lunedì 24 maggio 2021

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

Pentecoste  B - 23.05.2021 

Atti 2,1-11  -   Gal 5,16-25  -  Giovanni 15,26-27; 16,12-15

“Avrete forza dallo Spirito Santo, e mi sarete testimoni sino all’estremità della terra”. E’ la parola di Gesù domenica scorsa, nella Sua ascensione al cielo. Quella promessa oggi si realizza e quel mandato diventa operativo, grazie allo Spirito Santo .

Ma chi è lo Spirito Santo? E’ Dio, il Paraclito, lo chiama Gesù nel vangelo, cioè il Difensore, il Consolatore, l’Ispiratore di ogni opera buona, il Creatore di ogni bene.

Così lo descrive il racconto della Pentecoste, di quanto avviene in questo cinquantesimo giorno dalla Pasqua: “un fragore dal cielo, quasi un vento impetuoso, lingue come di fuoco. Lo Spirito Santo è Dio che investe e scuote, inarrestabile; l’ impeto di Dio che d’amore riempie ogni angolo della nostra “casa comune” della nostra esistenza; Dio che ci accende della Sua stessa passione. Rafforza la nostra comunione, mette coraggio, ci aiuta ad aprirci agli altri, a comprenderci pur parlando linguaggi diversi e mentalità differenti, cosa che succede anche nelle nostre famiglie. Lo Spirito è forza dall’alto! Travolgente amore!

Ma lo Spirito non è solo vento impetuoso. Esso è anche una brezza leggera, una carezza d’amore. Se come forza è irresistibile, come carezza è rispettoso della nostra libertà. Per questo c’è chi sottrae allo Spirito, o lo strumentalizza. Egli è il Consolatore nelle nostre ferite che con delicatezza cura, fascia, medica, guarisce, aiuta a portarle. Ci fa la corte e che ci attira a sé. Mi piace pensarlo così quello “Spirito della verità” come lo chiama Gesù, lo Spirito che “guida alla verità tutta intera”, l’amore di Dio, il bene che mi vuole.  E viene riversato nel cuore dell’uomo affinché possiamo amare come Dio, con linguaggio, gesti e parole umani. Come tale non è rumoroso, ma è parola silenziosa che si rivolge al cuore, è un sussurrare qualcosa che solamente chi è aperto all’amore può avvertire e accogliere.

A questo punto, riconosco nello Spirito il respiro di Dio Amore che mi consente di camminare in questa vita senza temere affanni o schiantare davanti alle prove e difficoltà.  Mi aiuta a lasciare le opere della carne, quasi una lista a luci rosse e violente ricordata denunciata da Paolo nella seconda lettura, cioè le opere della mentalità mondana. Sono più letali di qualsiasi virus, soffocano e portano alla morte la nostra umanità. Invece lo Spirito di Dio, il Suo respiro, produce in me ogni frutto di bene che fa lieta e bella, non solo la mia, ma anche la nostra esistenza.

Sì, perché questo respiro di Dio, lo Spirito, può essere anche il soffio d’Amore di dio che io posso rivolgere a chi mi sta attorno, a chi mi è vicino, ad ogni cosa che mi è data. Un soffio che io posso tramettere, se non ho il fiato corto a causa di qualcosa, il peccato, che mi impedisce di respirare correttamente e senza affanni; un soffio d’amore che io posso donare se mi sono lasciato riempire il cuore dallo Spirito di Gesù.

Miei cari, che lo Spirito di Dio scenda su di noi oggi! Vento impetuoso, o brezza leggera, o respiro di Dio, o soffio d’Amore, “ospite dolce dell’anima”, vi rechi “dolcissimo sollievo”.

 

 

 

lunedì 17 maggio 2021

BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia 

Ascensione –  B - 16/05/2021

Atti 1,1-11 ;  Efesini 4,1-13 ; Marco 16,15-20

Penso sia toccato un po’a tutti sentirci dire, o dire a nostra volta qualcuno, come benevolo rimprovero e non solo: “non hai ancora imparato a stare al mondo”.. “Devi imparare a stare al mondo”… “Quando cammini, guarda davanti a te. Alza gli occhi!”… “Guarda dove cammini, guarda dove metti i piedi!”

Due modi di stare al mondo, di muoversi in questa esistenza, corredati da sentimenti e atteggiamenti anche contrastanti, ma che, invece, dovrebbero completarsi e aiutarsi. Due modi di stare nella vita. Quale sarà quello giusto? Quale il cammino, e già questa parola, che viene dal comando di Gesù ai suoi nel momento in cu i sembra lasciarli per tornare al Padre, “andate”, è significativa? Essere attenti a dove camminiamo o guardare verso dove andiamo? Ci aiuta, paradossalmente, la verità dell’Ascensione di Gesù al cielo che celebriamo.

Il cammino saggio, illuminato, deve essere fatto di e dal cuore che dirige gli occhi, poiché noi guardiamo, ciò che ci attrare, ci piace, ciò che amiamo. E oggi Gesù attira il nostro cuore dove Lui ritorna, nel cielo, presso il Padre e ritrova la gloria, l’Amore che l’aveva inviato tra noi. “Ci precede nella dimora eterna”, canta la liturgia, “per darci la serena fiducia che dove è lui, capo e primogenito, saremo anche noi, sue membra, uniti nella stessa gloria”.

Ma oltre a guardare dove siamo diretti, sognare la meta, il cammino saggio, illuminato è fatto di intelligenza, che guida a dove mettere i piedi sulla via giusta. Questa intelligenza consiste, come credenti e discepoli di Gesù, quali diciamo di essere, nel prendere sul serio suo comando: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura”. Orientati al cielo, come quel piccolo gruppo di uomini  e donne semplici, i suoi amici, anche noi riceviamo l’incarico di camminare sulla terra, di guardare dove mettiamo i piedi, certamente per evitare pericoli e cadute, ma soprattutto per diffondere la buona notizia che Egli è in tutto il mondo dove maggiormente c’è bisogno di speranza e di amore. E’ la missione della Chiesa, pur con i suoi limiti, difetti, peccati, con la forza di Dio stesso. “Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra”.

L’Ascensione del Signore al cielo inaugura così una nuova forma di presenza di Gesù nella storia, che è la Chiesa, la comunità di peccatori che non si rassegnano di essere tali e contano sulla misericordia di Dio, la comunità di coloro che credono e amano Gesù, che si amano tra di loro, e che lo fanno conoscere e amare.

La Vergine Maria che onoriamo con particolare affetto in questo mese, aiuti anche noi a tenere «in alto i nostri cuori», al cielo, dove arriveremo. E nello stesso tempo ci aiuti ad avere “i piedi per terra”, a seminare con coraggio il Vangelo nelle situazioni concrete della vita e della storia.

 

 

 

domenica 9 maggio 2021

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

Sesta di Pasqua B – 09.05.2021 

Atti 10,25-26ss     -     1Giovanni4,7-10     -     Giovanni 15,9-17

Partiamo dal vocabolario. “Mio, mia, miei, mie”…pronomi possessivi assai in voga; molto frequenti nei nostri discorsi e conversazioni; assai familiari per legittimare il possesso, appunto, la proprietà che abbiamo di una cosa, di un’idea, una progetto, una realtà, talvolta anche di una persona. E allora questo pronome può farsi ambiguo e diventare pericoloso.

C’è un aspetto positivo nel dire “mio, mia, miei,”…ed è il riconoscimento e l’affermazione della propria identità. Solo che bisogna vedere perché si dice “mio, mia, miei..”: se per tener ben stretto, per metterci a difesa anche ad oltranza, o se per condividere, donare, e per arricchirci reciprocamente.

Non ho trovato nel dizionario il contrario di possessivo. Sembra non esistere,  Il possessivo, per sua stessa definizione, rischia di non ammettere contrari! Ho trovato “comprensivo, clemente, generoso, altruista”… ma nulla di più. Nel vangelo di stamane ho trovato una luce nella mia ricerca. Anche Gesù usa il pronome “mio, miei, mia”… e questo diventa occasione di dono! Così Egli si rivolge ai discepoli. 

“Rimanete nel mio amore...”, “la mia gioia sia in voi”, “voi siete miei amici”; osservate i miei comandamenti, che si riassumono in uno “che vi amiate gli uni gli altri”…Rivolgetevi al Padre “nel mio nome” …. E questo pronome si fa condivisione e dono della realtà più bella che è Gesù, l’essere il Figlio amato immensamente dal Padre!

Cos’è questo “mio amore” a cui Gesù si riferisce? E’ lo stesso legame di affetto, di sintonia, di bella intesa e comunione con il Padre suo. Gesù ci porta dentro e invita a rimanere in questo amore, in questa relazione, a farvi parte, e lo fa attraverso l’amicizia che dona ai suoi, a noi: “Voi siete miei amici”. “Io vi ho scelto”. Non ci tratta da servi e ci paga secondo la nostre prestazioni; è una nuova relazione dove Egli ci ama come amici. Concede confidenza, apre a segreti, fa conoscere e partecipa delle cose più care, comunica la vita profonda.

Porta a quella che Gesù chiama la “mia gioia”, e vuole, dice ai suoi amici, che “la vostra sia piena”. Egli, già pienezza di vita, dì amore, di gioia, è interessato che solamente la nostra sia piena. L’amico vuole la felicità dell’altro, sceglie amici per farli felici. Allora, la nostra gioia, la mia, la tua, quella di ognuno, è in cima ai pensieri di Dio che ci ha mandato Gesù. E’ la sua volontà.

Forte dell’amicizia che offre, Gesù non rinuncia a chiedere e a sperare. “Questo è il mio comandamentoda osservare, l’opportunità per rimanere nel mio amore, nella mia gioia che già vi offro: “che vi amiate gli uni gli altri”. Non ci chiede innanzitutto che amiamo lui, che ricambiamo il suo amore, amandolo a nostra volta. No, la risposta al suo amore è l’amare gli altri come lui ci ha amati e li ha amati. Gesù ha risposto all’amore del Padre amando noi, e noi rispondiamo all’amore di Gesù amando l’altro, gli altri “sino a dare la vita”, non a parole ma in opere.

Ritornando al pronome possessivo “mio, mia, miei” con cui abbiamo aperto questa nostra riflessione, lasciamo perdere il vocabolario. In nessun dizionario può esserci il contrario di possessivo, perché il contrario non è una parola, ma una vita; è un volto, una persona: è Gesù, il Risorto! Che ci tenga stretti a sé, come i tralci nella vite!

 

 

 

domenica 2 maggio 2021

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

Quinta di Pasqua B – 02.05.2021 

Atti 9,26-31     1Giovanni 3,18-24     Giovanni 15,1-18

Domenica scorsa, il pastore buono che dà la vita per le sue pecore. Oggi, la vite che ai tralci trasmette la linfa vitale per produrre molti buoni frutti. Così Gesù si presenta e si offre. E noi non siamo solo destinatari della vita che ci dà bene, ma anche diventiamo portatori della stessa.  Ad una condizione, che Egli ci ricorda: “Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”. Non staccatevi da me! Ogni tralcio che non è unito alla vite finisce per morire, non dà frutto; è buttato via, utile solo per fare il fuoco. Invece i tralci che sono uniti alla vite, nutriti dalla linfa vitale, si sviluppano, crescono e danno i frutti.

Rimanere in Gesù significa essere unito a Lui per ricevere la vita da Lui, l’amore da Lui, lo Spirito Santo da Lui. Semplice l’immagine; un po’ meno l’applicazione nella nostra esistenza.  E’ vero, siamo peccatori, e capita che non sempre rimaniamo in Lui, da Lui ci stacchiamo. Ci chiudiamo al passaggio in noi della sua vita e rinsecchiamo. Allora viene, taglia e pota! La potatura! Finché si tagliano i rami secchi, ingombranti, che sono un “intralcio” e non un “tralcio”, mi va anche bene. Penso al mio peccato, alla mia cattiveria, alle mie resistenze che impediscono alla vite, Gesù, di comunicarmi la sua bella e generosa vitalità. E’ provvidenziale intervento tagliare, togliere!

Ma quando ho l’impressione che io sono potato in quella parte in cui penso di riuscire bene, di avere qualche opportunità, sono “tagliato” nella bontà, così almeno la valuto, che potrebbe fiorire e far ben sperare, beh, allora, mi è difficile accettare la potatura. Protesto vivacemente per questo impedimento, e umiliazione. Eppure, devo crederlo: la potatura è per fortificare, irrobustire, non per indebolire, potenziare e dirigere sapientemente la linfa al suo migliore profitto.

A volte capita che a idee belle, buoni propositi, intenzioni sante, attività ben avviate, speranze di riuscita, inizi promettenti, a tutto questo venga posto fine. Come una grandinata, una gelata fuori stagione, una sforbiciata ingiusta ai nostri occhi… Altro che potatura intelligente! Sembra la morte della vite. E non è per nulla indolore questa mortificazione. Passi per i rami secchi, ma ciò che è tenero e vivo? Perché succede questo a qualcosa di bello, ad un progetto, ad un proposito, ad una gemma, ad un germoglio, ad una vita? Io non sono un vignaiuolo o un agricoltore, e non mi resta che affidarmi alla sapiente, misteriosa mano di chi ama la vite e i suoi tralci. E vuole la loro più bella e ricca esplosione di frutti.

Rimaniamo in Gesù, cerchiamolo nella preghiera; accostiamoci a Lui nell’Eucaristia, nella Riconciliazione confessando, pentiti,  i nostri peccati perché che siano “tagliati” dal Suo perdono. Accettiamo la potatura delle nostre “virtù” per la sciare che Lui faccia in noi quello che ha sempre fatto bene:  aiutare gli altri, pregare il Padre, avere la gioia dello Spirito Santo. Porteremo anche noi “molto frutto”, molto amore, molta vita. Di qualità! Ecco la qualità: “non amiamo a parole, né con la lingua, ma con i fatti e nella verità”.  Amare come Dio ama, con gesti molto umani, e allora ci ameremo con gesti che sono diventati divini. E la nostra preghiera sarà ascoltata perché vorremo quello che Dio vuole.