fondamentale per affrontare l’esistenza con tutti i suoi pesi e domande, ed è il “regno” cioè Dio qui”.
La fiducia di cui godiamo da parte di chi ci invia, noi beneficiari e collaboratori di questa novità.

Le indicazioni per svolgere questo annuncio e testimonianza, prima di riguardare “cose da dire”, le parole da usare, le “chiacchiere religiose”. Riguardano lo “stile di vita”, il modo di comportarsi nel nostro andare e rimanere presso la gente.Non c’è nell’invio di Gesù un accenno ai contenuti da trasmettere, ma la raccomandazione di un preciso “stile di vita”. Noi evangelizziamo” non con le parole, ma con la vita, con il modo con cui stiamo in mezzo agli altri; noi educhiamo in famiglia, a casa, ovunque, non con le prediche, ma con gesti di  significativi di aiuto, di liberazione, di guarigione. Gli “ingredienti” sono la sobrietà, la semplicità, la povertà, la fiducia nella Provvidenza, la libertà, la responsabilità…

Elogio dei “sandali”.
Tra le varie attenzioni da avere è quella di “calzare sandali”. Perché i “sandali”?
Non erano calzature militari al tempo di Gesù, e non sono “scarponi” ai nostri giorni. Non sanno di sicurezza, forza, prepotenza…
Danno l’idea di leggerezza e libertà, oltre che di umiltà e debolezza… E poi sono “comodi”, cioè lasciano respirare i piedi, non costringono… ci si muove anche con piacevolezza.
Sono “calzature aperte” ad accogliere povere e sassolini che incontriamo sulla strada, a lasciarci ferire, o almeno a disturbarci e a svegliarci di fronte a ciò che incontriamo, le strade e la vita dei nostri fratelli.
Conoscono la polvere, il fango, non nascondono la necessità che abbiamo di essere lavati, purificati noi prima e con gli altri.  Abbiamo bisogno di attenzione, di cura, di tenerezza… di essere amati!
Leggeri ma robusti i sandali, con la facilità di lasciarli davanti al Vangelo che incontriamo. 
Mosè, davanti al roveto ardente, si sentì dire il comando : “Levati i sandali”. Umiltà: adora il tuo Dio”.
Ma agli uomini invece si va con i sandali ai piedi. Carità: servi i tuoi fratelli.

Fiducia, sobrietà, libertà, carità… ecco l’equipaggiamento, lo “stile di vita”, di chi è chiamato e mandato dal Signore.