lunedì 30 novembre 2020

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

Avvento B – 29.11.2020 

Isaia 63,16-17; 64,2-7 - Marco13,33-37

In queste ultime domeniche la Parola che ci veniva rivolta era un invito a considerare che la nostra esistenza come un andare incontro al Signore per partecipare alla sua festa, alla sua gioia, alla sua vita. Ed è un appuntamento che non possiamo mancare, causa pigrizia, paura, egoismo, rischiando la nostra infelicità. E’ un incontro quello con Dio dal quale non vogliamo essere colti impreparati, ma nemmeno spaventati.

Riprendiamo il cammino che ci conduce dentro il mistero di Cristo Gesù in questa prima Domenica di Avvento, e confessiamo di sentirci, soprattutto in questo tempo di prova, come ci ricorda la prima lettura, “avvizziti come foglie e portati via come il vento dalle nostre cattiverie”. Non è una buona notizia, ma è la verità. Ma ancor più è verità e davvero buona notizia, la preghiera piena di confidenza, sempre nella prima lettura : “Tu, Signore, tu sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore”. Quasi mette ali al nostro cammino verso il Signore, perché, in realtà è Lui che viene a noi. Lo fa ogni giorno, lo farà al termine della nostra esistenza; lo fa nel Natale del Suo Figlio e nella presenza di costui tra di noi grazie al Suo Spirito Dio viene a rivelarci la sua bontà,  a farci partecipi del suo mistero, la nostra vita, a portarci la sua novità.

Questo è l’Avvento: il ritornare di Dio tra noi. E’ indubbio che, per incontrarlo, passo importante e decisivo sia la nostra conversione, cioè non sfuggirlo. Ma prima c’è il passo di Dio che si muove, che viene verso di noi. Non siamo noi che con le nostre forze, con i nostri meriti, ritorniamo a Lui, e quando questo avviene, è perché Lui che ci viene a cercare e ci raggiunge là dove ci siamo smarriti. Occorre ridestarci per accogliere questo ritorno di Dio, perché ci siamo assopiti, addormentati.

“Fate attenzione”, “Vegliate”, “state attenti”, “tenete gli occhi aperti”, è la parola che ci ridesta. Coloro che sanno vegliare sono due categorie di persone.

La prima. Chi è chiamato a fare la guardia, come servi che devono lottare contro il sonno e le distrazioni, a difesa dei beni loro affidati, della propria e altrui vita, della propria dimora e  altrui salvezza.. In costoro v’è il timore, la paura di perdere ciò che è stato a loro consegnato. Ricevuto il compito  dal padrone, non sanno quando sarà il suo ritorno. Se questi trova le cose a posto, e soprattutto non li trova addormentati, non potrà che complimentarsi con loro. Se proprio vogliamo fare la guardia, attendiamo “come le sentinelle l’aurora”, cioè nella speranza e nella gioia perché sarà incontro di salvezza e bene grazie a Colui che viene.

L’altra categoria che non riesce a dormine sono quelli che sono presi dall’amore, gli “amanti”. L’impazienza, il non star più nella pelle, il desiderio che cresce, l’emozione che monta, la gioia dell’attesa, non aiutano a chiudere occhio, non conciliano il sonno. L’incontro con chi ci ama, con chi amiamo, l’incontro con la felicità tiene svegli.

Senza tralasciare la responsabilità dei servi, che però non deve mettere ansia o paura, come sarà l’incontro con il Signore? Stiamo svegli per amore in sua attesa, desiderando di sperimentarlo ogni giorno sino a quando avverrà quello definitivo quando Egli ritornerà  a noi “rivestito di potenza e di splendore”, riconosce la preghiera dei credenti. Ma grazie a Colui che ci ha plasmati ed è “nostro padre”, come rivela la prima lettura, io lo immagino così: sarà un abbraccio di amicizia, un abbraccio di tenerezza, un abbraccio di misericordia, un abbraccio di vittoria sulla morte Insomma, un incontro, un abbraccio d’amore.

L’Avvento è il tempo della responsabilità e dell’ amore che vegliano. Riprendiamo così il cammino, il nostro andare incontro al Signore che sta venendo a realizzare qualcosa di nuovo, a instaurare un regno di Pace. Ed già molto avanti.

domenica 22 novembre 2020

BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia 

34° Domenica A – Festa di Cristo Re – 22/11/2020 

Ezechiele 34,11-17   -   1Cor 15,20-28   -   Matteo 25,31-46

Gesù è il Signore! E’ la nostra professione di fede. E’ il Signore perché ha vinto la morte, ed è Re perché in Lui, anzi Lui è il Regno di Dio, la vita nuova, piena, che il Padre vuole per tutti i suoi figli, l’umanità intera. La vittoria per cui il Padre lo costituisce tale è l’amore. Questo amore è stato riversato anche nel nostro cuore, e la nostra vocazione è diventare pure noi “regali” figli di Dio. Il pass per godere di tale grazia rimane l’amore. Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore. Di qui non si scappa. E sta pure tutta qui la predica che possiamo ricavare riflettendo sulla parola di Gesù, con la scena finale che Egli ci descrive al termine della nostra esistenza.

L’amore è il singolare talento, ci ricordava la parola domenica scorsa, che ci è stato dato non perché lo teniamo stretto per noi o lo nascondiamo, ma perché lo investiamo, lo moltiplichiamo, poiché è desiderio del Signore farci partecipi della sua gioia, del suo Paradiso. L’unico modo per investire l’amore, valorizzarlo e moltiplicarlo in questo mondo, l’unica via che ci fa veri re e signori – titolo che riconosciamo a Gesù -  è quella di servire; di amare concretamente poveri e infelici, di “regnare” al di sopra di ogni miseria sino a porvi fine, sino a vincere ogni male, compreso quello estremo della morte.

E’ la stessa cura, la stessa premura che Dio mostra nei nostri confronti, come narra la prima lettura, ad incoraggiare le opere di bene descritte nel brano del vangelo – gesti molto concreti a cui siamo chiamati continuamente - ad insegnarci ad amare;  cura e premura che si sono manifestate in Cristo Gesù, pastore e re, compiendo le promesse di Dio fatte attraverso il profeta Ezechiele: cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna…le radunerò dove erano disperse, le condurrò al pascolo, le farò riposare. E poi ancora: andrò in cerca di chi si è perduto, ricondurrò chi è smarrito, fascerò chi è ferito, curerò chi è malato, avrò cura di chi sta bene ed è forte… Insomma, mi farò carico dei bisogni dei miei fratelli, dice Gesù. Egli è il Signore della gloria il cui altro nome è amore! Noi suoi discepoli non possiamo fare diversamente.

Per onestà, non possiamo tacere, le parole del vangelo che annunciano il giudizio a cui saremo sottoposti, un giudizio di misericordia se avremo usato misericordia; è sarà un abbraccio di tenerezza; un giudizio severo, invece, se saremo stati severi. In pratica Dio non farà altro che ratificare nei nostri confronti, rispettando la libertà dataci per amore, l’atteggiamento che avremo tenuto verso il prossimo, i fratelli nostri e suoi, i più piccoli tra costoro, i più poveri, gli ultimi, gli abbandonati, i condannati, i messi fuori, per qualche motivo, quanti, anche per colpa loro, vedono compromessa davanti ai propri simili la propria dignità, dignità di cui Dio si fa garante e difensore.

Andiamo incontro al Signore impiegando l’amore che ci è stato dato. Noi tutti diciamo di voler amare il Signore (che non vediamo); ma come possiamo farlo se non amiamo quelli che vediamo o che sappiamo essere nella necessità? Egli si è immedesimato con costoro, anzi è uno di loro. E anche se non riusciamo a vedere Cristo in tanti infelici, l’ignoranza non ci esonera dall’intervenire in loro favore. Un giorno saremo felicemente o amaramente sorpresi di essere stati davanti a chi ci è re e signore anche in questa vita, pur se le apparenze non lo dicono. E la nostra sorte sarà di conseguenza.

 

 

mercoledì 18 novembre 2020

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

33° Domenica A – 15/11/2020 

Matteo 25,14-30

Domenica scorsa, ascoltando la parabola delle dieci ragazze che con le loro lampada a olio erano chiamate ad andare incontro allo sposo, ci chiedevamo a cosa stiamo andando incontro noi, in questo particolare momento che tanto ci preoccupa e mette paura. Ci sentivamo esortati a farlo con l’amore che Dio mette a nostra disposizione, come l’olio delle lampade di quelle ragazze, per illuminare e vivere bene la nostra speranza nell’oscurità del momento presente.

L’amore, nel perdurare della notte, ci consente di non cedere alla paura che prende il terzo servo della parabola davanti al compito che il padrone gli ha dato di investire, moltiplicare, il talento che gli aveva affidato. Anche oggi ritorna la paura. Quanto incide nella nostra esistenza. Non so se sia il primo dei peccati, ma certo ne è una fonte. La paura di essere…infelici ci fa cercare strade sbagliate.

L’errore di del terzo servo è di aver avuto un’idea cattiva del padrone, come noi possiamo averla di Dio. Anche a noi può capitare di pensare male di Dio; di pensare che Lui non è in grado di volere e darci la nostra felicità, e ci comportiamo di conseguenza, arrangiandoci e difendendoci. Eppure ci domanda di essere fedeli nel poco, nelle cose quotidiane, nei piccoli gesti d’amore compiuti non in modo rassegnato, ripetitivo, pauroso, ma con quello slancio e fantasia che ci ottengono  la compiacenza e la partecipazione alla gioia del nostro Padre.

Prima di questa paura, e come antidoto, c’è la “bella notizia” della fiducia di Dio nel consegnarci il capitale prezioso della vita. Per lui non contano i numeri che uno ha, ma la qualità dell’impegno che ognuno è chiamato a profondere. “Guarda la vita, mettici il cuore, ogni giorno, mettici amore”, sembra dire consegnando i suoi beni. Egli vuol promuovere la nostra responsabilità e maturità.

La “bella notizia” si fa piena, poi, con  il finale di festa e di gioia che Dio prepara per tutti suoi figli. E’ una conclusione bella della nostra fatica. Ed è triste che con le nostre stesse mani, seguendo il comportamento del servo pauroso, ci scaviamo la buca

C’è una gioia grande che ci attende, quella del nostro Signore. Restiamo svegli, vigiliamo e siamo sobri, ci esorta Paolo nella seconda lettura. Non si tratta di coltivare un ottimismo ottuso, proprio di chi si vuol ingannare da sé o da altri, perché ci porta alla rovina, ma essere, sempre come precisa la parola di Paolo, “figli della luce e figli del giorno”. Noi non apparteniamo alle tenebre, non apparteniamo alla paura, ma all’amore, perché questo siamo liberi e coraggiosi!

Ci sprona l’ immagine bellissima della donna forte, cantata nella prima lettura. Non mi meraviglierei, anzi,  se i due servi buoni e fedeli che meritano il plauso e il premio del padrone, fossero in realtà due donne. Sì, due donne, dove bellezza e grazia, saggezza e operosità, moltiplicano l’amore che è stato affidato al loro cuore e alle loro mani. E’ uno stupendo omaggio, un doveroso riconoscimento a chi trasmette coraggio e generosità; a chi  dall’amore, e non dalla paura, si lascia condurre ad investire la propria vita.

 

 

domenica 8 novembre 2020

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

32° Domenica A – 08/11/2020 

-  Sapienza 6,12-16    - 1Tessalonicesi 4,13-18     - Matteo 25,1-13

Già alla prima riga di questa parabola, ho sentito di dovermi fermare. Quel gruppo di dieci ragazze che uscirono incontro allo sposo mi ha indotto ad interrogarmi. Noi a cosa stiamo andando incontro? Nella situazione in cui ci ritroviamo stiamo andando incontro, forse, ad un disastro, alla fine del mondo, al lockdown, alla morte? Certo, timori, ansie, paure, non mancano. Dove siamo diretti? La crisi, a tutti i livelli, ci fa temere di essere diretti a difficoltà sempre più grandi, a mancanza di serenità, sicurezza, libertà, quello che desideriamo e attendiamo. In questi giorni pensavo che la pandemia del covid non solo minaccia la nostra esistenza, recando o facilitando la morte della vita fisica chi è aggredito dal virus, ma rischia di dare la morte all’anima, cioè a tutto ciò che di bello, di buono, di attraente, fa piacevole stare al mondo, le relazioni più care, la solidarietà; rischia di scavare un solco tra noi e gli altri, e non ci salva il comunicare via web, on line, la rete… poiché ognuno non sempre si prende cura del bene degli altri, di tutti. Abbiamo paura di incontrarci, e questa è la morte dell’anima. Dove stiamo andando? A cosa e a chi stiamo andando incontro?

Ritorniamo alla parabola: Il gruppo delle ragazze uscirono incontro allo sposo, incontro al loro cuore; o meglio, incontro a chi poteva dare vita, letizia, festa, gioia, amore. E mi son detto: dai, anche noi usciamo incontro a costui, usciamo, e, per usare un’espressione bellissima della lettera di Paolo che annuncia una speranza più forte della morte e raccomanda di non essere tristi, vogliamo “essere rapiti” dal Signore. Prima di arrivare a quell’incontro, che, a dire il vero mi suscita un pizzico di nostalgia e curiosità, incontro di cui non conosciamo né il giorno nell’ora, quando “per sempre saremo con il Signore”,  è importante che abbiamo ad uscire per andare incontro oggi a Gesù.

“Uscire!”. Come sentiamo vitale questa necessità, nella condizione di pandemia che,  invece, ci penalizza,  ci intristisce, e rende difficile ogni più bella relazione. Eppure non possiamo vivere senza “uscire”, cioè lasciare lo stato di ansia, angoscia, di terrore e preoccupazione, ma anche la leggerezza, la superficialità, la rabbia; “uscire” verso chi ci fa battere e vivere il cuore. Allora, anche noi andiamo incontro a Cristo Gesù, e ciò che ci muove è il desiderarlo.

“Desiderare” è anticipare l’amore che ti sorprende; è allargare sempre più la capacità per accoglierlo; è metterci in cammino, anche nella notte, rimanere svegli. Grazie alla fede in Gesù, crediamo che Lui ci aiuta a stare svegli, tiene vivo il cuore nella notte che tanto sa di incertezza, paura, minaccia di morte a tutti i livelli. L’olio delle ragazze prudenti necessario per un’attesa prolungata dice molto sul desiderio che teneva acceso il loro cuore. Vale anche per noi averne in abbondanza perché non si spenga la speranza.

Allora occorre “vegliare”. L’olio prezioso che tiene desto il nostro desiderio, e accompagna nell’ uscire, è l’amore che Dio per mezzo dello Spirito ha già messo nei nostri cuori. E’ la Sua Parola che illumina, rassicura e conforta. Egli ce ne dà al bisogno. Di solito si dice che più passano gli anni, più si spegne la vita, e l’amore si consuma. Per un discepolo, innamorato di Cristo Gesù, deve, invece, avvenire il contrario. Più passa il tempo, più luminosa diventa l’ esistenza, più ardente il desiderio, e l’amore cresce con gli anni.

Affinché avvenga, la sapienza, di cui ci parla la prima lettura, viene in cerca di noi, anzi è già seduta alla nostra porta, e si offre a noi. Usciamo per andare incontro allo Sposo ed essa entrerà nella nostra casa! Nella nostra vita.