domenica 25 settembre 2022

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

26° Domenica C – 25.09.2022

Luca 16,19-31

Con la parola buona del vangelo vi devo mettere a parte oggi di una brutta notizia: l’inferno c’è! E non è solo di là! Cosa sarà l’inferno? Ci chiediamo, perché c’è! Mamma mia se c’è! Come c’è il paradiso, “accanto ad Abramo”, come lo chiama la parabola narrata da Gesù, non certo inventata. La storia descritta è assai verosimile anche ai nostri giorni. Dobbiamo ammetterlo! Allora: cosa sarà l’inferno? Perché molte volte abbiamo l’impressione di cominciare a viverlo già a partire da questa vita. “L’inferno è non amare più”!. …l’inferno della solitudine, l’inferno dell’indifferenza e dell’estraneità, persino dentro la nostra stessa casa… lì, nei conflitti, nelle menzogne e nelle incomprensioni che si susseguono.

Il Vangelo ci fa vedere che molte volte l’inferno è quell’abisso che noi stessi cominciamo a scavare nella vita, prendendo sempre più le distanze dagli altri, fino a quando quell’abisso diventa incolmabile. L’inferno è quella durezza che rende impossibile la comunicazione, il dialogo, l’incontro, quando ci accorgiamo che non ci sono più parole che possono aiutarci a risalire dallo sprofondo in cui siamo precipitati.

Il ricco epulone, un mangione senza ritegno, e senza nome, quasi a nascondere la sua vergognosa voracità, ha scavato quella distanza pensando solo a se stesso. È talmente ripiegato sui suoi bisogni che non vede più l’altro. Tutto il suo tempo è dedicato a preoccuparsi di se stesso: “indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti”.

Il vestito e il cibo esprimono i bisogni fondamentali dell’uomo, ma talvolta possono diventare idoli, ossessioni, quando non si riesce a vedere altro, o la preoccupazione per la propria immagine: Con quello che sta succedendo: la guerra, la pandemia, la crisi ambientale e quella delle imprese, l’aumento generalizzato dei costi, il caro bollette…io prendo solo per me. E degli altri, neanche alla porta li vorrei. Ecco l’inferno!

Come nel brano ascoltato domenica scorsa, quello che riferiva dell’amministratore disonesto, così anche per il ricco, arriva il momento in cui è costretto a prendere consapevolezza della realtà. A un certo punto vede come stanno la cose, ma è troppo tardi. L’abisso di indifferenza che ha scavato ha reso irrecuperabile la relazione con gli altri, e quindi con Dio. E non si può più porre rimedio. Abramo, nella parabola, suggerisce di ascoltare la parola di Dio che ci scuote e indica la via: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. Solo il confronto con la Parola ci permette di vedere quanto è profonda la fossa che abbiamo cominciato a scavare nella relazione con gli altri. Piano piano infatti il fratello diventa un estraneo…solo i “cani”, i pagani e i non credenti, si avvicinano al povero.

Prima che sia troppo tardi per risalire dall’inferno, allora, proviamo a togliere l’indifferenza e colmare la distanza, andando alla porta, facendo entrare nella nostra vita, sedere alla nostra mensa, chi è “povero”, e condividere con lui quello che siamo e abbiamo la possibilità di dare e di fare. Chiudiamo l’inferno, apriamo al paradiso!

domenica 18 settembre 2022

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

25° Domenica C – 18.09.2022 

Amos 8,4-7 - Luca 16,1-13 

Dai, non è male che noi impariamo ad essere astuti e scaltri nella vita, come del resto raccomanda Gesù precisando che cosa intenda, per non trovarci a dire ad un certo punto “sono stato truffato”, “sono stato ingannato”. Esperienza che riempie di rabbia e ci fa sentire degli ingenui, troppo buoni, poco svegli.

Ma capita il momento in cui, in sussulto di onestà o perché scoperto, tocca a me ammettere che sono stato io il truffatore, l’ingannatore. Non sia mai! Eppure è così. Allora devo io rendere conto, come capita all’amministratore disonesto della parabola.

Il profeta Amos, denunciando bilance false, pesi ritoccati, sfruttamento dei più deboli, meno accorti, finzioni di generosità quelli che, invece, sono calcoli per un guadagno maggiore, e così via,  ci costringe a verificare come sono le nostre relazioni, Ci confessiamo: amministratori disonesti! Ma non necessariamente di cose, di beni, di risorse economiche negli affari che gestiamo nella nostra vita. Bensì proprio in questa, anzi di questa.

La domanda di fondo che ci suggerisce la parabola di Gesù: è che cosa ne sto facendo della mia vita? Come sto amministrando questa vita, questo tempo, quello che è stato messo provvidenzialmente nelle mie mani? Corriamo il rischio di essere tutti amministratori disonesti, perché usiamo come nostro qualcosa che non lo è. Nella nostra vita infatti tutto è un dono, un dono nel senso radicale, ricevuto da Dio, è qualcosa cioè che non ci appartiene. Tutto ci può essere tolto in qualunque momento della vita: le relazioni, gli affetti, il ruolo, la salute, la vita stessa… e noi andiamo avanti illudendoci di essere padroni assoluti mentre invece siamo solo amministratori! E ci è dato un tempo, più o meno lungo, per non sperperare.

Forse il senso della nostra vita sta proprio qui: comprendere come amministrare nel modo migliore quello che è stato messo a nostra disposizione. La ricchezza, sia essa di beni, di cose, di posizioni nella vita,  diventa disonesta non necessariamente per come ne siamo venuti in possesso, ma per l’uso che ne facciamo, e perché essa ci ammalia, ci inganna, ci possiede, ci imprigiona.

L’ amministratore di cui narra la parabola, nella situazione in cui viene a trovarsi, giuste o false le accuse che gli vengono addebitate, capisce che quello che gli permette di salvarsi, e qui mostra davvero di saper amministrare bene, è con-donare. Certo imbroglia ancora una volta il suo padrone mettendosi d’accordo con i debitori di costui o facendo la cresta a proprio favore dei debiti che dovrebbe riscuotere. Ma ecco il terzo atteggiamento che lo salva:  condonare!

Condonare è togliere un peso dalla vita dell’altro quando non se lo aspetta. Di più del perdono è il condono, perché con il perdono lasci uno con il suo peso, con il condono glielo togli. La prima cosa che Dio ci chiede di fare con la nostra vita non è quella di essere giusti, ma di essere misericordiosi. Amministrare bene? Usando la mia vita per andare incontro agli altri, per sollevarli. E farseli amici! Come? Trasformare beni e ricchezze in relazioni che sanno di libertà, in strumenti di fraternità e di solidarietà. Santa furbizia cristiana!

 

domenica 11 settembre 2022

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

24° Domenica  C – 11.09.2022 

Lc 15,1-32

Ci sono nella vita momenti o situazioni in cui ci sentiamo come perduti. Non c’è da vergognarsene! Una malattia, un infortunio, un insuccesso, un fallimento, una delusione, un abbandono… una vita sbagliata, nel peccato, se abbiamo l’umiltà di riconoscerlo, e così via. Ci vediamo persi nelle nostre relazioni, e quel che è peggio, nessuno viene a cercarci! Sì, a volte, in realtà, avremmo solo bisogno di essere cercati per uscire dalla rassegnazione, per non cadere nella disperazione; cercati come quella pecora smarrita di cui parla Gesù. Ma a volte siamo stati semplicemente dimenticati e non possiamo fare altro che aspettare che qualcuno desideri ritrovarci, proprio come quella moneta che non ha colpa e non ha neppure voce.

Ci si può perdere in tanti modi, dunque, ma la parabola del Vangelo mostra anche che ogni volta che ci perdiamo, c’è sempre qualcuno che ci sta cercando: un pastore, una donna, un padre… Ecco la bella notizia del vangelo: c’è un pastore solerte, un donna che ha cura delle sue cose, soprattutto c’è un Padre, c’è Dio. Sì Dio mi cerca, sempre, instancabile, perché mi ama, per dirmi e darmi il suo perdono, la gioia, la festa, per chi, come me, pensa di trovarla lontana da Lui; desidera che io mi renda conto del bene che mi vuole.

Quali passi fa per cercarci? I passo dell’amore! Quando ci siamo perduti perché non ce la intendiamo più con Lui e tra di noi, abbiamo rotto ogni relazione, che è la perdita più grande, il Padre ci cerca. Come?

 

Innanzitutto il Padre cerca i suoi figli dando loro libertà. Sembra una contraddizione. Ma al più grande ricorda : “figlio, tu sei sempre con me; e tutto quello che è mio, è tuo”. Non è questa una forma di libertà perché si ricordi della sua condizione, e non abbia motivo di che lamentarsi?

Al più giovane non dice niente, lo accontenta, lo lascia andare. E’ un modo strano di cercare il figlio, ma spera che il figlio, facendo la triste esperienza di essersi perso, si ritrovi nell’abbraccio Suo paterno che lo riaccoglierà. Ma per riaverlo come figlio, deve accettare di perderlo, o meglio di perdersi, perdere la propria autorità che l’avrebbe tenuto legato a casa.

Poi, cerca il figlio quando lo attende, soprattutto quando gli corre incontro, lo abbraccia e bacia; non gli rinfaccia quello che aveva fatto, ma lo fa rivestire dei segni di una dignità mai perduta: la veste, l’anello al dito, i sandali. Lo reintegra nella sua verità. Non è che c’insegni qualcosa questo agire fatto di perdono per ritrovare le nostre relazioni perdute, la comunione smarrita per tante liti e accuse?

Da ultimo: come se non bastassero i gesti precedenti, cerca il figlio maggiore, che s’era perduto pur rimanendo in casa, quello che non si era ancora reso conto di essere pure lui amato, uscendo a pregarlo di non rifiutare il fratello; lo cerca abbassandosi a supplicarlo di entrare, anche se questi non si lascia, sembra, cercare. Sì, Dio ci cerca abbassandosi sino a noi, ma noi lo rifiutiamo, forse come ha fatto quel figlio maggiore.

Alla luce di questa Parola, io non temo più di perdermi né sentirmi perduto o dimenticato nella mia vita, nonostante traversie, errori, peccati, poiché c’è chi mi cerca con il suo perdono, Colui che mi ama, Dio! Mio, nostro, Padre!

 

domenica 4 settembre 2022

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

23° Domenica C – 04.09.2022

Luca 14,25-33

Dalla Parola di Gesù tre preziose indicazioni per diventare suoi discepoli:

fare bene i conti, scegliere, decidere!

 

Della prima possiamo ritenerci abbastanza esperti, con un po’ di presunzione a dire il vero, basta che guardiamo alla nostra vita quotidiana. Quanti conti facciamo! Di questi tempi poi, sono doverosi. Ci riusciamo? Ci conviene? Non è un po’ troppo? Bisogna stringere, limitare e ridurre…Non ci arriviamo… e via di questo passo. Se vogliamo stare a questo mondo, dobbiamo imparare a fare bene i nostri conti.

 

Anche Gesù ce lo dice con le due strane parabole che racconta, perché la vita è una costruire e un lottare! Questo il compito che ci attende: costruire e lottare! Se non riusciamo a costruire niente, più che la derisione degli altri, ci prende la rabbia e la tristezza per aver sbagliato i calcoli, fallito, magari a causa della nostra presunzione o stoltezza. Ma non mancano neanche gli ostacoli, o chi ci muove guerra, e ci vuole vincere. Anche qui è bene far bene di conti e contare su rinforzi che non sono negati se abbiamo l’umiltà di domandarli e accoglierli. Ma dobbiamo lottare. Dai, facciamo i nostri conti!

 

Fatti i conti, occorre scegliere! Seconda indicazione da non trascurare. Non possiamo stare perennemente fermi a misurare i pro e i contro, rimanere nella confusione più totale, ora attratti da una parte, ora impauriti dall’altra. Bisogna scegliere, non essere ignavi, incerti, sospesi ad aspettare chissà cosa o chi, sperando, senza far nulla che i conti tornino da soli. Siamo nell’epoca delle scelte, ne va del bene, della salvezza, non solo della propria vita, ma quella degli altri, del mondo, dell’umanità, persino del creato.

Questa dimensione fondamentale della vita costituisce necessariamente la base anche della vita spirituale, che consiste nella decisione di seguire il Signore. Il discernimento, saper scegliere, dunque non può essere solo un accessorio o un optional della vita cristiana e spirituale, il discernimento è la vita spirituale stessa. E il discernimento è il cuore della sequela di Gesù.

 

E arriviamo alla terza indicazione: decidere. Talvolta ci possiamo anche illudere di seguire Gesù. Molte persone andavano verso di lui, ma Gesù precisa che il discepolo è colui che va dietro il maestro, non solo verso. Si può andare verso Gesù continuando a conservare i propri criteri, le proprie ragioni, il proprio stile di vita. Il discepolo invece deve mettersi dietro e seguire il maestro. Solo così si impara il suo stile, in modo tale che, quando si tratterà di prendere delle decisioni, ci si potrà chiedere: dove metterebbe qui i piedi Gesù?

 Condizione per poter decidere è rendersi liberi. Occorre rendersi liberi da quei legami, relazioni o averi, che molto spesso ci possiedono e ci imprigionano. Ecco le parole scandalose, crudeli, con cui si è aperto il dire di Gesù.. Occorre rinnegare se stessi, mettere cioè da parte il proprio io, le proprie ragioni, i proprio schemi e il proprio interesse, per scegliere secondo il Vangelo. La nostra vita si impiglia infatti molte volte dentro cose anche buone, il lavoro, la famiglia, le buone distrazioni, la salute, che però bloccano il nostro cammino. Non è sufficiente che una cosa sia buona in sé per sceglierla, occorre che lo sia per me in questo momento. Ci sono infatti legami in sé buoni, ma che a volte rischiano di legarci e non ci fanno camminare. 

Questo è prendere ogni giorno la propria croce: cioè la logica del Vangelo, il modo di pensare di Gesù, per costruire la nostra vita, il Regno di Dio, e lottare per essa. Ma ricordiamo:  discepoli non ci si improvvisa! Lo si diventa, per Grazia e buona volontà!