...nell'omelia
MERCOLEDI’ delle CENERI – 26.02.2020
Gioele 2,12-18 - 2Cor 5,20-6,2 – Matteo 6,1-6.16-18
Ora è il giorno favorevole, ora è arrivato!
Già da qualche giorno la Parola del Signore c’invitava a disporre il nostro cuore all’impegno di conversione a cui oggi siamo chiamati entrando nel terreno sacro della Quaresima. Ci metteva in guardia dalla tentazione come prova per non sbagliare scelte e maturare; di stare attenti che non abbia a diventare una “seduzione” a cui cedere per non cadere prigionieri del maligno che appunto ci vuole sedurre, condurre, legare a sé; di non lasciar fermentare in noi il male, poiché diverremo lievito di falsità e cattiveria per questo nostro mondo.
Ancora ieri Giacomo ci diceva: “Peccatori, purificate le vostre mani; uomini dall’animo indeciso, santificate i vostri cuori. Riconoscete la vostra miseria, fate lutto e piangete; le vostre risa si cambino in lutto e la vostra allegria in tristezza. Umiliatevi davanti al Signore ed egli vi esalterà”. (Gc 4,7-10)
Non solo la Parola. Anche la vita stessa, quello che stiamo tutti attraversando può essere letto come un invito forte alla conversione. Non perché quello che accade sia castigo di Dio. Dio non distrugge, Dio fa crescere. Non è il Dio della morte, ma della vita. Forse nella morte ci stiamo infilando con le nostre mani, le nostre scelte quotidiane, proprio allontanandoci da Lui.
E oggi così dice il Signore: «Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti.
Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male». Non il male che Egli non ci fa, ma il male in balia del quale non vuole lasciarci, poiché, diceva ancora Giacomo ieri, “lo Spirito è geloso di noi” e del nostro bene. Lo conferma sempre il profeta Gioele: Il Signore si mostra geloso per la sua terra e si muove a compassione del suo popolo.
Come disporci a questa accoglienza che Dio ha in cuore verso di noi? E’ un’accoglienza ricca di perdono e di benedizione a fronte di tanta maledizione che è nel nostro peccato, nel nostro rifiuto di Lui. Peccato che si manifesta in vario modo nella nostra esistenza e che viene dal nostro cuore, poiché da lì possono uscire, quando esso è lontano dal Signore, tutte le nefandezze che inquinano, intaccano, contagiano l’umanità.
Il salmo 50 con cui abbiamo risposto all’esortazione del profeta è preghiera con cui riconosciamo di essere peccatori, confessiamo il male che abbiamo fatto, e che è sempre, ora magari, davanti ai nostri occhi. Non ci vergogniamo di piangere per questo. Ma anche sappiamo di essere amati, perdonati, e confidiamo nella misericordia del Signore, nella sua volontà e capacità di farci nuovi, di ridarci gioia e mettere lodi e sorriso sulle nostre labbra.
Chi mi assicura e mi dona un tale evento che mi libera, mi ricrea? Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio. Cioè, Dio ha mandato a noi suo Figlio che ha conosciuto le conseguenze del peccato, né è stato come contagiato e guarito perché noi, che il peccato ci afferra, potessimo a nostra volta guarire e trovare libertà, vita. Vita vera di figli amati dal Padre! Di fratelli che Gesù ha insegnato ad amarsi! Di uomini e donne, creature che sono la bellezza invisibile di Dio stesso!
Ecco la parola forte di Paolo: “lasciatevi riconciliare con Dio, che non vuol dire che Dio è arrabbiato con noi, e noi non dobbiamo esserlo con Lui. “Riconciliarsi con Dio” significa accogliere il Suo amore, il bene che ci vuole, il progetto che Egli ha in cuore con noi e noi con Lui. Questa è una grazia da non accogliere invano, superficialmente, solo in apparenza, poiché ora, con Gesù, è “il momento favorevole, il giorno della salvezza!” Dio viene in nostro soccorso con il suo perdono, il suo aiuto. Egli conosce la nostra fragilità, ma ancor più ricorda l’amore che lo muove. Egli sa la nostra precarietà, ma ci ha creati per l’eternità. Il pizzico di cenere che viene posta sul nostro capo, gesto di umiltà e verità nel riceverlo, dice questa precarietà. Le parole che accompagnano il gesto non ci ricordano solamente che dobbiamo morire, ma che in noi deve bruciare tutto ciò che è male perché possa rifiorire la vita che Dio ci ha dato. Bruciare è pentirsi, smettere, abbandonare la condotta di un umanità che, ingannata dalla propria euforia, si consegna al peccato. La vita rifiorisce dove lasciamo cadere il seme buono della Parola di Dio, lo custodiamo, lo difendiamo, lo coltiviamo.
Questa Parola non manca oggi di suggerirci, attraverso il monito di Gesù, ciò che fa crescere la vita, ed è gradito a Dio: l’amore che si esprime nella carità, la preghiera che ci volge a Dio, il digiuno che sa essere padrone delle cose. Ognuno di questi atteggiamenti fa ricca la vita: dell’amore di fratelli che soccorrono i fratelli, della verità di essere figli del Padre che ci ascolta, della libertà di esseri umani non schiavi di nessuna cosa.
C’è un particolare per coltivare questi atteggiamenti, ed è il cuore! Il cuore, chiamato a “ritornare a Dio”, l’unico in grado di risanarlo, guarirlo, ricrearlo, perché lo ama. Dio ci ama! Quel “segreto” a cui Gesù fa riferimento e che raccomanda di avere ci riporta proprio al cuore. Non è una semplice indicazione di umiltà, pur vera, ma di interiorità, poiché da dentro se possono uscire cose cattive, molto di più possono uscire cose buone, poiché in noi è stato posto lo stesso Spirito di Gesù. E questo ci dà speranza, e fa sorgere anche qualcosa di radioso sul nostro volto. Poiché già sappiamo per fede dove ci conduce Gesù. Nostra conversione è seguirlo con il cuore e la vita!