domenica 25 luglio 2021

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

17° Domenica B – 25.07.2021

- Giovanni 6,1-15

“Gesù, alzati gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui”. E la compassione che prova lo porta a preoccuparsi per questa moltitudine: “Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?”.

- Domenica scorsa, davanti a tanta gente, diceva il Vangelo che “Gesù si mise ad insegnare molte cose”. Ecco qui cosa sono queste “molte cose”. Non discorsi ma un gesto, non raccomandazioni ma la risposta da un bisogno concreto, non molte parole ma un pane. Un pane per sopravvivere. Poi sarà per…vivere. Ma sarà un altro pane: lui stesso! Il vangelo comincia con un pezzo di pane, quotidiano, qui, e poi si avrà la pienezza: “Io sono il pane e questo è il mio corpo”

- Con questo interessamento e con il gesto che ne segue Gesù mostra che a Dio non sfugge ciò che è necessario all’uomo affamato sì di pane, ma poi anche di libertà, di giustizia, di pace, e soprattutto della sua grazia divina.

Davvero con Lui un’umanità nuova è possibile; uomini e donne che finalmente possono gustare la vita e il pane, che ne è alimento e simbolo, “seduti” e “gratuitamente”.

Forse può far sorridere questo particolare della narrazione. Ma se pensiamo che all’inizio, nella Bibbia, è scritto: “Con dolore trarrai cibo per tutti giorni della tua vita. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane”, voi capite che con Gesù è finita la maledizione, è giunta la benedizione del regno. Rimarrà il lavoro, l’impegno, la responsabilità, ma la vita, e quanto di bello c’è in essa, è dono di Dio.

- Ci sono tre parole abituali che scandiscono il nostro approccio alla vita. Se le pronunciamo, e le viviamo con Gesù, con la sua compassione, segnano un avanzamento nella nostra vita cristiana: “Niente, poco, tutto”.

“Non abbiamo niente, non possiamo far niente!” Oppure: “ Abbiamo poco, possiamo fare ben poco”. Questa la constatazione anche dei discepoli di Gesù. Anche per Filippo e Andrea il poco equivarrebbe al niente; quindi non vale la pena impegnarsi.

Gesù capovolge la prospettiva: il poco che si possiede può essere donato e diventa tutto. Il calcolo da fare non è se sia sufficiente quello che ho (in pane, possibilità, tempo, energie…), ma se sono capace di condividerlo pienamente quel “poco”. E’ la migliore verifica della qualità della nostra fede, tanto a livello personale, quanto a livello comunitario.

Non si tratta di cambiare  le leggi dell’aritmetica, ma è così! La “divisione” è la vera moltiplicazione. Gesù distribuì, divise il pane. L’amore si moltiplica dividendolo, dando a ciascuno il pezzo di cui ha bisogno per vivere.

“Dove troveremo il pane per tanta gente?”. Educare, insegnare la compassione è richiamare gli altri al bene che possono fare. Dio è fatto così: pro-voca, suscita la nostra collaborazione, non si sostituisce a noi, ma vuole che diventiamo manifestazione concreta della sua premura, anche con il poco di cose e con la molta fiducia nel dividerle.

 

 

 

domenica 18 luglio 2021

BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

16° Domenica B – 18.07.2021 

Geremia 23,1-6   -  Efesini  2,13-18   -    Marco 6,30-34

Gli apostoli, dopo la loro prima missione, ritornano da Gesù e gli riferiscono “tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato”. Certamente entusiasti, anche gasati, ma pure affaticati. Ecco la delicatezza di Gesù: “Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’”. Egli vuole portare i suoi amici…in ferie!

L’intenzione di Gesù non si può realizzare. La folla, intuendo il luogo solitario dove si sarebbe diretto con la barca insieme ai suoi discepoli, accorre là prima del loro arrivo. Lo stesso può accadere anche oggi. A volte non riusciamo a realizzare i nostri progetti, perché sopraggiunge un imprevisto urgente che scombina i nostri programmi e richiede flessibilità e disponibilità alle necessità degli altri.

Siamo chiamati ad imitare quanto ha fatto Gesù: “Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose” . Tre verbi di questo fotogramma: vedere, avere compassione, insegnare. Li possiamo chiamare i verbi del Pastore, di chi  ama, di chi è chiamato ad amare: genitori, educatori, preti. Gesù guarda sempre con gli occhi del cuore. E il suo cuore è così tenero e pieno di compassione che sa cogliere i bisogni anche più nascosti delle persone.

Si mise a insegnare loro molte cose. Ecco il primo pane che offre alla folla affamata e smarrita: il pane della Parola. Tutti noi abbiamo bisogno della parola di verità, che ci guidi e illumini il cammino. Senza la verità, che è Cristo stesso, non è possibile trovare il giusto orientamento della vita. Quando ci si allontana da Gesù e dal suo amore, ci si perde e l’esistenza si trasforma in delusione e insoddisfazione. Con Gesù al fianco si può procedere con sicurezza, superare le prove, si progredisce nell’amore verso Dio e verso il prossimo.

Saper vedere ciò che accade nella vita delle gente, saper riconoscere le necessità! Gesù vede gli amici stanchi e vuole portarli a riposarsi, vede la gente smarrita e si mette a dire una parola buona. Il suo è uno sguardo di compassione. Sì, prima della parole da dire, c’è uno sguardo da imparare se vogliamo essere “pastori” gli uni verso gli altri… Così chi si ama, come gli sposi, chi si vuole bene, come gli amici. Così i genitori, prima di tutto custodi dei figli da come li guardano, che non significa tenerli sotto controllo, ma con l’amore che ne cogli le vere necessità. Purtroppo c’è anche chi non se ne cura, o dice di non avere tempo per farlo. Tra noi, ci aiutiamo dal modo con cui ci guardiamo. C’è lo sguardo curioso, giudice, indifferente; lo sguardo che inganna, falso, interessato; c’è lo sguardo amico, premuroso… Lo sguardo di compassione è quello di Gesù, e i suoi occhi sono le finestre del Suo cuore, e così Egli non rimane impassibile, indifferente, e, nelle ferie sue e dei suoi amici, “si mise ad insegnare molte cose”.

Non è che non dobbiamo staccare qualche volta la spina, troppo attaccata agli affanni quotidiani, sovraccarica di tensione. C’è un annuncio bellissimo di Paolo nelle parole della seconda lettura che, tradotte, sostanzialmente dicono così: Gesù ha portato pace nel nostro cuore, ha riconciliato quella divisione o lacerazione che abbiamo dentro, per le cose che facciamo e quelle che non riusciamo fare, per i pesi  che ci angustiano, i limiti che ci frenano, le passioni belle che ci animano. Davvero in Gesù, il nostro Dio, è grande la compassione. Egli è il nostro Pastore. Buono! Bello!

 


domenica 11 luglio 2021

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

15° Domenica B – 11/07/2021 

Amos 7,12-15   -   Ef 1,3-14   -    Marco 6,7-13

Gesù, che, abbiamo saputo domenica, ha appena conosciuto il fallimento davanti all’incredulità dei suoi compaesani: “chi è costui? Chi crede di essere?”,  non rinuncia alla sua missione, di cui è stato investito, come il profeta Amos, di cui parla la prima lettura. Non si tira indietro. Va con coraggio! E con coraggio coinvolge appunto gli amici e discepoli, inviandoli a loro volta! Ecco il vangelo di oggi. E’ una “buona notizia” essere assunti e mandati da Gesù con la sua fiducia e amicizia.

Gesù “prese mandarli a due a due”. Per rendere visibile il vangelo. Lo devono vedere il vangelo coloro che sono i destinatari e non solo udirlo! Rendere visibile la vita cristiana, cioè volersi bene, essere uno accanto all’altro come salvezza, come amore che fa vivere. Il vangelo prima di essere predicato, va praticato e mostrato! Due sposi, due genitori, due fratelli, due amici, che davvero si voglio bene, si aiutano, sono vangelo offerto ai loro cari, ai loro figli, al mondo. Sposi, genitori che si vogliono bene, che sono uniti, “a due a due”, insieme!

Quest’ unica e grande ricchezza  rende comprensibile la sobrietà, la povertà che viene raccomandata. Non c’è bisogno di altro, “né pane, né sacca, né denaro nella cintura…”: eppure sono tutte cose necessarie! Possono, però, diventare il nostro dio, il nostro vangelo, la nostra sicurezza. Sono limite alla nostra libertà! Invece il nostro cuore è altrove, e il centro è Gesù.

Piuttosto, “un bastone…sandali…una veste…”. E’ l’abbigliamento pasquale! E’ l’abbigliamento della liberazione, della libertà, della vita nuova. La notte in cui Israele  uscì dall’Egitto così era  pronto.

Essere discepoli “pasquali” o cristiani  indicati dal bastone, significa che il nostro unico appoggio e sicurezza è Dio. Come non ricordare il bastone di Mosè, o il salmo che dice “il Signore è il mio pastore, il suo bastone mi dà sicurezza”?

I sandali ci ricordano che la nostra strada è la strada di tutti gli uomini, con cui camminare,  impolverati della stessa fatica, speranze, e miseria. Davanti a Dio ci si leva i sandali, ma con gli uomini si indossano.

La veste, la tunica, una sola, è l’umanità di cui siamo rivestiti, rivestita a sua volta da Cristo. di Cristo. Il figlio di Dio risorto veste umanità, la nostra. La riveste della sua luce, la trasfigura, non la rinnega.

L’abbigliamento pasquale, con cui andare ed essere presenti nel mondo, ci consente di contrastare e vincere il male, dà il coraggio di non turbarsi nelle difficoltà, la fedeltà al compito ricevuto, e, come appare in altre parti del vangelo, la pace e la letizia che vengono condivise e donate, anche nel rifiuto. Sono parte della benedizione, dell’amore di Dio che ci dà redenzione, conserva e dà la vita in pienezza ai suoi figli.

Andiamo! “Benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo”, cioè con lo Spirito di Gesù portiamo nel mondo il messaggio del vangelo umili e lieti, oltre ogni insuccesso, incomprensione o tribolazione.

 

domenica 4 luglio 2021

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

14° Domenica B – 04/07/2021

Ezechiele 2,2-5   -   2Corinzi 12,7-10   -   Marco 6,1-6

Oggi, la Parola del Signore ci dà due singolari notizie. Una superficialmente buona, ma in realtà seria; l’altra davvero severa, quasi cattiva ma poi definitivamente molto buona. Quale volete per prima? Se vogliamo lasciarci con un retrogusto dolce, diamo la prima, quella apparentemente buona, ma in realtà seria.

Come i compaesani di Gesù, noi, buoni e bravi cristiani, vantiamo nei suoi confronti una buona conoscenza, una bella familiarità. Vale a dire che sappiamo bene chi è, ma dicendo così non ci aspettiamo granché o, se dice di essere chi è, vorremmo che facesse quello che noi vogliamo. In fin dei conti è dei nostri. Trattiamo Gesù con supponenza. “Da dove gli vengono queste cose”, questa sapienza?

Abbiamo una familiarità presuntuosa nei confronti di Gesù. E “un profeta non è disprezzato che nella sua patria”. Così non ne ricaviamo nessun beneficio, impediamo a Lui di far del bene, perché orgogliosi e ottusi.. Come dicevo un notizia superficialmente buona, ma poi di poca, come dire, utilità. A causa della loro incredulità, come può essere la nostra, Gesù non poté fare molti prodigi, ne fece pochi.

La seconda notizia è molto seria, cattiva, ma poi definitivamente molto buona e bella. Anche noi ci sentiamo dire che siamo “una razza di ribelli”, “figli testardi e dal cuore indurito” di cui parla la prima lettura. Non sentiamoci offesi, forse è la realtà. Non ascoltiamo il Signore. Ma abbiamo la fortuna, la grazia, della misericordia Sua.

Sia che ascoltiamo, sia che non ascoltiamo, Egli ha una parola buona per noi. Non ci manda a quel paese. La Sua Parola è buona non perché accattivante, che blandisce, accarezza per comprarci… Certo, non manca una parola di consolazione e incoraggiamento, ma essa è buona perché detta per il nostro bene, per indicarci ciò che è bene e aiutarci a perseguirlo. E’ buona anche quando ci scuote, ci smuove, ci appare scomoda e insistente, non secondo i nostri gusti e mentalità. Sia che ascoltiamo o no, dobbiamo sapere che Lui ci parla in forza del suo amore tenace e fedele.

Possiamo essere sconfortati, come l’apostolo Paolo. Ma il Signore l’ha rincuorato, e rincuora noi: “coraggio, ti basta la mia grazia, il mio aiuto”. Non siamo, quindi, abbandonati, sia che ascoltiamo sia che non ascoltiamo perché prevale l’amore Suo su ogni nostra resistenza. Comunque, ci stancheremo prima noi di ascoltarlo, e ne abbiamo le prove, che Lui di farci giungere la Sua parola.