OMELIA
26° Domenica A – 28.09.2014
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Ezechiele 18,25-28
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Matteo 21,28-32
Siamo davanti ad uno specchio. Nei due figli vediamo
riflessa la nostra doppia immagine.
Il primo è deferente, equilibrato, appare
responsabile, ma dentro ha una sottile ribellione che ne fa un bugiardo.
Il secondo è scomposto, indisciplinato, ma poi si
rivela di cuore valido, buono ed esemplare.
Se siamo dei “formalisti”, ci teniamo ad apparire
per bene, rivendichiamo stima dagli altri (“quella sì che è una brava persona”)
rischiamo di essere ben rappresentati dal primo che però non “compie la volontà
del padre”.
Se ammettiamo di essere spesso nella categoria dei
“ribelli”, insofferenti, siamo sì tra i peccatori ma abbiamo il vantaggio di
sapersi ricredere, come i pubblici peccatori e le prostitute che pur dicendo
“no” arrivano ad accogliere l’annuncio di Gesù e a ravvedersi. Questo sapersi
ricredere è la nostra salvezza. Non siamo insensibili, refrattari, chiusi alla
“voce paterna” che il Cristo ci ha fatto conoscere nel cuore, una voce che
chiama, invita, attrae alla conversione.
Nel primo caso, quello dei benpensanti o formalisti.
come scribi e farei, abbiamo magari la religione e la legge sulle labbra, ma il
cuore va in tutt’altra direzione che non è quella della vigna, cioè della vita
che il padre ci affida. Siamo cristiani di parole, di bella figura.
Capaci, invece, di pentimento, rovesciamo il
passato, cambiamo parere e decisione e ci mettiamo sulla via della giustizia,
cioè della volontà di Dio. Facciamo il sì. E che cosa significhi “sì”, che cosa
sia il “sì”, rileggiamo, prima di lasciare la chiesa, la seconda lettura di
questa domenica. E’ chiara già di per sé.
Davanti alla specchio della parola di Dio non
vediamo solamente noi stessi, la nostra immagine sdoppiata che ci può creare
confusione. La buona notizia, la bella immagine che io intravedo è quella del
padre; padre che dice poco, ma quel poco è assai significativo.
E’ un padre che si limita, dice la parabola, a
“rivolgersi” ai figli. Non alza la voce, non grida, non comanda, non batte i
pugni, non impone. Piuttosto invita, esorta, forse richiama responsabilità,
semplicemente chiede, potrebbe anche pregare perché la sua richiesta inizia con quella parola che non è parla di
padrone, parola che sa d’amore e non di dominio. “Figlio”, chissà con che cuore
l’ha detta! Conta sui figli, sulla loro maturità, sul bene che vuole per essi,
non li ricatta, e accetta la risposta che danno, in silenzio. Forse noi diremmo
è una padre debole che non sa farsi rispettar. E’ padre che sa amare!
Ecco io m’immagino qualcosa del volto di Dio, del
suo sguardo su di me, della sua voce, del suo cuore. Lo posso anche ingannare,
ma non riuscirò mai a deluderlo.Mi capita dirgli di noi. Lo accetta, appunto,
confidando che poi il cuore e il senso di responsabilità che mi ispira mia
aiuteranno a ricredermi, a farmi partecipe protagonista e beneficiario della
vigna e dei suoi buoni frutti.
“Se il malvagio, dice la prima lettura, si converte dalla
sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere
se stesso”. Così nessun “no” ci allontana dall’ amore, dalla salvezza, che
Dio vuole per i suoi figli. egli Ed è per questo che possiamo andare nella
vigna con gratitudine, con fiducia e con gioia,anche, come si diceva una volta,
cantando.