domenica 28 aprile 2013

OMELIA


5° Domenica di Pasqua C– 28.04.2013

- Atti Apostoli 14,21-27
- Apocalisse 21,1-5
- Gv. 13,31-35

Non desta particolare simpatia, non suscita facili entusiasmi, non ottiene molti consensi, l’affermazione dei due, Paolo e Barnaba, riportata nella prima lettura. Nel predicare il vangelo, dicevano che “dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni”. Quella vita nuova portata da Gesù, che è gioia, pace, amore, fraternità giustizia, avrebbe un prezzo notevole, questa “molte tribolazioni”.
In questa parola, “tribolazioni”, senza andare tanto lontano, ci stanno, leggendo queste righe, tutte le preoccupazioni e le corse per annunciare Gesù, preghiere, digiuni, responsabilità. I due corrono di qua e di là per costituire, sostenere e incoraggiare i vari gruppi e le piccole comunità dei cristiani; hanno una parrocchia molto vasta. E’ la Chiesa che si va formando, una storia d’amore, direbbe Papa Francesco con linguaggio semplice e vero, e non una ong. Sono “tribolazioni” che appartengono ad ogni comunità, anche ad ogni famiglia, ad ogni cristiano che voglia vivere, trasmettere il vangelo, e condividere quello che Dio fa per il bene di tutti.

Queste “tribolazioni” ricevono luce da una parola di Gesù che troviamo oggi nel brano del vangelo:
“ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà”. E’ la parola “glorificazione”. Che cosa sarà mai?
Essere glorificati, essere nella gloria, ricevere gloria, non è essere esaltati, applauditi, incensato da tutti; ma equivale ad essere soggetti, essere produttori di amore. E’ nella gloria chi ama, chi dà la vita, e grazie a questo dono, a questa “tribolazione” la riottene, appunto come Gesù che ha riottenuto dal Padre la vita che aveva donato fino in fondo.

Il contesto nel quale Gesù dice questa parola ci fa sapere cosa ha fatto per essere glorificato, dove si accende la gloria di Dio. Non sugli uomini dei palchi, ma sul Figlio dell’uomo, Gesù, che, in quell’ultima cena, come servo lava i piedi, dà il pane del suo amore anche a colui che tradisce. Quando uno fa questo, si accende la gloria, riposa lì la gloria di Dio, la sua presenza. E noi, dove mettiamo la gloria? Per le vecchie strade mondane dell'ambizione, del prestigio, dell'esibizione o lungo le strade nuove del Vangelo?

Cosa fare perché questa “tribolazione”, amare, servire, accogliere tutti, sia  “glorificazione”, ci apra il Regno di Dio, e possiamo sperimentare la vita nuova, offrirla al mondo che ne ha bisogno?
Ecco il “comandamento nuovo”: “che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri”.
Comandamento nuovo in che senso? Dove sta la novità del comandamento se già nell'Antico Testamento era scritto: "Ama Dio con tutto il tuo cuore" "e ama il prossimo come te stesso"? Dove sta la novità del comandamento di Gesù? Sta in quella piccolissima particella "come". Amarci come Gesù ci ha amati.
Amare non è la prerogativa dei cristiani: uomini e donne, fuori del cristianesimo hanno dato prova di amore, prove luminosissime, inequivocabili di amore. Che cosa dovrebbe caratterizzarci, allora, quali cristiani?
Il "come" di Gesù; non solo la quantità; o meglio, prima della quantità, la modalità.
L’amore non è solo questione di misura , ma di qualità. L’amore non si misura, si …gusta!
"Vi ho lavato i piedi", dice Gesù "come ho fatto io, fate anche voi". Chinatevi a sollevare la stanchezza. Ho dato il boccone di pane a Giuda, non lasciatevi fermare dall'ingratitudine degli umani. Come io vi ho amati, così anche voi. “Da questo sapranno che siete miei discepoli”.

Allora si realizzerà la visione di Giovanni descritta nella seconda lettura. “Un cielo nuovo e una terra nuova…Dio abiterà con gli uomini, e asciugherà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto né lamento né affanno…”
Questa pienezza di vita, il Regno di Dio, sarà tale perché ha qui ora il suo inizio, il suo germoglio, nell’amore “come” quello di Gesù.



sabato 27 aprile 2013

FAME

(… dopo l’incontro-contemplazione 
    “Turoldo, poeta e uomo di Dio” 
    - 26.04.2013)


Mensa imbandita,
sorpresa del Signore,
preparata, donata
da occhi limpidi,
parola profonda semplice,
cuore non diverso,
alla fame confusa
appena sapida,
e risvegliata.

Assaporo contemplazione,
oh commozione,
in animi giovanili,
appagati siamo,
stuzzica il cibo che non perisce,
da mangiare insieme
saporito,
nostalgia sale ancora,
ancora, ancora…

Gioia di banchetto
affollato,
rimane vuoto, troppo,
il posto piange,
il non venire
altro occupa il tempo,
e il cuore,
a rosicar
ciò che non sazia.

L’amore del nulla,
peccato!
Scandalo del male,
incomprensibile sofferenza
di Dio e di uomo,
poesia profezia
narra annuncia vive
passione che salva,
umanità vera.


…..

Narrar della mensa
è prolungar delizia,
insieme più sapore
fa lieto il cuore,
assaggio di verità,
è accendere il desiderio
a non tradire l’invito,
prenotare
ancora possibilità.
Povero
il mio dire,
almeno profumo
di mistica essenza,
riflesso pallido
della luce,
inadeguata eco
della Parola sostanziale,
da gustare.



La fame sentite,
vi morde,
la fame desiderate,
chiedete,
la fame godete,
insegnate,
la fame vi afferri,
condividete,
moltiplicate.

Né sordi,
né ingordi,
né paghi,
né vuoti,
né lontani,
mai più assenti,
venite alla mensa,
abbondante
gratuita

vivanda
che dà vita,
luce e calore,
amore
piatto forte per voi,
e invitati vostri.
Non declinate l’invito.
Il cuore urla.
Chi vi sfamerà?






PENSIERI

Monteviale, 25 Aprile 2013 – S. Messa per i caduti e la pace nella società

La MANO DIO e le NOSTRE
- 1Pietro 5,5-14

Nella festa liturgica di S. Marco evangelista, dalla parola del Signore, per bocca dell’apostolo Pietro che ha avuto proprio in Marco un valido collaboratore nel far conoscere Gesù, ci viene una preziosa esortazione nel celebrare anche questa ricorrenza del 25 aprile, dedicata  dalla tradizione a ricordare la fine della guerra, la ritrovata libertà, e tutte le vittime di quella guerra e di tutte le guerre che feriscono ancora l’umanità. E’ parola quella di Dio che non sfigura davanti ai discorsi che nella circostanza vengono fatti in giro per il paese dalle varie autorità e associazioni. Anzi, per i credenti, è parola che benedice ogni buona riflessione e viene ad incoraggiare ogni onesto impegno in favore della pace e del vero benessere delle persone e della collettività tutta.
Questo vero benessere, la “buona notizia”, il vangelo che i discepoli del Signore ricevono l’ incarico di annunciare non è semplicemente il vivere senza problemi e difficoltà, quanto di sperimentare in ogni vicenda e situazione la presenza amorevole e provvidenziale di Colui che ci è Padre; presenza testimoniata dalla reciproca carità, fatta di fraternità, perdono e riconciliazione, di solidarietà.

“Rivestitevi tutti di umiltà gli un verso gli altri”, esorta l’apostolo facendosi voce certamente della volontà di Dio, a cui sono cari gli umili, i semplici, i poveri, i miti, coloro che sono limpidi nei pensieri e desideri, nelle intenzioni e nelle azioni.
Umiltà è lasciare da parte ogni arroganza e prepotenza, e di queste purtroppo abbiamo ancora parecchi segnali. Appaiono nella nostra personale esistenza quando temiamo che altri ci sovrastino, e ne abbiamo persino la scusa perché vediamo che chi ci governa è spesso maestro in questo. La violenza che traspare dalle parole, accuse, volgarità e denigrazione degli altri, e quella subdola, nascosta in progetti politici camuffati da ricerca del bene di tutti, mentre si mira a difendere i propri interessi, non danno certamente un clima di dialogo e comune impegno E così la guerra si è trasferita nei luoghi dove le istituzioni dovrebbero consolidare invece la pace; nel nostro piccolo, gruppi, associazioni, a livello territoriale o locale, e ancora prima nelle famiglie e tra le famiglie del paese, mai possiamo indulgere all’arroganza e alla prepotenza.

“Umiliatevi sotto la potente mano di Dio”. Questa mano, lo ha dimostrato Gesù che l’ha data a tutti, soprattutto ai più poveri, ammalati, ai condannati dalla società del suo tempo, dalle condizioni di vita in cui erano costretti, questa mano è l’amore, e la sua potenza, è la compassione, cioè la capacità di portare insieme le tristi condizioni e di intervenire in favore degli infelici; questa mano è il soccorso dato a chi non ha nessuno che lo aiuti, a chi non ce la fa, a chi è nel bisogno. Questa è la mano di Dio.
Ed è giustizia, è dare il giusto, dare a tutti non in eguale misura ma ciò di cui hanno necessità per vivere e vivere con dignità e serenità. Chi ha meno, ha bisogno di più. E chi ha più, può accontentarsi di meno. L’amore e la giustizia, sono potenti perché in grado di ristabilire quell’ordine che non è pretendere che tutte le cose filino senza intoppi, ma costruttiva relazione tra i popoli, bella convivenza civile che tutti auspichiamo. Invochiamo la mano buona di Dio, ma anche non neghiamocela tra di noi.

“Umiliatevi”, dice l’apostolo, non “piangetevi addosso, rassegnatevi, disperatevi”.
In un momento storico  in cui si attribuiscono ad altri le responsabilità per come stiamo penando, e chi ha avuto compiti di governo e amministrazione è in prima fila per questa responsabilità, quell’ “umiliatevi” è invito a riconoscere che tutti possiamo avere parte nell’essere causa della crisi in cui ci troviamo. Ammettiamo che forse anche noi, acconsentendo ad uno stile di vita che cercava benessere e comodità nelle cose e vantaggi materiali, nei sotterfugi fiscali tanto più ampi quanto più remunerativi, nelle inadempienze, piccole o grandi falsità, abbiamo costruito l’infelicità nostra e di tanti altri. Abbiamo ceduto alle lusinghe di un sistema che si è rivelato non d’amore e di giustizia veri.

La mano buona di Dio, Gesù, oltre che aprirci gli occhi, guarirci, rialzarci, mano misericordiosa che ci soccorre nelle nostre miserie, diventi la mano di colui che c’insegna a vivere, che ci porta quando non ce la facciamo ad andare avanti con le nostre gambe; ancora di più e prima, mano di colui che ci dice, “prendi la tua barella e cammina, perché io ti voglio in piedi, nella tua bella dignità di donna, di uomo, di figlio di Dio”. Desideriamo sia anche la mano che ferma ogni violenza e tempesta, mette fine ad ogni cattiveria, libera da ogni demone che, “come leone ruggente che va in giro cercando chi divorare” sembra azzannare e impossessarsi del cuore umano attraverso l’ambizione del potere, della ricchezza, del successo.

“Siate temperanti, vigilate”. Abbiate il senso della misura del vostri desideri, e persino dei vostri affanni, “gettando in Dio ogni vostra preoccupazione”, raccomanda ancora Pietro; e “vigilate”, siate prudenti che non significa paurosi, piuttosto non avventati, ma responsabili. Di voi stessi e degli altri. Quel “vigilate” non dobbiamo fermarlo su noi stessi, ma riguarda anche i nostri fratelli, di cui siamo custodi secondo le varie possibilità.

Questa sofferenza, a dire il vero non necessariamente breve, “vi confermerà” in essa potete confermare che siete discepoli del Signore; “vi rafforzerà e vi darà solide fondamenta”. Accogliendo e vivendo secondo questa Parola, la pace e l’autentico benessere dell’umanità sono in buone mani. Lo siano anche quelle dei nostri governanti, non avide, non chiuse, non ingannatrici; mani pulite, generose nel fare il bene, instancabili nell’operare con giustizia; mani che stringono altre mani non per catturarle o per farne un sodalizio di iniquità, ma per far crescere quell’umana fraternità e corresponsabile collaborazione che sono seme promettente di una nuova società.

 


domenica 21 aprile 2013

OMELIA



4° Domenica di Pasqua – 21.04.2013

- Gv 10,27-30

Quarta domenica del tempo pasquale, domenica del buon pastore che è Gesù, ora il Risorto; è colui che ha dato e dà la vita per coloro che il Padre gli ha affidato, e la cui mano è sicura protezione, come Egli stesso afferma nelle poche righe del brano del vangelo appena proclamato.

Questo è davvero motivo di sorpresa e di gioia. L’Agnello, sgozzato sulla croce, colui che ha amato sino ad essere ucciso, è diventato Pastore, e come tale guida ancora la sua comunità. Singolare trasfigurazione, illuminante, ci dice che per prendersi cura degli altri, non serve dare dimostrazione di potenza e forza come le pensa il mondo, quanto piuttosto dare fino in fondo la propria vita con la mitezza, l’umiltà, la compassione, la misericordia, totalità generosa di cui Gesù rimane maestro. Bella lezione per quanti si pongono a servizio o sono chiamati a guidare altri.

"Le mie pecore ascoltano la mia voce e mi seguono", dice Gesù.
Voce di Dio è Gesù. Questo versetto del Vangelo, nella sua luminosa essenzialità ci definisce: chi sono i cristiani?  Sono quelli che ascoltano la voce di Gesù e lo seguono.

Custodisce un'emozione questo termine "voce": "…ascoltano la mia voce". È un termine che dice relazione, intimità. Prima ancora che le cose dette, la voce.
L'emozione di riconoscere e di essere riconosciuto dalla voce, al di là del filo del telefono: ti ho riconosciuto dalla voce. Prima ancora di quello che hai dirmi, mi è cara la tua voce, e già vedo il tuo volto, già sento il tuo cuore. Le parole verranno dopo.

Ma come si fa ad ascoltare la voce del Pastore, la voce del Signore?
Essa ha un tono, un suono tutto particolare, quello dell’amore. E’ fatto di sussurri, di sospiri, di inviti, della chiarezza che non inganna, della dolcezza che non impone, non grida implacabili o comandi freddi; è fatto di silenzio, di attesa, di premura, del calore di una mano che protegge e sorregge.

L’amore sta nella voce e nella mano!
Se la prima, come appena ricordato, esprime tenerezza, la mano offre sicurezza. Così noi dovremo prenderci cura gli uni degli altri, con la voce e con la mano, con tenerezza e fortezza.

La voce di Dio che parla, la si ode, la si riconosce con il cuore. Se non avviene, non è il Signore che tace, non si fa sentire, sono io che ho il cuore chiuso nel rancore, nella superficialità, nella paura, nella presunzione o disperazione. O preferisco rimanere nella mia sicurezza, non concedermi alla sua proposta
Badate bene. Con il cuore e non soltanto con la testa, diceva ieri Papa Francesco in un’omelia. Altrimenti si rischierebbe l’ideologia che pretende di interpretare quanto il Signore dice, e arriva a falsare il Vangelo. La voce di Gesù "ci dice qualcosa e va proprio al nostro cuore. Passa per la nostra mente e va al cuore…perché è parola d'amore, è parola bella e porta l'amore, ci fa amare". Chi non coglie questa caratteristica preclude la strada all'amore e anche alla bellezza.

Ascoltare con il cuore è stupirsi, meravigliarsi davanti alle cose belle, è farsi carico anche delle richieste di amore che ci vengono dagli altri, pronti a dare loro la mano, imparando a discernere le tante parole che nel corso di una giornata ci vengono propinate. C’è il rischio che la voce del Signore sia coperta da troppe voci, da troppi suoni, da troppi rumori, da un diluvio dilagante di parole di uomini.

Come l’amato, nel Cantico dei Cantici, l’attesa della voce dell’amata: "Mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso leggiadro". Seduzione di una voce. Quella di Gesù. Ascoltarla è la nostra gioia. Seguirla la nostra vita!





ECO e CAREZZA !

(...pomeriggio incontri di grazia!)
Squarcio di sole
viene delicato
su cielo uggioso
alla terra ridare luce,
all’amore ridare voce.

Eco…

O voce desiderata,
cercata,
nel cuore risentita,
amata,
ascoltata,
temuta se nascosta,
amplificata
nel silenzio di cose,
zittita dalle stesse,
unica…

… mi sazia…

sottovoce cara,
non sai monotonia,
fedele seduci
dolce nota sulla via,
sempre nuova,
pria che la parola
sveli il volto,
porti il cuore
dell’amato mio Signore…

…interminabile!

Squarcio di vita
vivace bambina
su giornata spenta,
non s’apre invano
l’offerta mano.

Carezza…

O mano buona,
tenerezza materna
fortezza paterna,
fraterna e amica ,
l’indifeso protegge,
l’incerto sorregge,
stringe sicura
in benevola cura,
presente s’appoggia
delicata…

… mi risveglia…

prendi per mano,
lieta conduci
un passo alla volta,
rialzi serena
se la forza è tolta,
sapiente fasci
l’umana ferita,
chiami a grato stupore
per l’amato mio Signore…

…gioioso!

Non più squarcio,
sera luminosa,
calda umanità, 
ove santa e fedele unzione
firma grazia e benedizione.






domenica 14 aprile 2013

OMELIA


3° di Pasqua C – 17.04.2013
- Giovanni 21,1-14

Il tempo pasquale che stiamo vivendo è tempo di meraviglie, di stupore, di gioia. Non mancano i motivi, pur in mezzo a quotidiane difficoltà di sempre. Ne è annuncio l’episodio del vangelo che abbiamo appena ascoltato, la pesca prodigiosa con la presenza di Gesù Risorto.

Per noi credenti, discepoli del Signore, come diciamo e vogliamo essere, non c’è, da una parte, la risurrezione di Gesù, il Risorto che se ne sta per conto proprio chissà dove, e, dall’altra, noi che, siamo “imbarcati” come sempre sulla nostra barca in acque a volte tumultuose o infide, e rassegnati a “pescare”, a darci qualche motivo per andare avanti, per trovare “risorse” che ci aiutino a campare  quando è finito ciò che speravamo…

La risurrezione di Gesù, l’incontro e l’esperienza con Colui che ha vinto la morte, che si è manifestato più forte di ogni cattiveria, avversità, tristezza, rifiuto del bene, noi la volgiamo vivere qui, in questo mondo, in questa storia su questo “lago”, su questa barca, su queste rive. Non ci basta, almeno a me, sapere che tale bellissimo evento e questo incontro avverranno alla fine dell’esistenza. Io ho bisogno di speranza e salvezza, di aiuto, di segni di risurrezione, di amore, di libertà… qui, adesso, ora… Certo, la pienezza verrà un giorno, ma perché ci sia pienezza occorre un inizio, un germoglio; alla fine, il frutto maturo!

Io voglio sperimentare già qui la risurrezione, ne ho bisogno, ed essere  aiuto  e motivo di risurrezione anche per gli altri. Questo è possibile, è vero, perché Gesù risorto non se n’è andato, nascosto. Continua a seguirci nella nostra storia, mentre prendiamo il largo come ci ha insegnato. E con lui a fianco, con lui che ci soccorre, continua dirci la parola giusta, con lui che ci precede con il suo dono,  “un fuoco di brace con del pesce e del pane”, che c’invita a portare qualcosa di nostro, che poi viene anche questo dalla sua provvidente bontà, si realizza quello che aveva già ricordato: “senza di me non potete far nulla”. Sì, Gesù condivide nella nostra vita la fatica che ancora ci attende, la benedice,e realizza il suo progetto e il nostro bene, la nostra felicità.

Il bene che abbiamo salutato con gioia in questi giorni, la liberazione dal carcere di Giorgi, il giovane detenuto nelle prigioni del suo paese e che ci siamo “presi a cuore” (misericordia!) sostenuto anche il dolore della mamma che abbiamo conosciuto, è segno di risurrezione; è parte delle “pesca abbondante” che con l’aiuto signore, mediante la preghiera e l’amore nostro, abbiamo contribuito a realizzare, quando temevamo di non “prendere nulla”. Il Signore  è risorto, come pure anche questo giovane fratello e amico! E tanti altri segni di risurrezione possiamo concorrere a far diventare realtà, germogli di vita nuova,  riconoscendo Gesù tra noi e lasciandoci da lui coinvolgere.

La presenza di Gesù è certa. Ma chi è in grado di riconoscerlo? Chi lo ama!
Giovanni, uno del gruppo, che peraltro correva il rischio di sciogliersi visto che non tutti erano uniti in quella notte di pesca, Giovanni, il discepolo più vicino al Signore, lo riconosce. E con la sua fede (“E’ il Signore!”) che viene dall’amore, apre persino gli occhi a Pietro!
Con il nostro amore “vediamo” Gesù e aiutiamo gli altri a vederlo! La sua risurrezione diventa la nostra e diamo ai fratelli la possibilità di sperimentarla in un comune stupore, in una condivisa gioia, che l’invito del Signore  conferma e moltiplica: “venite a mangiare” .



mercoledì 10 aprile 2013

VUOTO PIENO...

 (… su passi al tramonto!)

Non voglia di parole,
silenzio
il rintocco di campana
riempie,
ticchettio di bosco,
musicale eco di rumori sordi
colora il sentiero,
ove il passo è solo
con il mondo intero.

Respiro l’aria
dei fratelli miei,
cammino sulla comune via,
sconnessa, amata,
spine oggi conosciute,
su soffice verde
chiede coraggio,
velo bianco, tappeto giallo,
al mio passaggio.

E’ posto per tutti:
chi negli anni avanti
dal cucciolo guidato,
il poeta calmo attende
ispirato,
l’atleta silenzioso corre,
l’amante del footing
cerca energia,
il bike, veloce, l’erta via.

Fortuna immeritata,
necessità dovuta,
dono è ritrarsi
da corse e discorsi,
pur delicati umani,
sollecitano, pregano,
incontri in quantità
chiedono qualità.

Non ansie,
né senso di colpa,
impotenza triste,
rassegnata,
cedo all’amore,
nella brezza serale
e al pallido sole,
rassicuro fiducia sereno
il vuoto di grazia è pieno.



domenica 7 aprile 2013

OTTAVO GIORNO


(…nell’esperienza della domenica!)

Emozioni,
punture al cuore,
tepido
leggero sole,
ancora
gocce sulla terra.

Chiusi,
impauriti amici?,
infanti,
non sanno mostrare
ferite,
la sola Parola.

Luce alterna,
gioia intima, confusa,
e sola,
chiama fede,
domanda speranza,
carità offre.

Ombra dolce,
forte il sole,
spessa
la povertà mia,
non schermo,
benedizione

a sanare,
fragilità, miseria
tanta,
prender a cuore
la vita tutta,
misericordia.

Fiorirà
il bene a tempo
di grazia,
la mensa è fraterna,
sapore d’amicizia,
più d’ogni gusto.

Bimbi,
maestri di tavola,
incanto,
trasparente bellezza,
gemme
di materna carezza.


Così è
Risurrezione di gioia,
vita,
pace, perdono, fraternità,
un giorno nuovo
che non conosce tramonto.





OMELIA

2° di Pasqua – 07.04.2013


“Il Signore non si stanca mai di perdonarci. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono”.
E’ una delle prime parole di Papa Francesco all’inizio del suo pontificato presentandosi al mondo. E’ in piena sintonia con l’offerta di misericordia di Dio di cui oggi, ottava di Pasqua, si celebra la festa.

Di misericordia c’è bisogno per trovare pace in noi e tra di noi. Questa parola significa che qualcuno prende a cuore le miserie, le ferite, le cattiverie, il male che rende triste il mondo, vuole mettere a tacere il bene, e causa tante sofferenze, vicine e lontane.

Questa misericordia viene dall’amore più forte della morte, più grande della ferita o dell’offesa ricevuta  che spesso è la morte delle relazioni, dei progetti e ideali più belli. Quando riteniamo che il male che ci è fatto è più grande del bene che vogliamo, e ce lo leghiamo ad un dito, come si dice, significa che questo è davvero piccolo, minuscolo, assai povero.

Ma quando questo è grande “come” quello di Dio, quando questo amore è il “mandato” che il Risorto ci trasmette, con le parole di Gesù nel manifestarsi ai suoi che abbiamo sentito poco fa; quando questo “amore” ci viene soffiato dentro, e ci ricrea, ci fa nuovi, ci fa risorgere, allora la “misericordia” diventa la nostra vita, la nostra missione. Non ci possono essere più porte chiuse e cuori intimoriti

Quelle porte chiuse, dove si trovavano i discepoli, e dove accolgono Tommaso cercando di convincerlo, erano una contro testimonianza al vangelo della risurrezione, ad una buona notizia vangelo che apre. Cristiani chiusi, una comunità chiusa, separata, sulle difensive non sarà mai una buona testimonianza della risurrezione. Per aprire strade alla fede e percorrerle ci vuole “misericordia”, prendere a cuore le miserie, le sofferenze, gli errori dell’umanità.

Misericordia è quella di Gesù che incontra Tommaso con i suoi dubbi, con la sua fatica a credere, e che ha il coraggio di dissentire per seguire la propria coscienza, che vuole usare la testa, rendersi conto personalmente di quanto avvenuto. Non si accontenta di quello che gli altri gli dicono; forse sono poco convincenti, a motivo della paura che ancora chiudeva il loro cuore. Questo incontro ci insegna  che misericordia é soccorrere chi fa fatica non con parole, ma con gesti, con segni di amore, come lo sono le trafitture che rimangono sul corpo del Risorto e che mostrano la misura di questo amore. La  misericordia ci tocca, e noi siamo misericordiosi quando ci lasciamo toccare proponendo senza vergognarci, e con rispetto della fatica altrui, gesti di bontà, che sono le nostre ferite più vere.

Credere al Risorto, a colui che sempre viene e resta in mezzo a noi, offrendoci la sua pace e donandoci lo Spirito santo, non è il frutto di un’esaltazione religiosa o di un’allucinazione, è un cammino che è messo alla prova manche che ha anche il suo maggiore aiuto quando i discepoli sono riuniti, cioè nella comunità degli amici di Gesù. Così nell’Eucaristia della domenica abbiamo una presenza e manifestazione tutta speciale di Gesù che comunica il suo Spirito e ci abilità all’unica missione che ci rende simili a lui, annunciatori di lui. L’ unica missione essenziale che coinvolge la chiesa, e tutti i cristiani, in mezzo a tante cose da fare: è liberare dal male, rimettere i peccati, perdonare in nome di Dio tutti gli uomini. Sì, la chiesa testimonia la resurrezione di Gesù annunciando e attuando tra gli uomini la remissione dei peccati!

Come è stato mandato Gesù, così siamo mandati noi: non a criminalizzare, non la condanna che rinchiude, ma il perdono, il perdono che fa stare il cuore nella pace: "Entrò e disse: Pace a voi!". C'è una grazia per tutti. Come Gesù. Non i gesti che chiudono, ma quelli che aprono, che sollevano: l'ombra di Pietro (nella prima lettura), l'ombra che guarisce al suo passaggio. Pensate, non una parola! L'ombra, quasi l'assenza del gesto, l'ombra silenziosa, una presenza, l'aria che tu fai respirare… dà pace, risolleva il cuore, rimette in cammino. La bellezza di una chiesa, quando bastava un'ombra!