domenica 29 luglio 2018

BRICIOLE di PAROLA
...nell'omelia

17° Domenica B – 29.07.2018
- Giovanni 6,1-15
 
“Gesù, alzati gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui”. E la compassione che lo spinge a vedere questa gente “come pecore che non hanno pastore” - lo diceva il vangelo domenica scorsa - lo porta “ad insegnare loro molte cose”.
Ma egli non si ferma alle parole, pur belle e buone. La compassione coglie la necessità più elementare di questa folla: “Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?”.
Gli insegnamenti, la compassione, si risolvono in un gesto, risposta ad un bisogno concreto. Non molte parole ma un pane!
Il vangelo è così in un pezzo di pane, quotidiano. Se fosse cominciata da qui la narrazione di Gesù, non sarebbe poi stata fuori luogo. La “bella notizia”, il vangelo, sarà piena quanto si giungerà all’altro pane, la carne e il sangue di Gesù, la vita di Gesù dati in cibo.


Gesù, con la domanda che viene dalla sua compassione, forse vuole mettere alla prova i suoi amici. Sono appena tornati da un tirocinio sulla missione che poi avrebbe loro affidato: “Vediamo se hanno imparato qualcosa”. Ma evidentemente non pare: “Abbiamo pochi soldi per procurare il pane per tutti. E poi, quei i cinque pani d’orzo e i due pesci che ha qui un ragazzo, sono ben poca cosa”.

Gesù non si spaventa, e avviene il miracolo conosciuto come la moltiplicazione dei pani e dei pesci. In realtà il miracolo non sta nella moltiplicazione ma nella divisione, nella distribuzione. Non sovvertiamo le leggi dell’aritmetica, ma è così! Il vangelo non dice che Gesù moltiplicò ma distribuì, divise il pane. L’amore si moltiplica dividendolo, dando a ciascuno il pezzo di cui ha bisogno per vivere. Non occorre aver molto, da tener stretto o difendere – diciamo oggi - : il poco condiviso basta per tutti, tanto più perché interviene… la provvidenza.

“Cinque pani e due pesci”. Sono poca roba, ma, nelle mani della Provvidenza, fanno miracoli. Nelle mani di un ragazzo! E non è secondaria la cosa. Se fossero stati nella bisaccia, o nel conto di un adulto, questi avrebbe protestato: “me li sono guadagnati con il sudore della fronte, li ho messi via con fatica”, li avrebbe difesi. Un ragazzo no. Forse era la merenda che aveva ricevuto dai suoi, poveri. E con la merenda di questo ragazzo Gesù, rinnovando i prodigi di Dio, i gesti dei profeti come Eliseo (1°lettura), sfama la folla. Compie quel miracolo perché un altro miracolo l’aveva preceduto, preparato, quello di questo ragazzo. Come a dire che siamo noi che facciamo i miracoli, che permettiamo a Dio di risolvere le nostre necessità.
Questo ragazzo è giovane ma conosce già la compassione. Che l’età che avanza sia un deterrente?


Comunque nelle nostre necessità, nella fame di ogni tipo che ci tormenta, siamo grati di essere destinatari della compassione del Signore e discepoli della lezione che ci insegna. Rimaniamo aperti a doni ancor più grandi!


martedì 24 luglio 2018

BRICIOLE di PAROLA
...nell'omelia


16° Domenica B – 22.07.2018

- Marco 6,30-34

Ai discepoli mandati - vangelo della scorsa domenica – a predicare a due a due, senza tante cose, in semplicità e povertà, fidandosi dell’ospitalità che avrebbero incontrare e non temendo i rifiuti che ci sarebbero stati Gesù da una “buona notizia”: concede loro le ferie!  Anzi di più:“Venite in disparte voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’”.

Egli si offre come il loro riposo. E’ bello questo: il mio riposo è chi mi ama, è chi io amo, la mia vacanza non è la distrazione o lo sballo, ma la familiarità bella, la vicinanza, l’intimità con chi mi è caro e con chi posso condividere progetti della vita. Offrire questo luogo di riposo il proprio cuore, la propria amicizia è compassione.

Qui abbiamo il tratto primario, principale di Gesù, la buona notizia più bella: la sua compassione. Essa è lo sguardo del cuore prima ancora che degli occhi, e come ci sono occhi belli prima ancora c’è un cuore bello, un cuore libero da paura, da dipendenze, libero da affanni o esaltazioni.
Anche tra noi, ci aiutiamo dal modo con cui ci guardiamo. C’è lo sguardo curioso, giudice, indifferente; lo sguardo che inganna, falso, interessato; c’è lo sguardo amico, affettuoso, premuroso…Lo sguardo di compassione, quello di Gesù.

Il primo sguardo di compassione Gesù lo ha per gli amici: “basta, riposatevi un poi, venite in disparte, tirate il fiato”. Aver qualcuno che comprende la tua stanchezza e ti concede respiro, è una benedizione, una grazia, una carezza di vangelo. Magari siamo anche noi tra costoro.

Ma poi bisognosa di compassione c’è anche la gente che, come avviene per Gesù, ti fa saltare i programmi, ci sono le persone prima e con i loro problemi, la loro ricerca, la loro solitudine, la loro sete di vita e di felicità. Compassione è mettere da parte programmi, progetti, linee ben tracciate di percorso, anche regole che ci siamo dati o che abbiamo imposto, per ascoltare, per accogliere, per fare spazio nel nostro cuore, a chi chiede amore e attenzione. Gli occhi di Gesù sono le finestre del Suo cuore, e così Egli non rimane impassibile, indifferente, e nelle ferie sue e dei suoi amici, “si mise ad insegnare molte cose”. A prendersi cura della loro fame, come ci dirà il vangelo domenica prossima.

“Il Signore è il mio pastore”, recitava poco fa il salmo e la sua compassione “è il mio riposo”. Egli porta pace nel nostro cuore, sollievo nella nostra fatica, guarisce quella lacerazione che ci portiamo dentro, per le cose che facciamo e quelle che non riusciamo fare, mentre non spegne quell’attenzione e quella cura che sempre devono rimanere vive in noi verso coloro che, travolti dalla vita, sono come “pecore che non hanno pastore”.



sabato 14 luglio 2018

BRICIOLE di VITA
...in poesia



14 luglio 2018

FOZA
…chiesetta San Francesco (m.1138)

Periferia al piano
alto accogliente,
paesino senza pretese
su costa ridente

Semplice silenzio
su sentieri e prati,
passi lenti sereni,
qualche fatica, felpati

Dal tempio di Foza
sale dolce la via
al colle di Francesco
ove respira prece pia

Ston, il bestemmiatore,
dall’umile frate udì
qui parola di perdono,
e il miracolo si compì

Sian leggende
o fatti di verità,
fa sempre meraviglie
la divina bontà

Terminati i giorni
di benefico riposo,
è ritorno ad amar,
nuovo sperar oso

Grato per conforto
ricevuto e gustato,
da questa pace ora
me n vo’ sollevato

Ricordo non lascio,
ancor vive in me
il vento, il volo, i fiori,
bellezza che sola è

Sguardo va oltre,
lontano arriva,
fin dentro ogni cuore
che l’amore ravviva

Piomba su Brenta,
l’annebbia la calura,
scendere a valle
sarà forse dura

Volti daran freschezza
d’amici e fratelli,
dai!, c’attende lotta
che fa liberi e belli

BRICIOLE di PAROLA
...nell'omelia


15° Domenica B – 15.08.2018

- Amos 7,12-15      - Efesini 1,3-14      - Marco 6,7-13

Dopo aver ascoltato questo brano del Vangelo, verrebbe quasi da pensare che Gesù, “scottato” in casa sua, disprezzato e rifiutato dal suo paese – come si narrava nel brano della scorsa domenica -  si voglia defilare. “A me non è andata bene neanche tra i miei, meglio che andiate voi”. Non è credibile, come poi è andata avanti la storia, che Gesù abbia agito così, come per cavarsela. “Troppo difficile e rischioso; andate voi”. Niente affatto!

Gesù, invece, vuole subito coinvolgere i suoi amici più vicini, i Dodici, coloro che dicono di essergli discepoli.  E dopo aver dato un assaggio, con la sua esperienza a Nazareth, di quello che può attenderli, li manda “due a due” in missione. Vuole prepararli, offrire loro l’opportunità di un tirocinio, una formazione sul campo. Imparino a condividere e ad essere corresponsabili.
Mi fa sorridere pensare, vista l’umanità di Gesù, che come tutti avrà conosciuto anche la stanchezza e il bisogno di un po’ di riposo, che abbia mandato i suoi per respirare un po’ lui probabilmente. La cosa non mi scandalizza. Quasi dicendo: “Sentite, tirate un po’ voi; datevi da fare, visto che siete con me”. Gesù ha bisogno di prendersi un po’ di tempo!

Però la “buona notizia” più bella è che Gesù affida la missione che gli è propria agli amici perché conta su di loro. Non sono nati, e, al momento, non sono forse nemmeno attrezzati per questo compito. Magari, non se ne ritengono neppure capaci. Ma il Signore non manda chi è capace, rende capace chi manda. Il profeta Amos, nella prima lettura, nello scontro con Amasia, il sacerdote di corte, mostra questa consapevolezza: “Io non sono un profeta, uomo di Dio per nascita, ma Dio mi ha chiamato mentre seguivo il gregge, Mi ha detto: va’, parla al mio popolo. Per questo sono qui”.
La stessa consapevolezza, con parole più profonde, c’è anche in Paolo che reputa una benedizione essere chiamati, come è stato lui, ad avere conoscenza, esperienza, un incontro con il mistero di Dio, della sua volontà, e ricondurre a Cristo tutte le cose. Ecco questa chiamata e consapevolezza sono la “buona notizia” che vogliamo leggere anche nella nostra vita.

Sì, va bene. Ma dove andiamo, come ci muoviamo, cosa portiamo?
Con lo stile di Gesù, che è esigente. Uno stile che non si limita a dire parole belle e buone, ma traccia un comportamento di vita particolare. Poiché Egli è venuto a rivolgersi a poveri, ultimi, bisognosi, scartati, peccatori… consegna ai suoi uno stile che sa di povertà, di precarietà, sobrietà, mitezza. Come a dire: “prima di parlare, accompagnate l’annuncio che Dio è vicino, che è giunto il suo regno, che il suo amore è qui per loro, con la testimonianza della vita. Andate dovunque, non portate nulla che possa far dubitare che vi fidate di Dio, muovetevi con mitezza…”. E’ uno stile di coerenza con quanto si predica o si insegna; non contiamo su noi stessi, le nostre risorse, le nostre forze, e da ultimo, accetta la difficoltà più grande: l’insuccesso. C’è anche questa probabilità! Gesù stesso l’ha appena sperimentato, e lo conoscerà ancora.

C’è fallimento e c’è insuccesso nel prodigarci nel compito che il Signore ci ha affidato.
Il fallimento è quando abbiamo contato solamente sulle nostre forze e risorse, è causa nostra; l’insuccesso è forse permesso dal Signore per qualche ragione a noi sconosciuta, ma è un successo posticipato! Quindi scuotiamo pure la polvere quando non siamo accolti e ascoltati, siamo contestati e respinti, anche tra i nostri, ma su quella polvere la grazia del Signore, a suo tempo, qualcosa farà nascere.

 E, infine, chi dice di sì al mandato di Gesù non è del tutto povero, sprovvisto di ogni bene da condividere, e che è la sua forza. I Dodici – narra il vangelo – “avevano potere sugli spiriti cattivi, scacciavano molti demoni, ungevano con olio molti ammalati e li guarivano”. Potevano andare tranquilli a fare il loro tirocinio.


domenica 8 luglio 2018

BRICIOLE di PAROLA
...nell'omelia



14 Domenica B -08.07.2018

Ezechiele 2,2-5        2Cor 12,7-10       Matteo 6,1-6

Dove può stare la “buona notizia” oggi davanti ad una testarda e indurita “genia di ribelli”, alla ostentata presunzione della gente, alla confessata debolezza dell’apostolo?

Sta innanzitutto nella fedeltà di Dio che, “ascoltino o non ascoltino”, sappiano almeno che Egli continua parlare. Dio sa e vede la ribellione continua del suo popolo contro di lui, eppure non smette di far giungere ad esso la Sua Parola. Che cosa può mai rendere così determinata questa volontà che non molla. Se dipendesse da noi, forse non avremmo la medesima pazienza, e manderemmo tutti a quel paese. Egli non vuole convertire, anche se spera, e li invita più volte, che ritornino a Lui, al suo amore. Ed è proprio questo, l’amore, che lo rende determinato.
Questa fedeltà di Dio si manifesta in Gesù che contestato, “disprezzato da suoi, nella patria, tra i suoi parenti, e in casa sua”, respinto, non demorde nel fare il bene. Quello che gli è concesso, anche se “pochi malati” poterono beneficiare della sua presenza. Perché Egli rispetta la libertà delle persone, non impone nulla, solamente “si meravigliava della loro incredulità”. Gesù ha dovuto fare i conti con una particolare specie di chiusura nei suoi confronti, vale a dire la presunzione di coloro che ritenevano di saperla lunga a suo riguardo. Lo avevano ben individuato, classificato, giudicato. Così ci si difende dalla grazia: con la testardaggine di chi non vuol capire e la durezza del cuore di chi non ama se non se stesso, con la presunzione che chiude ad ogni agire libero dello Spirito e alle sue novità.

In questo libero presentarsi dello Spirito e della sua azione sta ancora la “buona notizia per noi”.
E’ l’umanità di Gesù a darcela. Egli non si presenta con le referenze o credenziali, o peggio, con il fare di un professorone, di un potente, grande; non accampa titoli accademici per ammaliare gli uditori. Certamente gli viene riconosciuta “autorità”, parla con autorevolezza, tanto che “insegna non come gli scribi”, ma il suo presentarsi è dimesso, semplice, povero, quello di uno che frequenta la bottega di un…falegname. Egli è “il falegname, il figlio di Maria”. Che cosa può avere di speciale? Forse Gesù odorava di legno, quel legno che si lascia lavorare, intagliare, financo bruciare; odorava di colla,  di resina… “Che sapienza è mai quella che gli è data?”.
La “buona notizia” è che la presenza di Dio si offre a noi così, non con vesti ieratiche, paludamenti di maestri, certificati di laurea, ma con le vesti impolverate di un falegname, il grembiule della donna di casa, la tuta di lavoro, unta di olio e sudore, gli abiti laceri di un povero… Nell’ordinarietà, nella quotidianità dell’esistenza, nella semplicità che è in mezzo a noi, da lì ci è data la sapienza che viene dall’alto! Lo Spirito è libero, si muove come vuole, e pur potente non s’impone, ma si serve della semplice nostra umanità.

Gesù non si spaventa della nostra debolezza, qualunque essa sia. A volte è incomprensibile, a volte ne siamo corresponsabili, ma sempre amabili. Perché dovremmo spaventarci e scoraggiarci noi? Gesù, questa “spina”, misteriosamente non ce la leva dalla carne, non libera da ciò che ci fa soffrire o ci rende discepoli suoi fragili e incoerenti. Non perfeziona la nostra umanità, non ci toglie i nostri difetti. Insomma, non ci scansa dalla prova. Allora dove sta la “buona notizia”? “Ti basta la mia grazia!”...Il mio amore, la mia stima, la mia amicizia! Questa “grazia” è la fedeltà tenace di Dio, la sua amorevole vicinanza, la dolce fermezza nello starci accanto, la ferma dolcezza quando noi gli offriamo solo incredulità. Questa “grazia” sono ancora quei “pochi” segni che permettiamo a Gesù di compiere tra noi, e che non vogliamo perdere di vista, perché significano che nulla potrà mai spegnere la sua carità, quel “fuoco che vorrei fosse acceso”. E lo sarà!