domenica 31 dicembre 2017

BRICIOLE di PAROLA

…dall’omelia della Festa Santa Famiglia – 31.12.2017

Nel Natale di Gesù è la salvezza nostra, perché Gesù è il Salvatore, pur in mezzo a tante difficoltà. Ma con la famiglia come la mettiamo? Può essere luogo dove incontrare la salvezza? “I miei occhi hanno visto la tua salvezza”, così esclama e loda Simeone, uomo giusto e pio, al tempio, dove i genitori di Gesù portano il bambino per compiere quello che la legge prescriveva.

“Vedere la famiglia”, questa famiglia, ma anche ognuna delle nostre che la incarni oggi, nella fedeltà, nel coraggio, nell’obbedienza, nell’offerta di quanto v’è di più caro, famiglie non esenti da debolezze, prove, è “vedere la salvezza” che è l’Amore, e precisamente l’essere amati e amare.
Non ci meraviglia, né ci deve spaventare, anche se la sofferenza è grande per chi ne è travolto, il fatto che oggi la famiglia subisca attacchi feroci, c’è chi la vuole letteralmente distruggere eliminandola, annacquandola nella sua verità profonda, nell’annuncio che essa è e porta al mondo. La famiglia è attaccata da tutte le parti, dalla mondanità che la annienta fino alla legislazione che se ne impossessa, perché è il luogo della salvezza, dell’amore.

Infatti essa è il luogo dove nella comunione di uguale dignità tra i vari componenti la famiglia e la loro diversità, si fa umanamente visibile qualcosa del mistero di quella Famiglia da cui veniamo e andiamo, Dio Trinità.

E poi è il segno, sempre visibile – sacramento – dell’alleanza tra Dio con gli uomini, di quella storia d’amore, dentro la quale si è incarnato, appunto, il Figlio suo, nato a Betlemme.
La santa famiglia di Nazareth è certamente originale, singolare, è custode della salvezza che è Gesù. Ma anche nella nostra, con Gesù, rimane quella comunione di affetti che ci porta lodare Dio, come ha fatto Simeone, e ci dà coraggio nell’itinerario non facile che spesso l’attende.
Questo coraggio, e l’obbedienza che lo sostiene, mira a far crescere la salvezza, l’essere amati e amare, che Dio ha mandato nel mondo; e al mondo offrirla, testimoniandola.

Come la famiglia, luogo d’amore, mantiene la sua identità e prosegue il suo cammino per il quale Dio l’ha pensata e voluta quale elemento naturale del nostro mondo?
La figura di Abramo e Sara, anche questa famiglia alquanto singolare nel progetto di Dio, nella loro storia ricordata nella prima lettura e nelle parole di lode della seconda, ci ricordano nella fede, nella fiducia, nell’abbandono, nell’obbedienza a Dio sta, vive, cresce la nostra salvezza.



martedì 26 dicembre 2017

BRICIOLE di PAROLA

…dall’ omelia del S.Natale 2017

Carissimi tutti, non abbiamo la presunzione di collocarci, al momento, tra gli angeli in questa Santa Notte, Ma possiamo e vogliamo sperare, augurarci, e pregare, che siano in noi, però, lo stupore, la meraviglia dei pastori convenuti lì, nella grotta di Betlemme. Chissà quante volte avevano visto nascere un bambino mentre erano a fare la guardia, come quella notte, alle loro greggi. Non poteva essere una novità. Ma quel Bambino sì. Lo era.
Erano stati sorpresi da uno strano annuncio, con luci, canti, una promessa di gioia. Li aveva svegliati, forse spaventati, poi incuriositi; un tocco di grazia: chi era nato? Chi era quel Bambino così simile a tutti gli altri, che come tutti i neonati, viveva di baci e sapeva di latte.

“E’ nato il Salvatore, che è Cristo Signore!”. Stupore, meraviglia, non certo comprensione. Una segreta speranza, senza farsi illusioni, che fosse accaduto qualcosa a cambiare le cose, che Qualcuno fosse venuto a dare…salvezza.
Gesù, il Cristo Signore, è la salvezza. Questo bambino è il Salvatore, perché è il Figlio di Dio, è Dio con noi, l’Emmanuele, fattosi carne, uno di noi.
Può risultarci difficile comprendere la presenza di un Salvatore, o perché siamo troppo rassegnati o disperati nelle nostre condizioni, problemi e sofferenze, cattiverie, o perché ci sentiamo fin troppo sicuri o gestori del nostro benessere.
Eppure questo Bambino nasce per noi, per quanti tra noi sono bisognosi e affamati di speranza, di vita, perché ci riprendiamo, per quanti pensano di star bene, perché, se necessario, ci ravvediamo, scopriamo che cosa o chi ancora manca perché la felicità, la pace, la quiete, siano vere, piena la vita.
Il Salvatore assume e vive tutta la nostra realtà bella e ferita, felice e triste che il peccato e chi lo orchestra, vuole distruggere o rendere ancor più pesante. Il Natale è la festa della fede nel Figlio di Dio che si è fatto uomo per ridonare all’uomo la sua dignità filiale, la sua bella e piena umanità

No, non ci sono altri salvatori, maestri, guide o guaritori¸ né possiamo darcela da noi stessi la salvezza con dottrine, tecniche o pratiche, scelte di vita, che ci allontanano da Cristo Gesù, da questo Bambino, e stravolgono la Sua verità. Sono soltanto un’illusione di pace o di benessere. Egli solo, come annunciava la prima lettura, e ha poi mostrato nella sua vita, è il principe della pace, nel mondo, attorno a noi, in noi.

Un Salvatore facciamo fatica a vederlo in un Bambino. Non mostra segni di potenza e di grandiosità. La salvezza non sta nel potere, nella grandezza, nella ricchezza, nella conoscenza che cerchiamo di acquisire secondo varie filosofie, neppure nell’ assenza di fragilità e debolezza. Ci è data in una creatura che ha bisogno di essere amata e per questo risveglia in noi l’Amore; un Amore fasciato di umanità e adagiato per nutrire e dare vita a chi si accosta a Lui.

Di questo Amore, di questo Bambino, di ogni bambino, di ogni uomo e donna che lo reclamano, vittime di odio, di violenza, di inganni, vogliamo prenderci cura, fasciandoci e fasciando ogni cosa di vera umanità,
A fronte di dubbi e paure, ci soccorrano le parole dell’angelo: “non temete: ecco c’è una grande gioia per tutti”.
Tra le grida di questo mondo tocchi il nostro cuore il vagito di quel Bambino e il pianto di ogni bambino, di ogni persona rifiutata. E per coloro che in questa santa notte di teneri affetti sono nel buio della prova, sentono l’assenza della persona più cara, conoscono solitudine, angoscia e preoccupazioni, sia certezza il canto degli angeli: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”. Buon Natale!


venerdì 22 dicembre 2017

BRICIOLE di PAROLA

… nella Vigilia - 24/12/2017

A poche ore dal Natale di Gesù, e a fronte di tante corse e preparativi che impazzano secondo tradizione, a fronte di tante parole anche belle di augurio che si moltiplicano, ci è data la Parola di un incontro… d’amore!

L’incontro tra noi e Dio avviene innanzitutto nell’ intimità del cuore, nel segreto della nostra casa, dentro di noi, nella semplicità e nella custodia delle relazioni più care, delle amicizie più belle. E’ quello che vive Maria, promessa sposa a Giuseppe, nella sua casa di Nazareth. Celebreremo il Natale anche nella ressa delle nostre chiese che stanotte si riempiranno, nella festa delle nostre famiglie che si riuniranno. Faremo festa insieme, ma soprattutto faremo Natale se conserveremo l’interiorità, anche un po’ di silenzio, di calma, di ascolto, per cogliere quello che ci dice Dio, quello che ci sussurrerà il bambino di Betlemme.

Con l’intimità è lo stupore, anche turbamento, dice il Vangelo, a proposito di Maria al sentire le parole dell’angelo. Non solo la commozione davanti alla poesia che il Natale ispira, ma pure la sensazione di trovarci davanti a qualcosa di grande, di inaudito, di tanto atteso, vale a dire l’Amore, la vicinanza di Dio che ci abbraccia, ci dà pienezza di vita, ci fa vivere con gioia e speranza la nostra esistenza. Lo stupore che prende Maria vogliamo per noi, oltre le luci, i colori, i canti, e dentro i sorrisi, i saluti, gli abbracci che ci regaleremo.

Intimità e stupore per aprirci a Dio, al suo progetto, e al mondo che egli vuole sappia di quanto sia amato. Ecco la disponibilità, manifestata da Maria che all’ Amore di Dio si concede. Lo accoglie, gli da carne, tutta l’umanità con cui si rivela e viene a noi. Nei nostri buoni propositi vorremmo dare una casa a Dio, ma sarà Lui che ci precede affidandosi umilmente alla nostra vera disponibilità. “Eccomi. Avvenga per me secondo la tua parola”, è la risposta al Si di Dio che ci dà il Salvatore.



domenica 10 dicembre 2017

BRICIOLE di PAROLA
 
…dall’omelia del 10.12.2017

Isaia 40,1-11; Marco 1,1-8

Vegliare, stare attenti, con responsabilità e con amore. Così andiamo incontro al Signore, o, meglio, accogliamo il Signore che viene incontro a noi.
Egli viene e non sta in silenzio. La sua Parola scende nel deserto attraverso la voce di Giovanni e tocca le nostre sponde di ogni giorno, come quelle del Giordano, dove attracchiamo la nostra barca o dove arriviamo da vari sentieri.

Occorre andare nel deserto con Giovanni; andare nel deserto con gli uomini d’oggi, che il deserto ce l’hanno, anzi, ce l’abbiamo dentro, nel cuore. Così può essere che l’esistenza di ciascuno e di tutti, fatta di avvenimenti complessi o di solitudine amara, diventa terra santa, via di Dio che ci raggiunge. E ci parla, ci grida. Perché ci grida? Forse perché siamo sordi? Forse perché è lontano o noi ci siamo allontanati? Forse per incutere paura o imporsi? Cosa grida?

Grida : “Inizio del vangelo di Gesù Cristo”. Cioè “partiamo da una buona notizia” perché Gesù è un messaggio gioioso, in sintonia con quello che abbiamo sentito nella prima lettura: “Consolate, consolate il mio popolo -dice il Vostro Dio-. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è finita”. E’ un grido che non rimprovera, non minaccia, dà speranza suscita gioia. Iniziamo da Gesù, buona notizia che rassicura i cuori.

Perché Gesù è buona notizia?
Perché con Lui che si immerge nel Giordano davanti al Battista, con Lui possiamo sempre riemergere a nuove possibilità di vita. Egli, il “più forte,” ci battezza in Spirito santo, ci immerge nel suo amore, e ci “tira fuori” dal nostro peccato, dalla nostra condizione che non è secondo il progetto di Dio.

Che significa “gridare”?
Contrariamente a quello che si pensa, non è alzare la voce da cui ci si può, infastiditi, difendere. Ma è un parlare al cuore e con il cuore; un parlare al cuore di Gerusalemme, dei credenti, e di tutti. E’ un sussurrare, un consolare. E’ un rassicurare che Dio ama il doppio del nostro peccato; è portare gli agnellini sul petto con tenerezza e condurre dolcemente le pecore madri, i piccoli e chi fa più fatica.

Come vorrei che qualcuno mi gridasse dietro così! E mi dicesse in questo modo: prepara te stesso sulla via del Signore, raddrizzati o rialzati perché Egli è sulla tua strada.

lunedì 4 dicembre 2017

BRICIOLE di PAROLA

 
…dall’omelia del 03.12.2017

Matteo 8,5-11

Quando si decide un viaggio, la prima cosa che si guarda è la meta. Oppure, siamo già in cammino, ogni tanto alziamo gli occhi, per non andare fuori strada. Solo, che, nel nostro caso, grazie a Dio, è la meta che stavolta si avvicina a noi. Ci viene incontro Cristo Signore, perché Lui la nostra meta.

Egli verrà nella celebrazione del suo Natale; verrà alla fine di questo cammino terreno, la nostra storia, come pure viene ogni giorno perché si avvicina a noi negli eventi, nei fratelli, nella Parola. Lo accogliamo fin d’ora.

Con una preghiera struggente, uno sguardo fiducioso: “…siamo avvizziti come foglie e portati via come il vento dalle nostre cattiverie, … Tu Signore sei nostro Padre, ricordati Signore, e ritorna a noi ; noi siamo argilla e Tu colui che ci dà forma. Tutti noi siamo opera delle Tue mani. (cfr Isaia 63 e 64).

Non siamo noi che con le nostre forze, con i nostri meriti ritorniamo a Lui, è Lui che ci viene a cercare e ci raggiunge là dove ci siamo smarriti. Ma occorre ridestarci per accogliere questo ritorno di Dio, perché ci siamo assopiti, addormentati.

Ecco il forte invito di Gesù: “Vegliate”, cioè “state attenti”, “tenete gli occhi aperti”, “fate attenzione”, “non vi trovi addormentati la sua venuta”. Coloro che sanno vegliare sono: 

Primi, quanti hanno paura: le “sentinelle”. “Lottano” contro il sonno e le distrazioni, a difesa dei propri beni, della propria e altrui vita, della propria dimora. In essi v’è il timore, la paura di perdere ciò che è a loro caro, ciò a cui tengono. Sono i “servi”, preoccupati che al ritorno il padrone non trovi nulla fuori posto.

Secondi, di tutt’altro stampo e cuore: non prendono sonno gli “amanti”, quelli che amano. Il desiderio, l’impazienza, il non star più nella pelle, l’emozione che monta, la gioia, dell’attesa, non consentono di  chiudere occhio. L’incontro con chi ci ama, con chi amiamo, l’incontro con la felicità, tiene ben svegli!

Sentinelle e amanti, si completano. Responsabilità e passione ci fanno muovere i nostri passi incontro al Signore.  Nel tempo di  Avvento riprendiamo il cammino, il nostro andare incontro al Signore che già viene verso di noi. Non attardiamoci, Lui ed è già molto avanti.
















BRICIOLE di ...poesia

 
…da Matteo 8,5-11
                                ( primo lunedì d’Avvento!)

“Verrò e lo guarirò”

Di promesse
si riveste il giorno,
propositi santi
si muovon attorno,
offerta opportunità
di nuova carità.

Presto svanisce,
sfuma ogni parola
e l’intenzione buona,
per crucci e croce s’invola;
chi confermerà speranza
a lento passo che non avanza?

Arrogante non m’affido
al promettere mio,
conto su misericordia
fedele Parola di Dio,
dice a me, e non morirò,
 “Verrò e lo guarirò”.

L’esistenza va
su quotidiani sentieri,
familiari pur irti
per amori belli e sinceri,
benedice l’umano andare
il Suo desiderio di salvare.

Né promesse né propositi
né angoscia o presunzione,
tra inciampi e cadute
cammino di consolazione,
forza in me immessa
solo da Sua promessa.

Pregar per altri
la strada apre all’amore,
non chiede per sé
il compartir dolore,
e ottiene, allora loderò,
“Verrò e lo guarirò”.










mercoledì 29 novembre 2017

BRICIOLE di PAROLA

 
…dall’omelia del 26.11.2017

- Matteo 25,31-46

 Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore. Di qui non si scappa. E sta tutta qui la predica che possiamo ricavare riflettendo sulla parola di Gesù, proprio a partire dalla scena finale che Egli ci descrive al termine della nostra esistenza.
Mentre siamo a questo mondo, non ci avvenga di sotterrare il talento dell’amore che ci è stato dato perché lo investiamo, lo moltiplichiamo.

L’unico modo per investire questo talento, questa ricchezza, l’amore, l’unica via che davvero ci fa re e signori è quella di servire.
Oggi è la festa di Cristo Re e Signore dell’universo e della storia; la sua regalità, la sua signoria, si manifesta nell’amare e dare la vita fino a vincere la morte, per noi nell’accogliere, aiutare chi è nella difficoltà. Di tale regalità e signoria siamo chiamati a farne parte amando concretamente poveri e infelici, sino a “regnare” su ogni male.

Ad insegnarci ad amare, viene in aiuto la stessa cura e premura che Dio mostra nei nostri confronti (cfr Ezechiele 34,11-17). E poi ci scuotono le parole del vangelo, ricordando il giudizio a cui saremo sottoposti, un giudizio di misericordia se avremo usato misericordia; un giudizio severo se saremo stati severi. 
In pratica Dio non farà altro che ratificare verso di noi l’atteggiamento che avremo tenuto nei confronti del prossimo, dei fratelli suoi, dei più piccoli tra costoro, dei più poveri, gli ultimi, gli abbandonati.

“L’avete, o non l’avete, fatto a me!”. Egli si è immedesimato con questi fratelli, anzi è uno di loro. Un giorno saremo felicemente o amaramente sorpresi di essere stati qui davanti a chi ci è re e signore, pur se le apparenze non lo dicono.

 “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo.”  Quando il Signore mi chiamerà, sentendo queste parole, questo invito, spero di morire… di felicità!








giovedì 23 novembre 2017

BRICIOLE di...poesia!

 
SARA’ NATALE

Avanzan gli anni
nel ministero amato,
in grazia e gioia
ogni dono è dato,
senza fine la carità,
in altri pensieri
vibra umanità.

In lungo e in largo
non è fermo l’andare,
paziente fiducia
e continua l’amare,
ancora di lieta novella
si tinge l’autunno
età feconda e bella.

Alberi spogli,
cadon le foglie,
rosicchiar di passi
vivacità non toglie,
della sera l’imbrunire
calma pure le voci,
i rumori e ogni dire.

Domestico riposo,
cara buona pace,
al familiare desco
ogni dissidio tace,
narrar della giornata
é pane condiviso
della fatica portata.

Al freddo mattutino
non s’affretti breve il giorno,
serale umidità
a togliere luce intorno,
venga essa dell’amore
in ogni casa e petto
a custodir caldo tepore.

Mette fretta l’amore
ritardi non concede,
anticipa l’abbraccio,
la carezza, e la fede,
anzi tempo io canto
prodigio tra preci
mai atteso così tanto.

Arrivan giorni di bontà,
di letizia sinceri,
a cuore e affanni
non cedano pensieri,
la vita il cielo vale,
anche Dio la sceglie,
e sarà Natale.

Macchè inverno,
già il Germoglio preme,
in grembo verginale
vive nostra speme,
non tristezza e noia,
augurio di regger sani
l’infinita gioia.

Il Salvatore, il solo,
è Dio in carne umana
adagiato, piccolo, debole,
d’amore profumo emana,
in rustica culla,
a pastori, greggi e poveri,
di più bello non v’è nulla.

Dal buio e inganni
al Bambino vanno,
sorpresi, curiosi, solleciti,
una speranza hanno:
per celestial tenerezza
loro sorte da tutti fuggita
veste divina bellezza.








mercoledì 22 novembre 2017

BRICIOLE di PAROLA

 
…dall’omelia del 19.11.2017

- Matteo 25,14-30

Il talento prezioso che Dio ha messo nella nostre mani chiamandoci alla vita è l’amore. A ciascuno la propria dose, secondo la “pienezza di ciascuno”. Egli conta che noi abbiamo a “trafficare”, investire, anche rischiando, e così moltiplicare l’amore. Creandoci Dio ha fatto una transizione e non un prestito momentaneo.

Quel “regolare i conti” alla fine della parabola non significa che Dio vuole indietro quello che ci ha dato. Egli è contento, è soddisfatto che noi realizziamo pienamente la vita avuta in consegna, con i tesori di umanità e di amore che ha in sé.

La conclusione della parabola ci avverte: chi non concorre a produrre il bene, chi si limita a non far niente di male (è l’esempio del servo malvagio e pigro!), fa già del male! Perde anche quello che ha! A volte noi siamo fin troppo diligenti, ma cauti, prudenti. 
In realtà siamo prigionieri di pigrizia, stiamo a guardare cose succede senza scomodarci troppo; 
siamo preda di permalosità o invidia, perché gli altri hanno ricevuto di più; 
siamo preda della paura di perdere quel poco, diciamo noi, che abbiamo ricevuto.

Lo sbaglio più grande del terzo servo che si è imboscato e ha imboscato il talento, il dono di Dio? Ha guadagnato solo rimproveri e castigo. Perché?
Perché ha avuto paura. Non di perdere. Ha avuto  paura del suo padrone. “Ho avuto paura”. Si scusa il poveraccio davanti al padrone. E’ questo che dispiace a Dio, ed è fargli un gran dispetto: avere paura di Lui. Questo servo ha mostrato di non conoscere bene, o meglio, di avere un’idea cattiva, del padrone.

Anche a noi può capitare, tutto sommato, di pensare male di Dio; di pensare che Lui non è in grado di volere e darci la nostra felicità, e ci comportiamo di conseguenza, arrangiandoci e difendendoci.
Eppure ci domanda di essere “fedeli nel poco”, cioè nelle cose quotidiane, nei piccoli gesti d’amore verso gli altri.. Oggi, 1° giornata dei poveri, promossa da Papa Francesco, incoraggia questo investimento del talento dell’amore, di cui nessuno è sprovvisto.

Prima di terminare questa riflessione, una parola…bella.
Alla luce della 1° lettura (Proverbi 31,10), che parla di una “donna forte”, mi piace pensare che i due servi buoni e fedeli che meritano il plauso e il premio del padrone, siano in realtà due serve. Sì, due donne, dove bellezza e grazia, saggezza e operosità, premura e carità, rivelano, moltiplicano l’amore che è stato affidato al nostro cuore e alle nostre mani. La loro presenza è benedizione!








domenica 12 novembre 2017

BRICIOLE di PAROLA

 
…dall’omelia del 12.11.2017

- Matteo 25,1-13

La preghiera di questi primi giorni di novembre, la recente ricorrenza di tutti i santi e la commemorazione dei nostri fratelli defunti ha già gettato un po’ di luce sulla nostra esistenza che non ha il suo termine ultimo nella morte. La parabola di Gesù, è il caso di dire, lo conferma.

- “Il regno dei cieli è simili a dieci ragazze, che prese le loro lampade, uscirono incontro alla sposo”. La nostra è un esistenza in uscita… continua : usciamo di casa per andare al lavoro, a scuola, usciamo di casa per andare al mercato, per andare a divertirsi, fare una passeggiata, usciamo di casa per far visita ad un amico, ad un parente,  anche per andare dal medico, per un incombenza che ci costa, usciamo di casa perché l’aria è diventata irrespirabile…Un giorno siamo usciti dal grembo materno, usciremo da questa esistenza per entrare nella pienezza della vita per cui Dio ci ha creati . Sì, la vita è “uscire incontro allo sposo”.

- A noi vegliare, perché la vita ha una sua complessità. Fa sorridere il clima di questa parabola dove nessuno sembra fare bella figura, né le ragazze che si addormentano, quelle sprovvedute che rimangono senza olio per le loro lampade, quelle sagge, ma …acide, che negano solidarietà e persino che lo sposo che si fa ad aspettare. Rimane comunque che un festa di nozze ci attende! E non semplicemente come ospiti! E questo mette una certa euforia, che traspare anche dalle parole di Paolo: “saremo sempre con il Signore” (1Tessalonicesi 4,17) e con i nostri cari.

Ritorna con la memoria a quel giorno in cui sei uscito o uscita incontro all’amato/a, incontro all’amore: emozione grandissima, confusione del cuore, gratitudine incolmabile, impazienza bruciante, agitazione incontenibile, sogno ad occhi aperti, incoscienza felice …

Per “vegliare”, per rimanere ben desti, è necessario provvedere l’olio, l’amore che Dio per mezzo dello Spirito ha già acceso nei nostri cuori, perché non diventi fioca, pallida, poco luminosa la nostra esistenza.

La ricarica d’olio o d’amore è favorita dalla sapienza che viene in cerca di noi (Sapienza 6,12-16) e a noi si offre. Abbiamo tante cose nelle nostre case, nella nostra vita: che non manchi l’olio speciale che dà luce, che dà letizia, che ci rende pronti per uscire, quando sarà il momento, da questa attesa terrena, per entrare nella vita e nella festa senza fine. Ci auguriamo, intanto, un lungo… fidanzamento, poiché certo è “l’incontro con lo sposo”







venerdì 3 novembre 2017

BRICIOLE di PAROLA


…dall’omelia del 02.11.2017
Commemorazione Defunti

RIPOSO…nell’AMORE

“L’eterno riposo dona loro, Signore, e splenda da essi la luce perpetua, riposino nella pace. Amen!”

Guardiamo, oggi, con serena nostra consolazione, alla condizione nel cielo in cui si trovano coloro che abbiamo amato, i nostri cari; a considerare con fiducia anche la nostra dipartita da questo mondo quando sarà l’ ora. La morte non è la fine di tutto, tanto meno del bene e dell’amore in cui ci siamo sforzati di camminare, ma il passaggio alla vita piena che Dio ha in serbo per tutti i suoi figli, anche se non sappiamo molto della vita che ci attende. 

Il riposo eterno in cui sono i nostri cari, e in cui saremo noi un giorno, non è uno stato inerte, un sonno che porta oblio su tutto, assenza di sentimenti e di affetti. Non è nemmeno semplicemente il riposo dalle fatiche, dalle tribolazioni che qui ci hanno messo alla prova, una condizione in cui nulla ci può più nuocere. E’ troppo poco! Dio, Padre che ci ama come una madre, vuole donarci molto di più: vuole tenerci con affetto in braccio, stringerci a sé con tutta la dolcezza e la tenerezza di cui è capace, ed è immensa; vuole coinvolgerci pienamente nella sua vita quali figli prediletti.

“L’eterno riposo” è la nostra vita riposta là da dove viene, nel grembo di Dio, nella pienezza del suo amore. E’ “rimettere” la nostra esistenza nelle sue mani, nel suo cuore. Ed è anche questo “dono” suo. Per questo l’atto della morte può essere, a nostra volta, il momento del dono più grande che noi facciamo a Dio. Per il quale è certamente gioia riabbracciarci e averci con sé per l’eternità.

Questo riposo non è oscurità, ma godere della luce straordinaria che è Dio. “Splenda a essi la luce perpetua”,: questa luce è la visione del volto di Dio, come un bambino che nasce a questo mondo vede finalmente il volto della madre sua, autentica luce dell’esistenza. E’ pure ritrovare il volto caro di coloro che abbiamo amato. E’ un riposo ad occhi aperti che contempla Dio, la bellezza della strada fatta con i nostri cari, anche i passi difficili lungo i quali siamo stati sostenuti. Qualche riflesso di questa luce di cui loro godono già giunga oggi anche fino a noi! E’ per questo che noi li preghiamo i nostri defunti: ci ottengano un po’ di quel riposo e di quella pace in cui essi sono.

“Riposino in pace”. Non più angosce né desideri, nemmeno non più fede né speranza per loro: non ne hanno bisogno, sono nella visione, sono nella pace, sono in Dio per l’eternità dove ci attendono, da dove ci incoraggiano, e vengono in nostro aiuto. Sì, “Amen”!. Benedetto sia Dio, lodato  e amato dai suoi santi, dai nostri cari, da noi tutti. Il nostro cuore solo in Lui trova l’eterno riposo, la felicità per cui è stato creato. Così è e così sarà!







lunedì 30 ottobre 2017

BRICIOLE di PAROLA
 
…dall’omelia del 29.10.2017

Matteo 22,34-40

Tutti noi abbiamo un chiodo fiso, chi più, chi meno; alcuni banali, ma rispettabilissimi, come l’ordine, la pulizia della casa, la cura del giardino, la passione dei fiori, qualche hobby; oppure la fedeltà agli impegni, la puntualità nell’eseguirli, la responsabilità di non tirarci mai indietro, l’educazione dei figli….Chiodi di tutte le misure e forme, di diverso materiale…

Anche Gesù aveva un chiodo fisso: fare la volontà del Padre suo. E questo chiodo è l’Amore! l’avevano capito, e forse ne erano infastiditi gli uomini, soprattutto quelli che avevano il loro chiodo fisso nella Legge, nell’osservanza esteriore di norme e precetti. E il chiodo fisso di ritenersi superiori agli altri e a posto, addirittura in credito, di fronte a Dio. Tanto da interrogare Gesù con l’intenzione di metterlo in difficoltà: “Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?”.
E Gesù tira fuori il chiodo!
“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”.
“Amerai il tuo prossimo come te stesso”.
Il secondo è simile al primo.

Come è fatto un chiodo?
Testa, punta, un corpo che collega questi due punti.
Qual è il più importane, il primo, per l’efficacia del chiodo, perché possa incidere e fissare? Testa o punta.
Voi direte: la punta! Ma come può penetrare se non c’è la testa su cui battere e fare forza
Voi direte: la testa! Ma è inutile e si rovina il chiodo se non c’è  la punta che penetra.
No! Sono tutti e due importanti – simili (dice Gesù a proposito dei due comandamenti, che poi sono uno) per l’efficacia dell’unico chiodo che è l’amore.

Più si ama davvero Dio, cioè si batte la testa del chiodo, più si arriva ad amare il prossimo come Gesù ci ha insegnato, più la punta penetra lascia il segno. Se dovesse mancare la testa…non si pianta nulla!
Più la punta è affilata, più siamo ben disposti verso il prossimo, più l’amore di Dio si realizza, diventa vero. Se manca la punta battere sulla testa non serve, ci si illude e si fa solo danni.

Allora, ecco, il chiodo dell’amore, il più grande  dei comandamenti, il primo e il secondo che gli è simile, chiodo che fisserà Gesù alla croce (perché quelli erano chiodi d’amore!), chiodo che Egli consegna a noi.
Attacchiamoci al chiodo e avremo salva la vita!