domenica 25 giugno 2023

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

12° Domenica A – 25/06/2023

Geremia 20,20-13   -   Matteo 10,26-33

Nemica della fede, del desiderio, della buona volontà che pure ci mettiamo nel seguire Gesù, è la paura. C’è persino chi si dà da fare per aumentarla la paura, magari contando sulla nostra fragilità o momenti di incertezza, come coloro che tramavano contro il profeta del Signore. Non ci resta che ripeterci: “il Signore al mio fianco…e i miei persecutori …non potranno prevalere”; e affidare a Lui la nostra causa.

Spesso ci incatena la paura, per i più vari motivi, ma soprattutto quando vogliamo essere di Gesù. Proprio in questa fragilità possiamo fare esperienza della grazia di Dio: siamo come passeri venduti per un soldo sul mercato della vita, dove quello che conta sono gli intrighi, le strategie, le amicizie giuste, le menzogne e le raccomandazioni… Le critiche e le ingiuste umiliazioni rischiano talvolta di farci perdere la stima verso noi stessi: ed è proprio lì che il maligno vuole portarci, vuole farci credere che la nostra vita non serva a niente, e che nessuno s’interessa a noi, tantomeno Dio. La voce di Dio è ben diversa e ci ricorda invece che nel Suo cuore noi abbiamo sempre un posto di figli amati. È la nostra certezza.

Occorre avere coraggio, lottare contro la paura, non temere mai. Per ben tre volte ripete: “Non abbiate paura” Non ci manca di incontrare diffidenza, chiusura, ostilità e rifiuto. In queste situazioni la tentazione è il silenzio sbagliato, tacere la speranza che ci abita nel cuore, nasconderci, magari fino a fuggire, per comodità, per non aver grane; è rinunciare per paura, appunto, alla libertà, prima di tutto quella interiore, e poi quella esteriore che dobbiamo saper strappare per dare testimonianza di Gesù. Con mitezza, direbbe Pietro. Il tempo che ci è dato, la chiamata che ci è stata rivolta, come quella dei dodici ricorda ti domenica scorsa, sono un tempo, una chiamata, per dire nella luce e annunciare dalle terrazze, significa pubblicamente, la buona notizia del vangelo, che abbiamo nel cuore.

Non dimentichiamo poi che i veri nemici dei discepoli di Gesù, i nostri nemici, non sono quelli di fuori ma quelli di dentro, le tentazioni che nascono dal cuore, gli atteggiamenti idolatrici ai quali cediamo. Le difficoltà di fuori sono occasioni per mettere in pratica il Vangelo, per mostrare la nostra fedeltà a Dio, che abbandona mai chi ha fede in lui. “Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza …il Padre vostro”.

Quel “volere” inganna; ci fa pensare che se cadiamo, conosciamo la sconfitta, l’umiliazione, la prova, sia per volere di Dio. No! La traduzione alla lettera non contempla il “volere”, ma “… senza il Padre vostro”. Nessuno cade a terra , è schiantato, perché Dio l’ha voluto (fatalismo pagano), ma anche quando cade a terra non è abbandonato dal Padre! Anzi cade con lui. Da una tale certezza nasce la fiducia che scaccia il timore: Dio ci guarda sempre con amore, non ci abbandona mai, neanche quando cadiamo.

Vincendo la paura e pagandone il prezzo, testimoniamo il vangelo che è sempre a servizio della giustizia, della pace e della carità. Allora noi scegliamo di essere riconosciuti da Gesù, davanti al Padre che è nei cieli. Per essere rinnegatori di Gesù, è sufficiente cedere al “così fan tutti”, al “così dicono tutti”, seguire la mentalità di questo mondo. Coraggio! La paura è la grande minaccia alla fede cristiana: essa induce al dubbio e il dubbio al rinnegamento del Signore e del Vangelo. Se invece in noi c’è un’umile fiducia, c’è una forza invincibile! “Non abbiate paura!”

martedì 6 giugno 2023

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

SS.ma Trinità – 04.06.2023

Es 34,4b-6.8-9    -   2Cor 13,11-13   -   Gv 3,16-18

 

Abbiamo bisogno di ripensare, forse di riparare, il nostro mondo di amare. E il mistero, il prodigio di Dio che noi chiamiamo, la Santa Trinità, un solo Dio in tre persone, recita la formula del catechismo, formula che è fuori della portata della nostra comprensione, e che solo la fede, la fiducia in Gesù che ce l’ha fatto intravedere, e l’insegnamento della Chiesa, ci aiutano ad accogliere.

 

Nel modo di amare, ci lasciamo spesso intrappolare dal nostro egoismo o dalle nostre paure, pensiamo a difendere prima di tutto la nostra vita, i nostri interessi, il nostro futuro, le nostre comodità. Siamo attenti calcolatori. Ed è a questo primo limite che Dio Trinità ci aiuta a mettere rimedio. Egli “ha tanto amato” il mondo, cioè noi, ciò che ha creato, da mandare il Figlio Suo nel mondo, tra gli uomini, da rendersi visibile a chi volge lo sguardo a Gesù con gli occhi della fede.

La prima lezione di amore sta in quell’avverbio che noi non riusciamo ad immaginare: ha amato, e ama “tanto”! Tanto! Un amore senza misura, un amore che alla nostra logica potrebbe apparire sprecato, considerata l’accoglienza che gli riserviamo. Dio ci ama tanto.

 

Come ci ama? Dando ciò che ha di più caro e prezioso: il Figlio che si è incarnato in Gesù, nato da Maria di Nazareth per un prodigio dello Spirito Santo, lo stesso Spirito di Dio. E il Figlio, mediante la tenerezza, la benevolenza, la misericordia, la solidarietà con chi soffre, l’impegno per la verità e la giustizia, impegno a cui è stato fedele fino a dare volontariamente la propria vita, ha mostrato ed insegnato come ama Dio; meglio, come può amare un uomo in modo divino.

Se la misura dell’amore che diciamo di avere ci fa difetto, non è che la modalità sia diversa. Tutto perché non crediamo in Lui, cioè non ci apriamo al Suo Spirito. Ed ecco allora la terza espressione, quella che ci è ostica, a ricordarci che davanti alla misura sconfinata dell’amore di Dio e alle parole di Gesù, causa l’uso errato, presuntuoso forse, arrogante o orgoglioso, della nostra libertà, noi possiamo sottrarci al bene che Dio vuole per noi e firmare la nostra condanna, infelicità.

 

C’è un terzo insegnamento che viene da questo mistero della Trinità. Dio si muove, ama, ama tanto, ama come Gesù ci ha fatto conoscere, nel rispetto della nostra libertà che egli comunque vuole illuminare. Già queste sono due belle lezioni. La terza: l’amore ha un “perché”. E non un “perché” è conveniente a chi ama, o perché tocca come dovere. Il “perché” dell’amore sta nel bene di chi verso il quale è donato gratuitamente, anche con il rischio di essere rifiutato. Dio ha mandato il Figlio non per giudicare o condannare, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di Lui, cioè ritrovi senso, bellezza, libertà dal male, dal male profondo che è il peccato, il rifiuto stesso di Dio.

 

Noi che amiamo i nostri cari, gli altri, noi, la cui misura di amare è contenuta, speriamo non per egoismo, perché lo facciamo? Perché amiamo? Perché ci tocca? Perché ci conviene? Perché l’abbiamo promesso? Quale bene, quale salvezza vogliamo per chi ci è caro? Il “perché”, lo scopo, il fine del nostro voler e fare il bene, anche a caro prezzo, dov’è? A cosa mira il nostro amore, il nostro sacrificio? Che abbiano, salute, casa, lavoro, affetti, coloro che amiamo? Sono cose belle e ce le auguriamo. Possono essere un segno di una salvezza più profonda, quando tutte queste realtà a cui non possiamo rinunciare, e a Dio certamente non dispiacciono, se vengono accolte, cercate, vissute, credendo che l’unigenito Figlio di Dio, e seguendolo in tutto ciò, è il nostro vero e duraturo bene. In nessun altro c’è salvezza, se non in Gesù, rivelazione di Dio Trinità.