venerdì 26 febbraio 2016

OMELIA

 
2° Quaresima C –21.02.2016

- Genesi 15, 5-18
- Luca 9,28-36

Nella prima domenica di Quaresima abbiamo incontrato Gesù nella sua condizione umana, nella sua umanità come la nostra, tentato dal demonio nel deserto e durante la sua vita, in questa seconda domenica il vangelo che ci viene donato, quello della trasfigurazione di Gesù, ci porta su un monte  - poiché il nostro cammino non è solo un trascinarsi su vie impervie - a confessare che in quella carne mortale, in quella umanità che conosce prove e debolezze, vi era e vi è la gloria.
Vi è luce in ogni carne mortale, in ogni umanità. Nella propria e in quella degli altri.
Questa scoperta, avviene nella preghiera, che non muta Dio, ma trasforma noi e ci porta a dire di sì a Lui.

E’ nei suoi desideri fare un’alleanza con noi, è volontà sua stringere una particolare amicizia, vicinanza con gli noi affinché ne abbiamo beneficio e vita.
La prima lettura ci parla di questo impegno che Dio prende unilateralmente descrivendo la stipula di tale alleanza secondo le modalità del tempo che prevedeva l’uccisione di animali mentre i contraenti il patto vi passavano in mezzo come a dire che se non fossero stati fedeli avvenisse loro quella sorte. Nella narrazione qui fatta, solamente Dio, nell’immagine di un fuoco, s’impegna in tal modo. Lui promette così: anche se tu potrai non essermi fedele io, invece lo sarò. Misericordia è fedeltà a fronte di ogni debolezza e tradimento.

Questa è la gloria che Dio pone in una carne umana, in quella di Gesù – suo figlio, l’eletto – come anche in ciascuno di noi per partecipazione al mistero di Gesù; e di questa diventano testimoni ma anche portatori i discepoli  suoi.

Su quel monte di cui parla il vangelo il volto di Gesù cambio d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Misteriosa descrizione della gloria che stordisce quei discepoli. Ma anche immagine della misericordia che si rivela e che troverà conferma poi nella vita concreta di Gesù. 
Infatti misericordia è mostrare il volto di Dio che è amorevolezza, tenerezza, bellezza; è fare della nostra umanità, la povera e provata umanità, la veste bella che  Dio ha assunto per essere il Dio con noi.
Cambiare l’aspetto del nostro volto non è un’opera di restauro su segni dell’età che passa, fare lifting e aggiustamenti vari; una veste candida e sfolgorante non è indossare l’abito alla moda o sontuoso. E’ lasciare che traspaia sul nostro volto, nei gesti, nella concretezza della vita, la bontà misericordiosa del nostro Dio,  come era in Gesù. Questa rivelazione si manifesta nella carità, nel dono totale di sé.

Sì, misericordia è lasciare intravedere tale mistero di Dio in noi. E’ pure vedere così l’altro, chi ci sta davanti nel suo vero “volto”, nella sua identità profonda, nel segreto che lo costituisce e che a noi è insondabile.
Forse abbiamo bisogno che anche i nostri occhi subiscano una trasfigurazione fino ad essere capaci di leggere ciò che di solito non vediamo.Può essere la nostra conversione.

Nel deserto, nella prova e tentazione, sul monte, nella luce e nello stupore, la misericordia ci è data per il nostro cammino. “Questi è il Figlio mio, l’eletto – dice Dio – ascoltatelo”.








 

domenica 14 febbraio 2016

OMELIA

 
1° Quaresima C – 14.02.2016
- Deuteronomio 26,4-10
- Romani 10,8-13
- Luca 4,1-13

E’ la prima domenica di Quaresima, tempo impegnativo, tempo favorevole per il nostro cammino di credenti. Un cammino che non ha inizio da noi, ma dentro il quale siamo portati. Così leggiamo nell’esperienza di Israele, specchio anche della nostra storia: “…il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire…” dalla condizione di schiavitù. Ecco da dove comincia il nostro cammino: dall’ascolto, dallo sguardo di compassione e misericordia del nostro Dio. E’ questa la grazia la ci muove. Nella nostra storia non ci sono soltanto le disgrazie, ma la benevolenza e il soccorso di Dio. Questo atto di fede ci mette in movimento, ci fa desiderare la pienezza di libertà e di vita per cui siamo fatti.

Dove possiamo trovare noi questa pienezza di vita, dove sta la terra ideale dove scorre “latte e miele”, dove nulla ci manca, dove la dolcezza è di casa? Sta nel riconoscere con il cuore  e nel proclamare con le labbra – lo dice la seconda lettura - che Gesù è il Signore, è lui la terra promessa, la tetra benedetta, felice verso la quale siamo in cammino. “Chi crede in lui non sarà deluso”, perché Egli, Gesù, è il compimento della misericordia e della compassione che da sempre ci accompagnano.

Ma c’è da fare i conti con la tentazione, con la prova, che vorrebbe sviarci da questa fiducia, indirizzarci per altre strade. Anche Gesù, nella sua umanità, ha dovuto misurarsi con la tentazione, attraversarla, nella sue varie sfaccettature e lusinghe. La misericordia l’ha portato dentro la nostra umanità provata;  ed è stata, è, la sua, solidarietà vera sia con il suo popolo nel deserto, sia con noi che continuiamo questa percorso nella nostra esistenza.

Dio si muove a compassione, ci indica la terra promessa, ma noi siamo disposti dargli fiducia? Sì, ma siamo tentati, conosciamo paure, dubbi, e lusinghe che ci mostrano altre vie. E’ la nostra umanità, diciamo, siamo fatti così. Dovremo forse rinunciarvi a sentire tutto quello che, a dire il vero, ci dà sicurezza, come il pane e il benessere legittimo, o ci affascina, come la ricchezza, il potere, l’ambizione, o ci toglie ogni paura e rischio fallimento?

Lo Spirito di cui era pieno Gesù e da cui era stato guidato nel deserto ci aiuta a fare discernimento, con dei no a quanto non è secondo la Parola di Dio, e dei sì al suo progetto su di noi, ma sempre con la nostra umanità. E qui abbiamo la bella notizia che viene proprio da Gesù. Gesù non ha rinunciato ad essere uomo che conosce la tentazione, la prova, l’inganno, la seduzione, la paura; no, non ha rinunciato alla nostra umanità, ma ha mostrato che essa si realizza attraversando da vincitore le tentazioni. Essere uomo, essere donna, non significa essere angeli, ma creature destinate – dice il salmo - ad essere ad essi superiori – perché creati ad immagine del Figlio di questo Figlio che ora attraversa e vince le tentazioni.

Conversione, a cui muove e conduce la misericordia di Dio, é rinnovamento della nostra umanità che impara a dire di no al male e di sì al progetto del vangelo, al progetto che ci adatto dalla buona notizia che Dio ci ama.   











domenica 7 febbraio 2016

OMELIA

5° Domenica C – 07.02.2016

- Isaia 6,1-8
- Luca 5,1-11

“Una pesca abbondante” ci è promessa e data tramite Gesù. E’ la bella notizia che ci raggiunge oggi. Un “pesca abbondante” è l’immensa felicità che ci data nella vita, che quasi ci fa… affondare. Tutte le nostre fatiche, l’esperienza profusa in esse, non rimangono deluse con Gesù, che non si accontenta che noi abbiamo a sopravvivere, né vuole che ci fermiamo a vivere, ma che conosciamo la “soddisfazione” di essere al mondo e di essere amati.

Per pescare ci vuole una “barca”. Non è necessario che io …mi faccia la barca. La mia “barca” è la vita che mi è stata data dal buon Dio e dai miei genitori. Mi è cara, ne ho cura, ne sono geloso, la riordino continuamente, le riservo un sacco di attenzioni. Farà anche… acqua la mia “barca”, ma è la “mia”, e anche se a volte è difficile da manovrare, non la cambierei con nessuna. Ne vado fiero e sono grato a chi me l’ha fornita.

Ora, chi sale sulla “barca” oltre a me? Vi sale Gesù! Non posso lasciarlo a terra. Voglio fargli posto e dargli un posto d’onore. Tante cianfrusaglie, e anche cose buone (famiglia, lavoro, casa, amicizie…) non voglio che glielo portino via. Ma c’è davvero Gesù sulla mia “barca”? Egli mi chiede risalire: come negargli questo favore? E se il favore fosse fatto a me? Che io non rilascia a terra, Signore, né ti confonda tra le mille cose che occupano la mia vita!

“Prendi il largo”, egli mi dice. Sì, perché io, con la mia”barca” starei sempre fermo, agli ormeggi, mi accontenterei di poco,e poi sono deluso del “mare”, cioè la storia in cui ho provato a navigare; temo le burrasche, le tempeste. Meglio stare a riva. E così  vivo (?) senza sognare, senza solcare acque nuove e zone pescose. Tutt’al più mio muovo sottocosta. Con il rischio di incagliare la mia “barca”, di veder arenarsi la mia vita. “Prendi largo”, insiste Gesù. Egli viene con me.

“Getta le reti”, dai fondo a quello che sai fare, per cui sei nato o sei stato educato, preparato. Lì sarà la pesca abbondante, la felicità. E sulla sua Parola, solo sulla sua Parola,  io getto ancora le reti. Non mi rassegno al fallimento delle mie fatiche, non ascolto la stanchezza nell’ essere genitore, educatore, prete…Mi fido di Gesù che ho preso con me… e così sono invaso dalla stupore, provo la gratitudine per quella presenza che ha osato chiedermi un favore.

Eppure sono un peccatore, non sono degno di lui. “Allontanati da me, Signore”. “Non temere. D’ora in poi sarai pescatore di uomini”, le cose saranno diverse. O meglio tu potrai ancora sperimentare debolezze e miseria, conoscerai il peccato, ma d’ “ora in poi” non sarà più come prima, perché questo fa la mia misericordia: guarda avanti! Gesù non si fissa sul mio peccato, sulla mia povertà, , ma a partire da questa umanissima fragilità e condizione conta su di noi. Che di questa misericordia sia fatto anche il nostro  stare insieme sulla barca della vita, la nostra casa, la nostra famiglia.






2° - PASSI nella MISERICORDIA

RICEVERE MISERICORDIA

L’incontro con Gesù che avviene nella “Riconciliazione” è segno della volontà di “conversione” che è, prima di tutto, un “convergere” verso Dio così come ce lo ha mostrato Gesù stesso.

Davanti a Lui, al suo volto di misericordia, ci è dato di riconoscere che la vita è nelle nostre mani e possiamo sempre decidere di fare il possibile per dare il meglio di noi stessi nella nostra fragilità. Questa è la “penitenza”: riconoscere la nostra libertà ferita e le sue scelte!

L’incontro con Gesù nella “confessione” aiuta a dire il “vero” della propria vita davanti a qualcuno che ci accoglie e ci ascolta poiché le persone hanno bisogno di relazione per essere e sentirsi veramente tali. “Confessare” è “fare verità davanti ad un fratello”, un’opportunità di un incremento in umanità. E’ un atto di umiltà come creature consapevoli del proprio limite e per questo bisognose di essere amate, cioè perdonate.

Il “perdono”, amore per-dono, ridona la “pace”. E’ causa e stimolo del cammino concreto di conversione.
Nella “Riconciliazione”, ritroviamo l’abbraccio di quella grazia che ci precede sempre, e l’armonia con il nostro cuore, con i fratelli,  e con Dio.  Ci si accosta alla “confessione” – terapia della misericordia - non perché si è infranta la legge, ma perché si è conosciuto l’amore che Dio ha per noi.  



DARE  MISERICORDIA 

“ Insegnare agli ignoranti ”


“Capisci quello che stai leggendo?” (Atti 8,30), chiede Filippo al funzionario etiope che sta leggendo il profeta Isaia. E questi risponde: “E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?” (Atti 8,31).
Nell’ approfondire il significato di essere punto di riferimento per altri, educatore, persona che sa “consigliare”, non va dimenticata la parola incisiva, illuminante, di Gesù: “E non fatevi chiamare ‘maestri’, perché uno solo è il vero Maestro, il Cristo” (Matteo 23,10).

Opera di misericordia è allora, innanzitutto, condurre a Lui affinché si ascolti la Sua parola, il suo insegnamento; far conoscere Gesù ed educare alla familiarità con la Sua persona, i suoi gesti, le sue opere, “Insegnare” è “lasciare un segno”, fare e dare segni che confermano parole che si tenta di trasmettere. E coloro che sono “segnati” dalla nostra testimonianza sapranno “imparare Cristo”, non tanto mandarlo a memoria, ma custodirlo nel cuore, e viverlo nella propria esistenza.

“In-segnare” è “spiegare”, cioè aprire davanti agli altri quello che abbiamo nel cuore, la ricerca, l’amore, la passione, perché vi possano leggere quello che la misericordia ha fatto e fa in noi e con noi. E’ “dare ragione” del perché viviamo in un determinato modo, e farlo con umiltà, pazienza e mitezza, rimandando sempre all’opera dello Spirito che ci abita. Guai se il nostro insegnamento fosse simile a quello di scribi, che sfoggiavano sapere ma non amore, o dei farisei talmente a posto da non conoscere misericordia!

Un primo, antico e importantissimo ambito dove si “insegna la vita” è la famiglia. Nessuna delega, nessun fuga dalla responsabilità alla quale siamo stati chiamati dalla fiducia di Dio, in cui rimaniamo comunque discepoli del Cristo, e siamo affiancati, dentro, dallo Spirito santo. Magari non saremo capaci di lezioni magistrali; dovremo “studiare insieme” a chi ci è stato affidato. Ma il regno di Dio, viene, è, in piccoli semi lasciati cadere con fiducia (cfr. Mc 4,26ss).

Altro ambiente deputato all’insegnamento è la “scuola”, dove chi è proposto a questo servizio è “sapiente” che conduce ad allargare la mente e lo sguardo sul mondo più vasto fatto di relazioni,  conoscenze, responsabilità, valorizzazione dei talenti di ciascuno.
Anche l’ “amicizia” si rivela terreno fecondo di insegnamento con la condivisione di esperienze, fatiche e gioie che sollevano e aprono i cuori.  Guidare a riflettere sui fatti della vita che accadono a noi o attorno a noi, tutto ciò che accade educa all’interiorità, alla profondità, a non lasciarsi ingannare dalle apparenze. Queste, purtroppo non le vediamo solo negli altri, ma molto spesso, pure noi… apparteniamo ad esse. Le abbiamo davvero “imparate”! E siamo “ignoranti” circa il vero bene.

Particolare cura e impegno, anche coraggioso, nell’ “insegnare a chi non sa” è quello della conoscenza della Scrittura, vale a dire della Parola di Dio. Favorire questa conoscenza è lasciarsi guidare dallo Spirito che ci conduce sulle strade degli uomini, ispira il nostri passi, ci suggerisce quello che dobbiamo dire  ( “…lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire” –Luca12,12) ) e ci sostiene, ci ama perché…non vogliamo più dire: “sono stanco!”. Già, perché chi corre per amore non si stanca, mai!

Così dice il Signore:   “… porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Non dovranno più istruirsi l’un l’altro, dicendo: “Conoscete il Signore”, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande – oracolo del Signore –, poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato”.  (Geremia 31,33-34)



Eterna Luce, brilla nei nostri cuori,
eterna Bontà, liberaci dal male,
 eterno Potere, supportaci,
 eterna Sapienza, dirada le tenebre dell’ ignoranza,
eterna Misericordia, abbi pietà di noi.
Fa’ che con il cuore,
la mente, l’anima e la forza
cerchiamo il tuo volto
e siamo portati
dalla tua infinita misericordia
alla tua santa  presenza;
per Gesù Cristo nostro Signore.
Amen

Beato Alcuino di YorK
 

mercoledì 3 febbraio 2016

OMELIA

4° Domenica C – 31.01.2016

- Geremia 1,4-19
-  Luca 4,21-30

Il brano evangelico odierno è il seguito di quello di domenica scorsa. Nella sinagoga di Nazaret, il villaggio dove Gesù era cresciuto, tornato all’inizio della sua predicazione in Galilea, Gesù era stato invitato a leggere un passo del profeta Isaia. Al termine aveva osato un commento, breve, poche parole: “Oggi si è realizzata questa Scrittura (ascoltata) nei vostri orecchi”.

La prima reazione dell’uditorio: la meraviglia. “Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca”. Bellissimo sentire sempre parole di grazia dalle labbra altrui;  non da meno averle sempre sulle nostre labbra.

Ma, per quanto uno parli bene, le cose non durano. Le cose che ha detto Gesù saranno anche buone, il messaggio è buono – pensano gli abitanti di Nazaret – ma è il messaggio di un uomo ordinario. E’ un uomo come noi, chi crede di essere? L’entusiasmo e la meraviglia non conducono alla fiducia in Gesù.

Così si passa dalla meraviglia alla perplessità: “come parla bene Lui, come predica bene”. Ma non si va più in là. Cosa mai vorrà la gente? Vuole miracoli. La gente ti riconosce se fai miracoli, altrimenti sei un povero diavolo come tutti. Uomini e donne di pretesa. Lo sperimentiamo se abbiamo qualche responsabilità, non vi pare? Mentre, invece, dovremmo essere uomini e donne di attesa, vale a dire aperti a quello che il Signore ci vuol dire e dare. Vigiliamo su di noi, perché le persone religiose – come scribi e farisei – a volte pretendono che il Signore faccia come loro hanno in mente.

Meraviglia, perplessità, e si arriva al risentimento, ad una rabbia pericolosa, quando Gesù dice chiaro che le cose stanno diversamente. Non vuole Egli essere speciale perché il profeta, l’uomo mandato da Dio, è una presenza quotidiana. Dobbiamo imparare che è uno di noi, la Parola di Dio è nella persona quotidiana.

Io penso che la precisazione di Gesù in questo scontro con i suoi uditori, all’inizio di tutt’altro animo, sia per noi una buona notizia, poiché ci dice  che non abbiamo bisogno di aspettarci chissà chi per aprirci al vangelo. Senza pretendere chissà cosa e quali miracoli, dobbiamo fare tesoro della presenza semplice, umana di chi Dio ci ha messo accanto, e che può, senza clamore, dare segni di quella misericordia che il brano di Isaia, letto e commentato da Gesù, lascia intravedere.
E se qualcuno, in casa o fuori, si aspetta da noi miracoli, e ci contesta, ci rifiuta, beh sappiamo che anche Gesù non ha sempre trovato bella accoglienza e ascolto nel suo paese (stavo per dire… nella sua parrocchia).

Quando, in casa e fuori, tutti ti applaudono, c’è da stare attenti. Quando incontri ostacoli, può venire dal fatto che ti stai muovendo sui giusti passi. Chi conosce il rifiuto per le sue parole – che possono essere cariche di grazia ma non vengono accolte – penso alla fatica di genitori,educatori, anche alla mia a volte - ha la mite e serena certezza di svolgere un servizio non in nome proprio, ma in nome del Signore; non per interesse personale, ma in obbedienza a una vocazione e a una missione a cui è stato invitato.

E’ un invito al coraggio la parola di oggi, non contando sulla popolarità o successo, ma sulla certezza di compiere quello per cui il Signore ci ha scelto, ci ha “consacrato” – come si sente dire il profeta Geremia. “Io sono con te e sono la tua salvezza”.