giovedì 28 maggio 2015

OMELIA


Pentecoste – 24.04.2015

- Atti 2,1-11
- Gal 5,16-25
- Giovanni 15,26-27; 16,12-15

Il mandato affidato da Gesù ai suoi e quei segni che avrebbero accompagnato la Parola annunciata come sottolineava il vangelo domenica scorsa , si compiono in forza e con la forza dello Spirito Santo che viene effuso, dato in dono ai discepoli di allora e di adesso. Quei discepoli erano ancora lì chiusi, in quella stanza dove si erano rifugiati nei giorni della Pasqua, e pure noi, non tanto diversi, dobbiamo fare i conti con le nostre incertezze e durezze, dubbi o paure.


Lo Spirito, cioè Dio, la sua presenza e azione in noi, è come il vento la cui direzione, nonostante gli ostacoli che frapponiamo, rimane libera e chiara. E’ lo Spirito della verità, ripete Gesù, che ci guida alla verità tutta intera. Questa è l’amore che Dio ha riversato con abbondanza nel nostro cuore, nella nostra storia; l’amore di Dio che deve circolare tra di noi, fare di noi un’umanità che si incontra, dialoga, pur con linguaggi differenti, costruisce un mondo nuovo per tutti i figli di Dio. Se ci amiamo, in noi è lo Spirito di Dio con tutto il suo peso, la sua gloria, come era in Gesù. Se vi volete bene, lo Spirito abita presso di voi, è nella vostra casa; vi conduce a fare esperienza di quanto Dio vi ami, vi voglia bene.


E poiché lo Spirito vi abita, ciò che è prodotto dalla mentalità di questo mondo, una lunga serie ricordata da Paolo nella sua lettera. non può trovare cittadinanza in voi. Poiché il frutto dello Spirito è invece amore, gioia, pace, grandezza d’animo, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé. Questo variegato frutto che dà sapore buono alla nostra esistenza è ciò che ci fa testimoni di Gesù e ci consente di parlare un linguaggio che tutti possono comprendere, un linguaggio che parla di Dio e delle sue opere.


Lo Spirito, nelle immagine bibliche, è travolgente. Un po’ meno appare così nella nostra vita. Gli mettiamo dei freni. Eppure, nel racconto di questo evento di Pentecoste, il cinquantesimo giorno dalla Pasqua, c’è un’immagine che mi colpisce in modo particolare: quelle lingue come di fuoco, che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro. Al che tutti furono colmati di Spirito Santo.
Chi riceve, accoglie, vive il dono dello Spirito diventa significativo. Significativa è una cosa che indica, mostra, dice la verità; significativa è una persona su cui puoi contare, che ti è di riferimento, che ti…incendia. Questa immagine del fuoco, suggerisce che il discepolo del Signore non è ignifugo, uno che smorza, che spegne ogni entusiasmo, ogni bella passione per la vita, per il vangelo, ogni impegno per il mondo migliore, ma è uno che s’ accende, s’incendia di amore, e incendia il mondo. E’un incendiario, non un pompiere della bontà! Uno che diventa a sua volta fuoco!

Vieni, Santo Spirito, riempi i nostri cuori, e accendi in noi il fuoco del tuo amore.










OMELIA


Ascensione B – 17.05.2015

- Atti 1,1-11
- Efesini 4,1-13
- Marco 16,15-20


Da settimane stiamo celebrando la risurrezione di Gesù, e sarà sempre così, perché questa è il fondamento della vita cristiana, e dell’annuncio del vangelo. Come i discepoli suoi anche noi possiamo provare ancora incredulità e durezza di cuore.  Ma ecco, pur persistendo i dubbi, Gesù affida a loro e a noi di continuare la sua missione, una missione senza confini,senza esclusioni: “Andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo ad ogni creatura”. Ad ogni essere va portato l’annuncio dell’amore di Dio, va mostrata la sua misericordia; ogni realtà di questo mondo va amata e custodita in nome di questa benevolenza.

Nell’incarnazione Dio aveva sposato la terra, era disceso sulla terra prendendo la nostra umanità in Gesù, partecipando alla nostra esistenza. Nel mistero dell’ Ascensione e glorificazione di Gesù, che oggi celebriamo, anche l’umanità cioè noi, penetriamo nel cielo con Gesù, partecipiamo, e siamo chiamati o inviati quindi ad esprimere in modo nuovo, sempre più pieno finché continua il nostro cammino qui, la vita di Dio, che amore.

Questa “buona notizia”, questo vangelo affidato alle nostre mani, alle nostre labbra. Non possiamo rimanere con il naso all’insù, inerti, e disorientati, come potevamo apparire i discepoli secondo l’evento narrato nella prima lettura; ne siamo sprovvisti di gioia per questo, ci ricordava Gesù stesso domenica scorsa , se rimaniamo nella sua amicizia. Ed ognuno potrà concorrere a questo annuncio secondo i doni che ha ricevuto e nelle responsabilità in cui è stato posto. Lo conferma Paolo scrivendo ai cristiani di Efeso, nelle righe finali del brano che abbiamo ascoltato.
Il vangelo, quindi, affidato alle nostre mani, alle nostre labbra…potenziati  dallo Spirito di Gesù che verrà comunicato. E la solenne sua promessa, l’eredità con cui egli continua ad essere presente in mezzo a noi, e non solo. Infatti “ il Signore agiva insieme a loro – vale per quei discepoli, ma anche per noi oggi -  e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano”.

Quali possano essere i segni di questa novità che sta invadendo il mondo, segni di cui sono portatori coloro che credono, coloro che accolgono nella loro esistenza il vangelo, ci viene detto con alcune espressioni che possiamo tentare di attualizzare.
“Nel mio nome”, innanzitutto, è non è accidentale la precisazione, cioè “se abitati e mossi dal mio amore” come “tralci uniti alla vite”, ricordando le parole di Gesù di qualche domenica fa; “nel mio nome scacceranno demoni” : forse potremmo dire, staneranno ogni giorno in qualche misura, i fantasmi che li soffocano - sete di denaro, protagonismo aggressivo, possesso delle persone, la menzogna… i nostri demoni.
Parleranno lingue nuove, e cioè diranno cose vere, oneste, fondate, mantenute.
Terranno in mano i serpenti e passeranno indenni in mezzo alle cattiverie, senza rimanerne avvelenati, contagiati.
Cureranno i malati, poiché guarirli non è di tutti, ma curare, prenderci cura dei malati, sì.

Dovunque ci troviamo noi cristiani annunciamo il Vangelo innanzitutto con la vita; poi, se Dio lo concede, con le parole. Gesù, salito al cielo, non ci ha abbandonati, ma vivendo nella gloria di Dio ha lasciato noi poveri uomini e donne a dare al mondo segni che egli è risorto e vivente, che lavora insieme a noi e conferma la nostra povera parola con la Parola potente del Vangelo e con i segni del suo operare. Muoviamoci con letizia e fiducia.




venerdì 15 maggio 2015

OMELIA


6° Domenica di Pasqua – 10.05.2015

Finalmente conosciamo la volontà di Dio. Essa è contenuta nelle parole di Gesù, poiché queste sono parole per la nostra gioia. “Vi ho detto queste cose affinché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. E già questo è bello, pensare, pensare e ricordare: che la gioia dell’uomo, la mia gioia, può dire ognuno, la tua gioia è in cima ai pensieri di Dio, la sua volontà. Non la sofferenza, la malattia, la disgrazia, la tribolazione, la tristezza, la preoccupazione piena d’ansie e agitazione. No. La nostra gioia è la sua passione, la sua volontà. 

Questo è il frutto, che ci qualifica come risorti, come persone che sono nella vita nuova, frutto che matura in misura abbondante sul tralcio attaccato alla vite, come raccomandava e prometteva Gesù domenica scorsa, paragonando se stesso alla vite e noi ai tralci. Come il vino è buono per delle sue intrinseche qualità legate al tipo di vite che lo produce, così anche noi possiamo dire di essere “buoni”, di “qualità”, se conserviamo questo sapore della gioia, il gusto o l’ebbrezza della gioia. 

Così “piena” da essere traboccante, incontenibile, e quindi non vissuta per conto propria, ma in grado di coinvolgere e contagiare anche altri. Può essere allegria, esuberanza, una gioia frizzante o spumeggiante, esplosiva, come certo vino; ma può essere anche letizia, serenità, pace, calma che si legge negli occhi o si coglie in parole e gesti di mitezza, come bevanda che fa bene; non dà alla testa, ma riscalda il cuore.  Insomma, una gioia come “vino buono”. Non per nulla Gesù compì il primo segno a Cana di Galilea, mutando l’acqua in vino.

Il segreto della gioia, lo dice la riga che precede questa rivelazione della volontà di Dio o desiderio di Gesù, è legato all’amore, o meglio al rimanere nell’amore. “Rimanete nel mio amore”. E questo avviene osservando il  suo comandamento che così recita : “che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”, un amore che arriva dare la vita, considerando gli altri i propri amici. Gli altri, i propri amici. Che impresa d’amore! E di saggezza (perché non è da farsi con sbadataggine!)!

Notiamo: non ci chiede innanzitutto che amiamo lui, che ricambiamo il suo amore, amandolo a nostra volta. No, la risposta al suo amore è l’amare gli altri come lui ci ha amati e li ha amati. La restituzione dell’amore deve essere amore rivolto verso gli altri. Gesù ha risposto all’amore del Padre amando noi, e noi rispondiamo all’amore di Gesù amando l’altro, gli altri.

A parte questa difficoltà che può esserci nella nostre relazioni, motivo di gioia è che Gesù si dichiari a noi, come ad ognuno: “Voi siete miei amici, quando osservate questo comandamento; quando voi rispondete alla mia amicizia, alla mia fiducia e confidenza per la quale vi ho messo a parte di ciò che mi è più caro, il progetto del Padre mio, vi ho coinvolto in questo”.

E sottolinea: “non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”. Sentirsi oggetti di una scelta che non è dettata da interesse o comodità, o costretta da inevitabile constatazione che di meglio non c’è, o per motivi contingenti, è anche questo per noi motivo di gioia. C’è qualcuno che mi ha visto, che conta su di me, qualcuno per cui sono importante; soprattutto c’è qualcuno che mi vuole felice. Ed è così che noi consideriamo il nostro essere cristiani, il nostro essere discepoli di Gesù. Siamo scelti per essere amici suoi, cosa che ci porta a considerare gli altri amici anche per noi, e in questo abbiamo gioia piena.

Se ci fermiamo a pensarci servi, pur generosi, zelanti, puntuali, del vangelo, è facile che finiamo per sentirne il peso, la stanchezza, per lamentarci. E’ naturale. Gesù invece desidera che noi abbiamo gioia, rimaniamo in essa, mediante l’amore, e non conosciamo triste sfinimento che appesantisce la nostra esistenza e quella degli altri.

Se stiamo  vivendo nella volontà di Dio misuriamo la temperatura della nostra gioia, verifichiamo la qualità dell’amore. Questi, prima di essere ciò che noi diamo, è quanto accogliamo di quello di Dio, “che ha mandato a noi il suo Figlio”. Prima dei nostri passi, ci sono i passi di Dio! E se noi ci troviamo impossibilitati a muovere i nostri, non per questo Dio ferma anche i suoi. Ci rassicura quanto detto da  Gesù e davvero in ogni cosa vi è motivo di gioia! Di gioia piena!







lunedì 4 maggio 2015

OMELIA


5° Domenica di Pasqua B – 03.05.2015

Appena qualche settimana fa, tenere foglioline germogliavano sui tralci. Sono ripassato, era no diventate più robuste. Verranno i polloni, le gemme, e poi i grappoli d’uva, gli acini maturi, e infine il vino buono. Tutto questo processo è frutto di una relazione, la relazione tra la vite e i tralci, l’innesto di questi nella prima.

Questa metafora, questa immagine, serve a Gesù per rivelare ancora una volta qualcosa del padre, il vignaiolo, di sé, appunto la vite, di noi i tralci. E aiuta noi a comprendere come il frutto della risurrezione, la vita nuova, ci può essere partecipato, anzi ne diventiamo produttori. Questo frutto sta nella relazione o innesto a cui noi acconsentiamo con Gesù, nella vicinanza, amicizia, intimità che coltiviamo con Lui. Sì, l’uno nell’altro, e questa profonda comunione diventa promessa, garanzia di vita. Sempre la relazione, in cui c’è lo scorrere dell’amore, è condizione di vita, è vita; diversamente, se lo scorrere fosse di risentimenti, indifferenza, ostilità, allora sarebbe la morte. Ma Gesù è qui per darci e insegnare a noi la giusta relazione, nella nostra casa, famiglia, nei nostri quotidiani rapporti.

L’amore è questo reciproco innesto, è la relazione tra di noi, luogo che manifesta se siamo risorti o se siamo ancora preda della morte; è la relazione che produce vita lì dove noi siamo piantati. Non dobbiamo temere questo reciproco innesto come attentato alla nostra libertà, ma averla a cuore come unica condizione per portare frutto.

In questa relazione, visto quello che succede con le nostre viti a tempo debito, è naturale la potatura, che è un taglio amorevole, intelligente, fiducioso, perché il tralcio porti più frutto. Si tratta di togliere ciò che secondario, dare forza a quanto è di essenziale, di incoraggiare quanto si è diventato pronto e maturo per la produzione, si tratta di liberare la vita e non dare la morte. Anche tra noi avviene così. A volte il vignaiolo dispone un distacco per liberare più vita,  più frutti. Abbiamo fiducia di questo taglio, qualunque esso sia , nella nostra storia e che può riguardare le nostri diverse situazioni.

Matrice, e non solo modello, delle nostre relazioni è il ripetuto invito di Gesù: “rimanete in me ed io in voi”. Ribadisce l’importanza della relazione che non è semplicemente abitare sotto lo stesso tetto, quando si tratta delle nostre umane relazioni, così come non basta celebrare riti nella casa di Dio, quando siamo credenti. E’ piuttosto la dimora del cuore il luogo dove vive ogni nostra relazione, relazione con Lui che rimane la fonte, e le nostre che da questa vengono o sono alimentate. E così impariamo ad amare come ama Dio, “non a parole né con al lingua, ma con i fatti e nella verità” (esorta Giovanni nella seconda lettura).
Amare come Dio ama, con gesti molto umani, e allora ci ameremo con gesti che sono diventati divini. L’innesto, l’in-tralcio, sono nei nostri sguardi, nella nostre parole, nelle nostre carezze, nei nostri abbracci, nel nostro servire concretamente le necessità dell’altro...gesti molto umani che diventano divini, perché così ha fatto Dio, così fa Gesù con noi e in noi, e ci permette di essere vivi e non rami secchi.
Egli ha la sua dimora in noi, se le sue parole abitano dentro di noi.

Questi sono i giorni in cui i semi che si mettono a dimora nella terra cominciano a germogliare, le pianticelle iniziano a fiorire. Mettiamo a dimora nella nostra vita, nel nostro cuore le parole di Gesù e ci saranno germogli, e anche frutti, molti frutti, secondo il Vangelo.








domenica 3 maggio 2015

BRICIOLE di VITA

...dal Bollettino parrocchiale - maggio 2015



TEMPO… FIORITO

Prezzo forse ha,
non tiene compenso
il prato fiorito
l’azzurro immenso.
Non orto di passione,
giardino di vita
risorge il tempo
nella visione stupita.
Riprendo il cammino
in mattini di luce,
s’avvolge ogni fatica
di silenzio e amore, 
una perla di rugiada
brilla in quel fiore.


Carissimi tutti,
“quel fiore” è quell’incontro, quell’evento, quella “novità” che germoglia, o l’esperienza che si apre; il seme che vede la luce.  
Sì, forse ha un prezzo fissato dall’amore che non conosce misura, non tiene compenso. E il prato fiorito si fa, la terra non è così arida e dura; e poi l’azzurro immenso, il cielo,  tutti c’avvolge!
“Voglio dare una parte di me perché l’altro viva”, la confessione che mi commuove; “nella prova ho riscoperto la mia famiglia, le qualità dei miei cari”, lo stupore che mi fa lieto; “ho perso il lavoro, non faccio più progetti, il Signore è provvidenza”, la serenità che ammiro…
 “Quel fiore”, qualunque sia il mio “germoglio”, anch’io già lo amo, già voglio averne cura, e lo parteciperò a chi mi è caro… in mattini di luce. Risorge il tempo, la vita, l’amore e riprendo il cammino dove lo Spirito condurrà, brezza dolce o vento vigoroso, amata fatica.
Anche voi rimanete nello Spirito, ma anche nella “carne”, del Risorto perché Dio desidera siate felici e facciate felici.  “Una perla di rugiada” può essere anche una lacrima che si fa luminosa perché un sorriso la fa brillare d’amore, e voi “quel fiore” di piacevole profumo. Con gratitudine, amo respirare!

Don Francesco