...nell'omelia
13° Domenica A – 28/06/20
2Re 4,8-16 -
Romani 6,3-11 -
Matteo 10,37-42
Nell’ascolto di questa
parola partiamo subito dal nodo più difficile e magari dopo ci sarà più facile
e piacevole accogliere e vivere quanto Gesù ci dice, Subito è una parola forte,
esigente, esagerata, appare pure assurda e crudele: “chi ama il padre o la
madre, il figlio o la figlia, più di me, non è degno di me”. Una pretesa
scandalosa! Gesù vuole competere con gli affetti più cari. Non ci vuol molto
per pronosticargli una sonora sconfitta. Ma Gesù non si mette in concorrenza con
gli affetti di cui è fatta la nostra vita. Non ci chiede di non amare i nostri
familiari, quanto, per dare loro l’affetto migliore di porre in Lui il nostro
amore. Egli si propone decisamente come fonte inesauribile, limpida, del voler
bene ai nostri cari; sostegno irrinunciabile. L’abbia sentita qualche volta la
battuta: “Se non fosse per il Signore, non sarei lì”.
L’uomo può amare di un
amore di qualità perché Dio è presente in lui mediante la Sua grazia e
misericordia.
La
qualità e la verità dell’amore sta nella Sua Carità, altrimenti il bene che
volgiamo ai nostri cari, che spesso è un amore recintato, rinchiuso, più di difesa
che di apertura, che “sa di divano”, direbbe Papa Francesco, diventa possesso e
tristezza, invece che servizio e gioia. Non si può togliere all’amore alcune
prerogative o caratteristiche che lo fanno tale. Gesù parla di “croce” e di
“perdere”: “chi non prende la sua croce
e non mi segue, non è degno di me…chi pensa di aver trovato la vita
fuori di me, la perderà”. No, non siamo condannati ad amare né destinati
alla sconfitta, e queste due parole, in disuso e cacciate dal vocabolario della
mentalità mondana, non privano di una vita beta, di una convivenza felice.
Le
parole iniziali di Gesù rischiano di portarci a considerare l’amore come
qualcosa di impossibile, di enorme. E’ sì una cosa grande, non manca di
richiedere grandi sacrifici e lotte contro il nostro egoismo, paura, a volte ci
sembra contro il buonsenso comune. Ma va pure ricordato che delicate e squisite attenzioni,
apparentemente gentilezze e nulla più, possono essere autentici atti di amore
che godono della benedizione del Signore.
Nel
racconto riportato nella prima lettura, destano ammirazione l’accoglienza,
fatta di tenerezza e premura, della donna e di suo marito, dove è la donna che
prende l’iniziativa di offrire ospitalità ad Eliseo: “Una piccola stanza in
muratura, un letto, un tavolo, una sedia e un candeliere…”per l’uomo di Dio. Come pure la
riconoscenza di Eliseo per questa opera buona: “Che cosa si può fare per
lei, per loro?”.
Il
risultato è una speciale benedizione: “L’anno prossimo, in questa stessa
stagione, tu stringerai un figlio fra le tue braccia”. L’amore non è uno scambio
di favori, ma una delicatezza reciproca! E quanto viene fatto
nel
nome del Signore - “per causa mia”, dirà Gesù – non manca della Sua
misericordia, poiché Dio non si lascia vincere in generosità. “Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere di acqua fresca”…non
sarà senza ricompensa.
Ecco
mitigate le parole che potevano suonare dure all’inizio del vangelo. Certo è
esigente impegnativo l’amore, richiede discernimento e coraggio, ma si esprime
in attenzioni e piccoli gesti che possono anche costare. In realtà di essi si
compiace il Signore con la sua benedizione.