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Domenica di Pasqua C– 28.04.2013
- Atti Apostoli 14,21-27
- Apocalisse 21,1-5
- Gv. 13,31-35
Non desta particolare
simpatia, non suscita facili entusiasmi, non ottiene molti consensi,
l’affermazione dei due, Paolo e Barnaba, riportata nella prima lettura. Nel
predicare il vangelo, dicevano che “dobbiamo entrare nel regno di Dio
attraverso molte tribolazioni”. Quella vita nuova portata da Gesù, che è
gioia, pace, amore, fraternità giustizia, avrebbe un prezzo notevole, questa “molte
tribolazioni”.
In questa parola, “tribolazioni”,
senza andare tanto lontano, ci stanno, leggendo queste righe, tutte le
preoccupazioni e le corse per annunciare Gesù, preghiere, digiuni,
responsabilità. I due corrono di qua e di là per costituire, sostenere e
incoraggiare i vari gruppi e le piccole comunità dei cristiani; hanno una
parrocchia molto vasta. E’ la Chiesa che si va formando, una storia d’amore,
direbbe Papa Francesco con linguaggio semplice e vero, e non una ong. Sono “tribolazioni”
che appartengono ad ogni comunità, anche ad ogni famiglia, ad ogni cristiano
che voglia vivere, trasmettere il vangelo, e condividere quello che Dio fa per
il bene di tutti.
Queste “tribolazioni”
ricevono luce da una parola di Gesù che troviamo oggi nel brano del vangelo:
“ora il Figlio dell’uomo è
stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato
in lui, anche Dio lo glorificherà”.
E’ la parola “glorificazione”. Che cosa sarà mai?
Essere glorificati, essere
nella gloria, ricevere gloria, non è essere esaltati, applauditi, incensato da
tutti; ma equivale ad essere soggetti, essere produttori di amore. E’ nella
gloria chi ama, chi dà la vita, e grazie a questo dono, a questa “tribolazione”
la riottene, appunto come Gesù che ha riottenuto dal Padre la vita che aveva
donato fino in fondo.
Il contesto nel quale Gesù
dice questa parola ci fa sapere cosa ha fatto per essere glorificato, dove si
accende la gloria di Dio. Non sugli uomini dei palchi, ma sul Figlio dell’uomo,
Gesù, che, in quell’ultima cena, come servo lava i piedi, dà il pane del suo amore
anche a colui che tradisce. Quando uno fa questo, si accende la gloria, riposa
lì la gloria di Dio, la sua presenza. E noi, dove mettiamo la gloria? Per le
vecchie strade mondane dell'ambizione, del prestigio, dell'esibizione o lungo
le strade nuove del Vangelo?
Cosa fare perché questa
“tribolazione”, amare, servire, accogliere tutti, sia “glorificazione”, ci apra il Regno di Dio, e possiamo
sperimentare la vita nuova, offrirla al mondo che ne ha bisogno?
Ecco il “comandamento
nuovo”: “che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così
amatevi anche voi gli uni gli altri”.
Comandamento nuovo in che senso? Dove sta la novità
del comandamento se già nell'Antico Testamento era scritto: "Ama Dio con
tutto il tuo cuore" "e ama il prossimo come te stesso"? Dove sta
la novità del comandamento di Gesù? Sta in quella piccolissima particella "come".
Amarci come Gesù ci ha amati.
Amare non è la prerogativa dei cristiani: uomini e
donne, fuori del cristianesimo hanno dato prova di amore, prove luminosissime,
inequivocabili di amore. Che cosa dovrebbe caratterizzarci, allora, quali
cristiani?
Il "come" di Gesù; non solo la quantità; o
meglio, prima della quantità, la modalità.
L’amore non è solo questione di misura , ma di
qualità. L’amore non si misura, si …gusta!
"Vi ho lavato i piedi", dice Gesù "come ho
fatto io, fate anche voi". Chinatevi a sollevare la stanchezza. Ho
dato il boccone di pane a Giuda, non lasciatevi fermare dall'ingratitudine
degli umani. Come io vi ho amati, così anche voi. “Da questo sapranno che
siete miei discepoli”.
Allora si realizzerà la visione di Giovanni
descritta nella seconda lettura. “Un cielo nuovo e una terra nuova…Dio
abiterà con gli uomini, e asciugherà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà
più la morte, né lutto né lamento né affanno…”
Questa pienezza di vita, il
Regno di Dio, sarà tale perché ha qui ora il suo inizio, il suo germoglio,
nell’amore “come” quello di Gesù.