domenica 22 giugno 2014

OMELIA



Corpo e Sangue del Signore – 22.06.2014

- Deuteronomio 8,2-3.14-16
- 1Cor 10,16-17
- Gv. 6,51-58

La chiesa celebra oggi la festa del Corpus Domini, occasione per comprendere maggiormente il mistero grande dell’eucaristia e per adorare, ricoprire di affetto e gratitudine  il corpo e il sangue del Signore, quel corpo che egli ha dato e quel sangue che ha versato per tutta l’umanità, avendola amata fino all’estremo (cf. Gv 13,1).

La mia preghiera e meditazione che condivido con voi sono state come catturate, affascinate, a proposito dell’eucaristia, da alcune parole di un noto inno eucaristico, un canto che ancora viene eseguito anche nei concerti dalle voci più rinomate.

E’ “panis angelicus”. Prima del vangelo ne abbiamo proclamato un altro, e il primo verso gli è simile. “Ecco il pane degli angeli, pane dei pellegrini”.

L’inno a cui faccio riferimento, “panis angelicus”, prosegue così.: “il pane degli angeli diventa il pane degli uomini” (“fit panis hominum”),appunto pellegrini, in cammino in questa esistenza, bisognosi di nutrimento, affamati di vita. E già un bel dono, un bell’aiuto che ci viene offerto.

Questo “pane celeste”, dice ancora l’inno,  mette fine alle figure che l’annunciavano ( l’agnello, la manna, l’acqua nel deserto); mette fine alle promesse (“dat panis caelicus figuris terminum”) , finalmente realizza quanto promesso da Gesù: “io sono con voi sempre – io non vi lascio soli - io vi darò il pane della vita”.

Mangiando questo “pane” il povero, dice sempre l’inno, si nutre del Signore (“Manducat Dominum pauper”).
Ecco noi siamo quel “povero”, lo è ognuno di noi. E’ la nostra povertà di “peccatori”. Quindi il pane degli angeli, l’Eucaristia, è pane degli uomini, pane dei peccatori… di chi ha bisogno di grazia e di salute, di misericordia e di perdono, di aiuto.
Papa Francesco, nella sua esortazione apostolica, ha una fortissima affermazione (n.47): “L’Eucaristia non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli”.
Cosa c’è di più debole di un peccatore che non vuole esserlo?

Se abbiamo scelto di vivere nel peccato (odio, avidità, usura, infedeltà…), di condurre un’esistenza contraria al vangelo, di fare scelte e prendere decisioni che non sono secondo l’insegnamento di Gesù, beh, allora,a questo “pane “ ci facciamo “indigesti”. Non siamo più “deboli” deboli; abbiamo la presunzione, se non l’arroganza, dei forti… Quel “pane” non fa per noi!

Ma spesso invece, ci troviamo in situazioni in cui non avremmo voluto trovarci o a cui vorremmo essere pervenuti in modo diverso o da cui vorremmo uscire… Siamo davvero “deboli”, e in qualche modo ne soffriamo. Ecco il pane, la medicina, il rimedio e l’alimento…del povero!

Il “povero”, il peccatore che può trovare giovamento da questo “pane”, dal nutrirsi del Signore, dice l’inno, è servo e umile (“servus et humilis”); è persona che vuol fare della propria vita un dono agli altri, vivere in spirito di servizio, come Gesù ha insegnato; è una persona umile che riconosce il proprio humus, la fragilità e inadeguatezza, la propria piccolezza che lo rende amabile di fronte a Dio.

Nutrendoci di questo pane la vita di Cristo diventa nostra; prima di tutto la vita umana di Gesù, da lui vissuta nella carne fragile e mortale, vissuta per amore di noi.

Noi diventiamo il corpo di Cristo. Non possiamo essere divisi. Non possiamo fare scelte che non sono di Cristo. La sua umanità è la nostra. E la nostra umanità una briciola buona di questo “pane”.

lunedì 16 giugno 2014

OMELIA


SS. Trinità – 15.06.2014

- Esodo 34,4-9
- 2Corinzi 13,11-13
- Giovanni 3,16-18

In questa festa di Dio SS. Trinità, la predica è tutta nel saluto con cui ci siamo accolti: “la grazia del Signore Gesù (Dio Figlio), l’amore di Dio Padre, e la comunione dello Spirito Santo”.
Nel celebrare questa straordinaria, unica e plurale ricchezza, ci accontentiamo di contemplare e rimanere stupefatti davanti a tanto prodigio, misterioso, o realtà d’amore che Dio è. Da lui veniamo, e di lui saremo pienamente partecipi un giorno, senza ombra o limite, nell’eternità; ma intanto in lui siamo e cresciamo, anche in umanità, lungo questo percorso terreno, noi, immagine di Dio, chiamati ad essere sua somiglianza, moneterei, evanescente, ma ben concreti e più umani.

Essere della Trinità e vivere in Dio Trinità significa rimanere e crescere nel grazia del Signore Gesù, Dio Figlio. Questo termine “grazia” dice la “gratuità” con cui Dio ci ama e ci ha mandato Gesù, non “per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”; dice la “bellezza” che è in Lui,e in noi, suoi discepoli, di più sue membra, perché inseriti in Lui nel Battesimo, e Lui in no con il suo Spirito di Risorto. Esistenza cristiana è gratuità e bellezza. Tutto ciò che è gratuità bella è manifestazione di Dio. Noi lo rendiamo presente.

Essere della Trinità e vivre in Dio Trinità significa rimanere crescere nell’ amore di Dio Padre, Signore “misericordioso e pietoso”, che non conosce l’ira, “ricco di fedeltà”. Noi siamo di Dio e diamo Dio quando le nostre esperienze di amore hanno connotazioni di benevolenza, pietà, pazienza e perdono. Questa “giustizia”, cioè essere fedeli all’amore ci fa davvero umani, figli di Dio.

Essere della Trinità e vivere in Dio Trinità significa rimanere e crescere nella “comunione” dello Spirito Santo. E’ parola che rischia di essere abusata o usata con superficialità. Io trovo una bella descrizione di cosa sia “comunione” nell’esortazione che Paolo ci rivolge nel suo scritto: “siate gioiosi, …. fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace”.
Così il Dio Trinità non è solo in noi o tra noi, ma attraverso questa “comunione” attraverso noi, esce, si manifesta nel mondo per aiutare questa umanità a rendersi conto di dove vive, cioè vive in Dio, vive Dio.

Quando all’inizio o al termine della giornata, di un’attività, di un impegno, o in una particolare situazione noi ci segniamo nel nome di Dio Trinità Padre Figlio e Spirito Santo, noi sappiamo che l’umanità con cui svolgiamo o viviamo quel momento è ricca di grazia , di amore, di comunione. Riconosciamo che è talmente piena di Dio che più umani di così non si può.












domenica 8 giugno 2014

GUARIGIONE



( … dopo l’intervento –27-05.2014)

Dolore se ne va lento,
veloce la premura,
mostra affetto e talento
la mano gentile che cura.

Imparo ministero mio,
paziente si fa l’amore,
porta su spalle il pastore
oggi il figlio prodigo di Dio.

La natura riprende la vita,
i campi presto saranno oro,
e il grano provvidenza gradita,
fiducia e impegno del lavoro.

Nel corpo e nel cuore
è dono ogni salvezza,
miracoli mai smentiti,
dà guarigione la tenerezza.

A rischiarare il naturale cammino
limpida la giornata viene,
tanto umano da essere divino
ove l’amore in mano mi tiene



DI  NUOVO


(… altro intervento chirurgico – 26.05.2014)

Annata di tagliandi
per la mia umanità,
a seguire il Maestro
in offerta di carità.

Da primavera all’autunno
oltre l’inverno e l’estate,
sono il fiore e il frutto
di così singolari chiamate.

Non servo ma amico
mi vuole il mio Signore,
egli m’attrezza
di questo corpo e di cuore.

Di tale onore non son degno,
benevolenza e pietà da imparare
nel servizio pastorale
esser pane, sacerdote e altare.

Non da affanni viene il Regno,
del Padre dono e tenerezza,
nello Spirito che fa santi,
da Cristo corpo e sangue vien salvezza.

Serenità mi sorprende,
oso incredibile letizia,
l’incisione del corpo e del cuore
libera a tutti la buona notizia.

Fecondo sia il ministero,
l’offerta bella di me
paziente mite gioioso
in questo passo, Gesù, seguo te.

Quasi colpa avverto invece
il sentire di fratelli la tensione,
e questa sosta ancora imposta
fa misericordiosa la mia missione.

Suvvia, chiamano,
scendiamo nella sala,
anestetico sonno indotto,
non però l’amore in me,
dalla Sua mano sanato e condotto.


OMELIE

Ascensione A – 01.06.14 
- Atti 1,1-11
- Efesini 1,17-23
- Matteo 28,16-20

Ascensione. Gesù, il risorto, se ne va. Ritorna al Padre, alla condizione di Dio Figlio nel mistero della Trinità. E l’umanità risorta con lui, nuova, pasquale, la nostra, potrebbe sentirsi impoverita, anche se Egli ci ha rassicurato, non più tardi di otto giorni  fa: “non vi lascerò orfani”.

Noi facciamo festa, ed è un po’ singolare che siamo contenti quando se ne va chi ci vuol bene o colui al quale vogliamo bene. Festeggiamo bene il Natale, il Signore che viene; è comprensibile. Ma coma far festa per il Signore che parte, e diventa invisibile? Abbiamo coniato un proverbio: “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”. Ma ora non è più così. L’umanità nostra, quella che viene dalla Pasqua, e l’abbiamo incontrata in queste domeniche (umanità che vince la paura, ritrova la speranza, segue il pastore che le cammina davanti, l’umanità il cui posto più bello è Dio, l’umanità che diventa a sua volta dimora di Dio), per questa , per noi donne e uomini pasquali, cambia il proverbio. L’Ascensione lo rovescia: “Lontano dagli occhi, vicino nel cuore”. Quel cielo che viene indicato, come abbiamo sentito, nella narrazione della prima lettura, il posto di Dio che Gesù raggiunge, è il nostro cuore. La nostra umanità non è per nulla orfana e impoverita. E’ ricca dentro!

Ed è un’umanità ben concreta. Chi è risorto con Gesù, cerca sì le cose di lassù, dice l’apostolo Paolo in uno dei suoi scritti, ma non ha la testa per aria, il naso all’insù come se attendesse la manna dall’alto. Le parole di Gesù non lasciano dubbi sull’impegno concreto affidato alla responsabilità dei suoi discepoli: “di me sarete e testimoni, con la forza dello Spirito santo, ovunque; battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo”, cioè immergete nel amore di Dio tutti i popolo, avvolgeteli, fateli vivere di questo. E a sostegno e incoraggiamento di questa missione non facile, basta che pensiamo a chi ci è più vicino, a casa nostra, i nostri stessi familiari, ancora la sua assicurazione: “ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.

La nostra umanità pasquale è ricca dentro, è concreta, con i piedi ben saldi, e responsabili, per terra, sui sentieri di questo mondo, ed è un’umanità che attende. E sì, la sua pienezza deve ancora compiersi, e sarà quando “questo Gesù verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”. Vivere l’attesa non è facile. Aspettare Dio, poi. Quando ne abbiamo immenso desiderio e bisogno, anche se a volte, nel manifestare la nostra fede, abbiamo più l’aria di chi possiede che lo sguardo curioso e la ricerca umile di chi attende. Come cristiani, spesso abbiamo rinchiuso Dio nella nostre dottrine, nelle nostre istituzioni, nelle nostra esperienze… ma non l’abbiamo nella nostra vita vera, risorta. Allora come fare? Raccogliendo l’augurio di Paolo ricevuto nella seconda lettura, lasciando che solo lo Spirito di Dio, e non un altro sentire, illumini gli occhi del cuore che già Egli abita, vinca dubbie resistenze residue che sempre ci tentano. Ci faccia umanità non mandata allo sbando, donne e uomini pasquali, che gioiosi danno fiducia al Risorto!

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Pentecoste – 08.06.2014

- Atti 2,1-11
- 1Corinti 12,3-13
- Giovanni 20,19-23

E’ la Pentecoste, il cinquantesimo giorno dalla Pasqua di Risurrezione. Per il popolo ebraico la festa della Legge di Dio, anima della loro storia, ricevuta nel deserto, cammino di liberazione dalla prigionia dell’Egitto. Per i discepoli di Gesù, e per quella umanità risorta, uscita con lui dal sepolcro porta la rivelazione che la nostra anima profonda, vera, è lo Spirito Santo. Oggi ne abbiamo conferma; oggi è la sua effusione su questa comunità sparuta e impaurita, gli amici di Gesù, che vengono trasformati in suoi annunciatori con coraggio e franchezza, con il dono di sapersi rivolgere, e di farsi comprendere, come narra il testo che abbiamo ascoltato, da tutti.

Ecco un altro tratto dell’umanità di chi accoglie e vive lo Spirito santo che era in Gesù: uscire dalle nostre chiusure, aver forza e sapienza, coraggio e capacità di dialogo con chiunque. Quando in famiglia, nelle nostre relazioni, nella società così pluralistica, nella diversità di vedute, sappiamo agire con libertà e amore, unire forza e rispetto, diamo testimonianza di vita e di parola del vangelo, è lo Spirito che è in noi che ci muove. Allo Spirito, alla presenza e all’azione di Dio, noi vogliamo aprirci, consegnarci, da Lui essere mossi, con Lui fare un nuova storia, manifestare davvero una nuova umanità. In questo senso lo Spirito è, da ogni condizionamento, libertà.

La vera umanità non è quella che ognuno difende, a volte pretende per sé, magari senza che abbia i tratti del risorto incontrati in queste settimane. Ognuno è portatore di talenti, di caratteristiche che gli sono proprie perché le ha ricevute, ognuno ha delle qualità;  e così ci sono diversi doni, servizi e attività. Ma una solo è lo Spirito all’origine di tutto. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune. Ecco la vera umanità: quella che si mette a disposizione per il bene comune, per il bene di tutti, specialmente dei più poveri e bisognosi; non è quella di chi fa carriera a suon di mazzette e corruzione. Non è per nulla lì l’umanità! Chi si rende disponibile, con quello che è, a cercare il bene della collettività, lì è lo Spirito. Lo Spirito è, fa la comunità.

Un tratto dell’umanità che ci viene confermato, riascoltando il vangelo della Pasqua, è che a questa è affiato il compito di togliere di mezzo il male. Innanzitutto dentro di noi accogliendo la pace che Gesù offre. E poi rimuovendolo dalle nostre relazioni, dalla società, dal mondo, mediante il perdono. Se noi perdoniamo, libereremo dal male, dal peccato che si serve dei nostri risentimenti o arroganza per tenere tutti prigionieri. Se non lo facciamo noi, neanche lo Spirito di Dio lo farà, perché ha associato la sua azione alla nostra collaborazione. Lo Spirito è responsabilità.

Libertà, comunità, responsabilità non sono i tratti di un’umanità pesante, seriosa, austera, per nulla affascinante e coinvolgente. E’ la gioia che mostra quanto, nello Spirito, siamo liberi, è la gioia che dice la sincerità nel fare il bene di tutti assecondando i doni dello Spirito, è la gioia che si diffonde dove è vinto il male grazie alla potenza d’amore dello Spirito. E allora non rifermiamo dal pregare: “Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra”.