mercoledì 27 novembre 2013

SACRA NUDITA'


                     (…con venerazione!)

Umanità e professionalità,
ancor più dolcezza e serenità,
delicata sicurezza,
pudica venerazione,
accolgono
le nudità mie,
esposte,
non vergogne,
gioielli di bella e preziosa fisicità.

Sì, siamo amabili
non per talenti e doti,
la “nudità”
fa poveri noi
e innamorato il Creatore
che pietà mosse
a rivestire
la creatura amata prima di pelli,
del Figlio poi.

Gioielli umani,
piena umanità,
esposizione di Cristo,
nel povero, ammalato,
in chi patisce violenza,
sacra nudità,
vive, muore, risorge,
sino alla gloria
di celeste beltà.





IL VENTO


Cerco,
dentro,
riposo e forze,
ora.

Vedo,
fuori,
vivace l’agitarsi
della betulla.

Rimango
anch’io
figlio del Vento,
ancora.

Nella debolezza, oggi, 
nel vigore, domani,
lo Spirito scuote,
scompiglia,
m’adombra,
e bontà sua,
fa meraviglia.







martedì 26 novembre 2013

LA SACCA


                  (…vietato a chi non ha stomaco o si ritiene…troppo angelico!)
            
Scorre il tempo,
vento, sole, pioggia,
in giorni autunnali,
si sente pure la stagione
di giorni “medicinali”,
con flatulenze,
canalizzazioni,
minzioni,
miscela di dolori
e di strane “devozioni”.

Umori del corpo,
liquido organico,
incolore,
inodore,
giallo paglierino il colore,
in sacca va,
lavando purificando,
ogni mattina,
 inusuale stupore,
“bella chiara, è l’…urina”.

Ah, la sacca
usa svuota getta,
provvidenziale custodia,
temporanea vescica
per espurgere tossici malanni,
persino tepida al tatto di chi,
delicata bontà,
si riveste,
come guanto,
di umile carità.

Non scandalizzi
poesia poco nobile,
eppure è vero, saggio,
riflesso filosofico
di tempi andati,
l’io inferiore si scuote,
e “chi vuol fare l’angelo fa la bestia”,
meglio qualche cerotto,
garza e bende,
a proteggere le pudende.

Spirituali siamo,
ma in sacca
d’umana pelle,
per consacrare
non gettare
la natura
che del soffio
del Creatore
rimane intelligente
ammirevole fattura.

Al fin “sgorgheranno
fiumi d’acqua viva”
in chi l’accoglie nel cuore,
mentre non sono materiali effluvi
a mortificare
opera sì bella
ove scorre,
“Dio in carne”,
ancora oggi
la buona novella.







OMELIA


Cristo Re e  Signore della storia . 24.11.2013

Festa liturgica di Cristo Re e Signore dell’universo e della storia. Appuntamento tradizionale quale festa del ringraziamento per tanti doni, spirituale, e materiali, che rendono bello e buono il nostro cammino.

In questa singolare circostanza, ecco la coincidenza, che tale non è, con la vicenda che mi ha come offerto e chiesto un supplemento di umanità (con tutti i suoi ingredienti più veri, alcuni graditi altri meno, ma tutti atti a promuovere il bene). Ringraziare di cosa, mi sono domandato, in questi giorni? Ringraziare chi? Ringraziare il Signore, e le persone che mi sono state e mi sono vicine nelle mie elementari necessità, nella partecipazione a questo momento di sofferenza con l’affetto e la preghiera, con segni commoventi, di vicinanza.

Alla luce del vangelo e della liturgia di questa festa di Cristo re, vorrei narrare a voi con semplicità e condividere la “regalità”, che Gesù mi partecipa.
In Lui è la regalità dell’amore fino a dare la vita. E’ re d’amore, di pace, di giustizia, di bontà, che ha regalato agli altri. Lo ha mostrato nel corso dell’esistenza, lo ha confermato nella sua morte. E’ re senza calcolo.
In Lui è la regalità che vuole attorno a sé non i cortigiani, i nobili, ma gli ultimi, i poveri, i disgraziati, fino a farsi corona di due malfattori, e a farsi speranza anche a loro, senza imporsi. E’ re senza vergogna.
In Lui è la regalità della debolezza che si lascia andare nelle mani degli uomini, che si affida infine al Padre. E’ re che non vuole contare su se stesso nonostante la provocazione che gli viene (“Salva te stesso, datti da fare”. E’ re senza difesa.

Questa la regalità di Gesù, di cui ringraziarlo. Di questa regalità mi fa partecipe, anche se io sono lento ad apprenderne la lezione, la chiamata. Con umiltà voglio ringraziare il Signore per questi anni che sono tra voi e per questo ultimo tempo così prezioso, rinnovatore anche del mio ministero, grazie alla vostra presenza, generosa, in vario modo corresponsabile, partecipe del comune cammino.
E con semplicità vi metto a parte della scoperta che vo facendo, non per insegnare, quanto per domandare il vostro aiuto in modo che il suo apprendimento rechi bene a me, ma se vi può essere utile anche voi. Perché della regalità di Cristo siamo tutti insigniti. Siamo tutti dei re. E’ la nostra bellezza e grandezza, come dell’universo in cui siamo.

La “mia” regalità che deriva da Gesù e che offro e “suggerisco” timidamente e con rispetto a voi è:
1° - essere con Lui, la mia via con Gesù, (così l’ho definita alla luce di questi avvenimenti): qualunque essa sia e dovunque essa mi conduca, in qualunque condizione, di salute, o malattia, di prova o felicità, di successo o di insuccesso. Poiché è via d’amore, imparo che percorrerla con Lui non si tratta di essere efficienti, ma efficaci; o bravi in tante cose, in tutto, riuscire ovunque, cogliere risultati, ma amare fino a dare se stessi. Efficienti lo si è per se stessi, efficaci lo si è per gli altri. Efficaci, non efficienti, in casa, in famiglia, in paese, in comunità, ovunque ci è chiesto non di risolvere o salvare, ma di amare. A voi che servite i vostri cari e la comunità, io dico: non scoraggiatevi se non siete bravi a ottenere risultati, siate efficaci, e sarete efficienti dell’efficienza di Gesù che passò facendo del bene a tutti. Così siete regali.

2° - La “mia regalità” è essere “io con voi”, come i malfattori con Gesù si trovavano ad avere questo onore. “Io con voi”, cioè l’esservi vicino, solidale, voi che siete più provati e più spaventati di me. Questa regalità è offrire aiuto, semplicemente presenza, vicinanza, solidarietà, partecipazione; è aiuto dato senza insegnare, senza imporre, senza voler tirare dalla mia parte, senza voler mettere tutto e tutti in riga; senza voler essere il “protagonista”, al centro, se non dell’amore, che tutto predispone e organizza, fa e a volte, in buona fede tanto zelo, comanda; piuttosto, un aiuto corresponsabile che si mette a servizio. In casa, in famiglia, in paese, nelle associazioni, comitati, gruppi, nella stessa comunità nella casa, è essere servitori. Così siete regali.

3° - La mia regalità è “essere con me stesso”, accettare la mia fragilità e debolezza, stare con i miei limiti e impedimenti. Non è rassegnazione o dimissione, ma affidamento al Padre e ai fratelli, riconoscendomi bisognoso di “ricevere aiuto”. E’ cosa regale “chiedere aiuto”, accettare che sia offerto a volte magari in modo non perfetto ma amorevole, sincero, disinteressato; è regale perché il lasciarsi amare consente all’altro di realizzare la sua vocazione, quella di amare. In casa, in paese, nella comunità, apritevi all’aiuto dell’altro, e così siete tutti regali.

In una parola “regalità” in Gesù e in me, è umanità. “Ecco il vostro re”, disse Pilato presentando l’uomo Gesù sfigurato dalla tortura. “Questi è il re dei Giudei”, e non solo, recitava lo scritto apposto sulla croce.
Tutto ciò che ci insegna ad essere umani, promuove in noi i tratti regali, veri e belli, del Figlio di Dio che è Amore. Tratti che io ammiro, contemplo, in voi, e anche da voi apprendo. Ed è questa la mia gioia. Questo il mio grazie!





giovedì 21 novembre 2013

IL CATETERE

(…di necessità, non sempre virtù! Ma si può!)



Lo scherzo dura poco,
innaturale cannula
a soddisfare bisogni
animali e terreni.
Pizzica, struscia, violenta,
 il catetere invade,
estraneo prolungamento
di creazione “molto buona”.
Occhio di riguardo
all’organismo ferito,
“pazienza” non sente,
e la carne tira crudele.
Suvvia,
grato e dolente,
nulla mai vien per niente,
e anche tu,
cannula imposta,
ti fai cordone di umanità.
Tra lamento e sorriso
l’ora è ancora lunga,
e sia giunta sulla via
quella che Gesù chiamava
“mia”.
Grazie a te,
inconsapevole strumento
di cura e premura,
sia però lieve il tuo sostare
in membra che non cessano
di sentire e di amare.

Titoli di fondo…


No, Dio non sa
cos’è corpo.
Ed io so
cos’è Spirito?

Ecco insieme
l’umana persona,
di carne d’amore e di dolore
viene Gesù.

Con Lui vivo,
a fratelli e sorelle legato,
umano, debole, efficace,
in un “catetere”
che non trattiene…
 l’amore.










mercoledì 20 novembre 2013

AL CORPO !

            (... Ode semiseria, umano-teologica!)


Parti basse, onorabili e onorate,
parti intime, inviolate e svelate,
parti umane, personali e universali,
parti care, preziose e difese.

Di Adamo il corpo,
di Cristo tutta l’umanità,
accolgo onorato in me
questa naturale sponsalità.

Bisogni fisici essenziali,
vaso d’argilla plasmato
dal Creatore che di ogni suo segreto
conobbe il fascino ammirato.

Volle per il Figlio il corpo mio,
eppure era Dio,
nell’elementare cura
lo Spirito fe’ incarnazione.

Amato è il corpo,
arca d’alleanza e tenda nel cammino,
ogni sua parte ora lenta e dolente
rivela la saggia bontà dell’Onnipotente.

Sacramento d’amore,
nel dialogo d’umani affetti,
piacevole fonte di santità,
eletto da Dio per Sua carità.

Imparino la donna  l’uomo
la sua custodia gelosa,
in essi giunga divina, nuova, la creazione,
chiamata da Dio a santa perfezione.


Titoli di coda…


Mi scappa… d’amare!
Tubi, cannule, sfinteri,
non è poi cosa da tanti misteri,
Siamo fatti così,
con fatica e la soddisfazione
di fare tanta… pipì!















lunedì 18 novembre 2013

" NELLE TUE MANI..."


                                            (… nell’esperienza della malattia!)



Mani che si offrono, pronte,
mani che accompagnano, partecipi,
mani che accolgono, cordiali,

mani che preparano, sapienti ,
mani che operano, fortunate o benedette,
mani che medicano, esperte,

mani che puliscono, delicate,
mani che lavano, senza ritrosia,
mani che ungono, dolci,

mani che offrono da bere, generose,
mani che sorreggono, forti,
mani che riordinano, premurose,

mani che danno sollievo, umane,
mani che danno calore, familiari,
mani che accarezzano, divine,

mani che pure attendono
un bacio riconoscente!

Mani che creano, il Padre,
mani che salvano, il Figlio,
mani che amano, lo Spirito.

Mani, terminale del cuore
ove sfocia l’Amore!
















PIU'...Grazie!


(…in occasione della festa del ringraziamento, 24.11.2013)

Grazie alla terra nei solchi feriti,
più seme nutre e germoglia.

Grazie al cielo, sole, pioggia, vento,
più fantasia il colore del mondo.

Grazie al lavoro servizio condiviso,
più fraterna, giusta, fa l’umanità.

Grazie alla luce portatrice d’incanto,
più segni di vangelo svela in comunità.

Grazie all’oscurità, lunga nella notte,
più lungo l’amore dove nasce la vita.

Grazie a te, ancor più amico caro,
più volto di Dio sul cammino mio!







domenica 3 novembre 2013

PENSIERI


Come amore!

L’evento che mi accingo a vivere, l’intervento che sto per affrontare, l’esito e i disagi che ne potranno venire, il cambiamento di programmi e progetti a cui sottomessa anche la mia vita sacerdotale e il ministero, ogni cosa che si può prevedere e quanto ci sarà di imprevisto, tutto io desidero vivere, con verità e umiltà, quale amore.

Non mi basta vivere “con” amore. Voglio vivere  “come” amore, perché tale è ogni esperienza, ogni frammento e situazione della vita. La vita “è” amore, e non semplicemente va vissuta “con” amore, quasi che la vita sia una cosa e l’amore un’altra. Poiché Dio è vita/amore, io immerso in Lui non scindo quest’unica verità. Vivere è Amore in Dio, con i fratelli, e nella mia umanità.

1 - La “chiamata” che in questo momento mi viene rivolta svela la vita “come” amore, ancor più la vita sacerdotale che mi è stata donata immeritatamente. E’ “chiamata” a realizzare questo dono con tutto me stesso, non solamente nelle intenzioni, progetti ideali, ma anche “fisicamente”. La Messa che celebro ogni giorno diventa “fisica” e, con Gesù, o meglio Gesù in me ancora può dire : “Questo è il mio corpo dato per voi”.

Sì, voglio vivere questa esperienza della vita “come” amore. Non le do altro nome, altra verità: Amore verso e in Dio, cioè consegna, abbandono nelle sue mani, totale e gioioso affidamento a Lui. Voglio vivere con Gesù, prego che Gesù viva in me la sua passione d’amore anche con la prova che comporta; essere “sacrificio” perché “brucio” d’amore. Egli sa meglio di me valorizzare l’esistenza mia, la salute e la malattia, e lo fa non strumentalizzando la mia persona per qualche fine ma soltanto perché è amore.

2 - Vivere “come” amore si rivolge anche agli altri, e diventa vicinanza, solidarietà, partecipazione. Il ministero sacerdotale si fa “incontro” a chi soffre più di me, verso chi esperimenta situazioni di maggior sofferenza e prova, conosce il limite, la debolezza, la paura, e non di rado la disperazione.  Si fa “accompagnamento”, condivisione di passi e pure di lamenti, di tentativi di speranza e timori, non lascia solo e triste nessuno. Si fa “sostegno”, non perché maestro o esempio di sopportazione, ma semplicemente perché ci possa essere un cuore, un corpo, che comprende e che si carica delle loro ferite.

Questa solidarietà non è soltanto ai loro occhi perché non si smarriscano, ma è tale davanti a Dio, nel segreto. Con il suo aiuto, se è nella sua volontà d’amore, qualche peso dei fratelli può passare sulle mie spalle, perché siano più liberi, sereni e lieti. Ma questa “intercessione sacerdotale”, lo ripeto, è un segreto tra Dio e me.  E ogni eventuale conoscenza sia a lode e gloria Sua!

3 – Vivere l’esperienza del limite e della malattia “come” amore significa fare di questo luogo e momento un’occasione di grazia e di crescita per tutti. Mi trovo nella condizione di “lasciarmi amare”, di “lasciarmi fare”, di “lasciarmi andare”. Ho bisogno di affetto, di attenzioni e aiuto, e questa debolezza, questa fragilità diventa dono agli altri perché possano esercitarsi a loro volta nell’amore.

Sono prezioso, inoltre, perché amabile, agli occhi di Dio prima di tutto e poi anche agli occhi dei fratelli. Posso vivere soltanto di amore. Non conta più l’efficienza, la forza, il bastare a se stessi, essere in piena forma fisica, psichica, spirituale, l’esperienza, le intuizioni della mente perché si realizzi il Regno di Dio, e il vangelo prenda piede. La povertà, il limite, la fragilità, la “semplice” umanità bisognosa diventa luogo di grazia, di nuova incarnazione dell’amore fino al suo punto massimo, quello di dare la vita/amore.



OMELIA


31° Domenica C – 03.11.2013


- Luca 19,1-10

La nostra esistenza avanza per desideri. Certo ci sono anche i bisogni. Questi spingono, stanno dietro. E da essi vorremmo essere liberati: bisogno di salute, lavoro, cibo, serenità, amicizia, amore… Il bisogno dice una mancanza, svela qualcosa che ci manca,e che è necessario.
Ma più forti sono i desideri, che stanno davanti, come l’amore, la vita, la cui vocazione è di crescere fino alla pienezza. I desideri ci attraggono, e non ne siamo mai sazi, finché non ci sarà dato di trovare e realizzare quello che dà piena felicità, beatitudine.

Queste considerazioni introduttive sono suggerite dal clima di questi giorni, dei santi e dei morti, che dicono desiderio di pienezza d’amore e di vita, per questo siamo fatti.
Ma sono anche illuminate dal vangelo che abbiamo ascoltato, dall’incontro di cui si racconta, Gesù e Zaccheo.
Anche Zaccheo era uomo di desideri, e pure piuttosto avido. Addirittura ladro. Soldi, quattrini, ricchezza, potere, in qualità di capo degli esattori della tasse. Non conoscevano sazietà le sue voglie di benessere. Uomo piccolo di statura,desideri grandi, seppur sbagliati, desiderio di grandezza.
Finché non ascolta un desiderio, una voglia, una curiosità, lasciandosi contagiare dalla curiosità di tutti. “Tutti vogliono vedere Gesù? Ci vado anch’io. Lo fanno tutti, lo faccio anch’io”. 
A causa degli altri, della folla, accodandosi a loro, vuole vedere Gesù. Lo desidera. Cerca di realizzarlo anche in modo non del tutto dignitoso per il personaggio del suo rango, anche se della dignità, visto come viveva, non è che gliene importasse molto. Si arrampica su un albero.

Gesù valorizza questa voglia, questa curiosità. Egli la incrocia, perché anch’ egli ha un desiderio grande. Ed è quello che ci fa avanzare, il desiderio di Gesù che approfitta delle nostre curiosità “imposte”. Allora questa è la buona notizia di oggi: “Zaccheo, oggi devo, (equivale a voglio) fermarmi a casa tua. Lo desidero, non posso fare ameno, sono venuto per questo”. 

“Ma tu , scendi!”, cioè renditi disponibile, accogliente. Non preoccuparti di quello che può dire la gente, dei vari commenti: “E’entrato in casa di un peccatore”. “Guarda si lasciato strumentalizzare da uno senza scrupoli, a riguardo di Gesù; oppure “si lasciato abbindolare da un prete”, a riguardo del peccatore.

Zaccheo ha accolto il desiderio di Gesù, “venuto a cercare a salvare chi e ciò che era perduto, e lo ha fatto e lo fa a partire da una normalissima banale curiosità che è nel cuore di tutti gli uomini. Forse io mi scopro piuttosto superficiale come tanti o ho altri interessi, come Zaccheo ma il Signore benedice questa mia umanità. Il suo desiderio forte, coinvolgente, capace di attrarre e di operare cambiamenti nella mia vita, mi dà un nuova vita. Dall’ albero, cioè dalla condizione in cui siamo, su cui siamo sistemati per vedere senza lasciarci prendere troppo, e su quale si alza e di indirizza lo sguardo di Gesù che ci cerca, può venire il buon frutto della nostra conversione.










OMELIA


DEFUNTI – 01.11.2013 

Oggi è il giorno in cui la terra e il cielo non appaiono così distanti come a volte li facciamo. La solennità di tutti i santi e la commemorazione liturgica dei nostri cari morti ci confermano quella familiarità in cui tutti siamo, vivi e defunti, una familiarità piena di vita per la quale siamo stati creati.

Dalla Parola di Dio che abbiamo ascoltato viene conforto e luce a noi che tanto spesso pensiamo di aver perso i nostri cari e li cerchiamo nel cimitero e nei ricordi, gesti spontanei del cuore che dicono l’affetto che non muore. Dove cercarli i nostri cari? Il libro della Sapienza lo rivela: “le anime dei giusti sono nelle mani di Dio”. Non un logo freddo, anonimo, le mani di dio, quelle che ci hanno plasmato dalla polvere modellandoci, simili alle mani di un vasaio (dice ancora la Bibbia). E ci hanno plasmato ad immagine del Figlio prediletto, Gesù.

Questo giorno ci ricorda anche quanto sia importante imparare morire. S impara, ci si allena, ad affrontare tante cose. Perché non s’impara anche questa cosa importante : imparare a morire. Imparare a morire è vivere, come perdere è ritrovare, dice Gesù nel vangelo; perdere la propria vita per amore è averla in pienezza e per sempre.

Come vivere la morte?. E ancora una volta ritorna l’immagine della mani: impariamo, negli eventi dell’esistenza, lieti o tristi, a consegnarci nella mani di Dio. “Padre” diceva Gesù sulla croce “ nelle tue mani consegno il mio spirito”. Vivere la morte come un consegnarci a Dio. Questa “consegna” non la si improvvisa. Chi vive consegnandosi all’amore, gli verrà naturale, spontaneo consegnarsi in quell’ultima ora, ultima del tempo presente, la prima dell’eternità.
Gesù con la “consegna” che ha fatto di sé al Padre ha aperto a tutti il Paradiso dove c’è un posto per ciascuno, dove nessuno è lasciato fuori se chiede di entrare. Il Paradiso è la festa che c’è nel cuore di Dio perché vede felici, e riuniti per sempre, i propri figli.

Non siamo disperati quando qualcuno parte per quel misterioso viaggio che è la morte perché sappiamo che non lo rivedremo più su questa terra. Gesù ci assicura che verrà un giorno nel quale saremo di nuovo riuniti in quel luogo di festa «dove non ci saranno più addii». Ci accoglieremo e ci riconosceremo senza mai più separarci. I nostri amici, i nostri familiari che abbiamo salutato, sono vivi e ci stanno aspettando, pregano per noi. Ci preparano un posto insieme a Gesù. E noi, da quaggiù, nell’attesa di riabbracciarli, ricambiamo questa preghiera d’intercessione, in una comunione d’affetti che ci dice che siamo gli uni nelle mani degli altri, nel loro cuore, oltre che nelle mani e nel cuore del Signore. Per questo nella fede non diciamoci addio!






OMELIA


Solennità di tutti i Santi – 01.11.2013
- Ap 7,2,4-14
- 1Gv 3,1-3
- Mt 5,1-12

La “comunione dei santi” che oggi celebriamo è realtà molto bella della nostra fede. E’ verità tra le più consolanti della nostra fede, poiché ci ricorda che non siamo soli ma esiste una comunione di vita tra tutti coloro che sono di Cristo, sono il suo corpo nella Chiesa Una comunione che nasce dalla fede; infatti, mediante il Battesimo. Per questo i primi cristiani erano chiamati anche “i santi”.

Questo riconoscimento, questo titolo, alla luce delle “beatitudini” pronunciate da Gesù all’inizio della sua predicazione poi incarnate nella sua stessa esperienza, io penso si possa estendere a tutta l’umanità, prima e dopo Cristo, anche all’umanità di altre espressioni religiose. Ovunque le situazioni indicate da Gesù ricevono consolazione, forza, luce, liberazione, salvezza perché Dio abita questa vita, questa ricerca e passione per essa. Dio è nei poveri, in coloro che sono nel pianto, nei miti, in coloro che hanno fame e sete di giustizia, nei misericordiosi, nei puri di cuore, i semplici, in chi fa opera di pace, in chi è perseguitato a motivo del bene oltre che del nome di Gesù. Sì, tutti santi,  perché hanno Dio dentro di sé. Santa è la vita, poiché Dio vita è.

Santità è comunione con Dio, familiarità con Lui che ci è donata, e non ancora consapevolmente vissuta e pienamente compresa. “Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato”, scrive Giovanni nella sua lettera (seconda lettura).  Questa familiarità con Dio si prolunga in una comunione fraterna, appunto dei “santi”. Poiché siamo uniti a Dio in Cristo Gesù, poiché siamo inserirti e partecipi della sua familiarità con il Padre (“Padre, io e te siamo una cosa sola”) allora possiamo diventare veramente un cuore solo e un’anima sola tra di noi, perché l’amore di Dio brucia i nostri egoismi, i nostri pregiudizi, le nostre divisioni. interiori ed esterne. L’amore di Dio brucia anche i nostri peccati. (Papa Francesco)

E’ vera anche la direzione inversa.
Se siamo uniti nella santità, cioè viviamo insieme ogni frammento della nostra umanità, ogni limite, ogni desiderio di bene, ogni angustia che ci frena, giungiamo alla comunione piena con Dio. Essere uniti fra noi ci conduce ad essere uniti con Dio, ci conduce a questo legame con Dio che è nostro Padre. La nostra fede, la nostra vita cristiana, ha bisogno del sostegno degli altri, specialmente nei momenti difficili. Se noi siamo uniti la fede diventa forte.
Chi di noi tutti non ha sperimentato insicurezze, smarrimenti e perfino dubbi nel cammino della fede? In questi momenti difficoltosi è necessario confidare nell’aiuto di Dio, mediante la preghiera filiale, e, al tempo stesso, è importante trovare il coraggio e l’umiltà di aprirsi agli altri, per chiedere aiuto, per chiedere di darci una mano. In questa comunione – comunione vuol dire comune-unione – siamo una grande famiglia, dove tutti i componenti si aiutano e si sostengono fra loro.

La comunione dei santi va al di là della vita terrena, va oltre la morte e dura per sempre. Questa unione fra noi, va al di là e continua nell’altra vita; nella commemorazione dei nostri morti (oggi pomeriggio e nella giornata di domani) veniamo confermati in questa verità. Essa è pure la nostra bellezza, o per rimanere nel termine di Gesù, la nostra “beatitudine”, la nostra condizione di felicità che inizia già qui, già qui possiamo gustarne le primizie vivendo appunto la comunione con Gesù e tra di noi, condizione che avrà la sua pienezza quando vinta sarà la morte. E lo sarà!