domenica 27 novembre 2022

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

1° Avvento A – 27/11/2022  

 

Isaia 2,1-5   - Romani 13,11-14   - Matteo 24, 37- 44

 

Siamo daccapo! Quando ci scappa di uscire con questa espressione, probabilmente  abbiamo l’animo amareggiato, tanta delusione nel cuore, e poca fiducia nell’avvenire. Niente di tutto ciò stamattina. Sì, Siamo daccapo! Ma una stupenda meraviglia, una voglia di novità ci prende. Questo nuovo inizio non significa che finora non abbiamo fatto niente, che a nulla è servito il nostro impegno, vano è stato ogni sforzo.  

 

Fino a qui siamo arrivati. E questa volta, diciamo “siamo daccapo” con la consapevolezza dei passi che abbiamo mosso, con la ricchezza interiore, di cui non sempre siamo consapevoli, abbiamo maturato cercando di camminare secondo la Parola di Gesù; “siamo daccapo” per una nuova tappa che  ci avvicina non alla fine, come vorrebbero farci pensare alcune espressioni oscure del vangelo, ma al fine della nostra storia, alla meta del nostra esistenza. Questa è un andare incontro al Signore  che a sua volta viene  verso di noi.

Oggi, con  il nuovo anno liturgico, iniziamo un nuovo cammino di fede, e ci prepariamo alla visita del Signore. La sua prima visita è già avvenuta con l’Incarnazione, la nascita di Gesù nella grotta di Betlemme; la seconda avviene nel presente: il Signore ci visita continuamente, ogni giorno, cammina al nostro fianco; infine, ci sarà la terza, l’ultima visita, che professiamo nel Credo: «Di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti». Il Signore oggi ci parla di quest’ultima sua visita, quella che avverrà alla fine dei tempi, e ci dice dove approderà il nostro cammino. Così guardando con fiducia alla meta vediamo dove mettere i piedi! Ci fa pure invito il profeta Isaia nella prima lettura rassicurandoci cica un sogno meraviglioso.

Data l’importanza di questo incontro che costituisce il fine della nostra storia, Paolo nella seconda lettura, ci suggerisce : “Svegliatevi, perché il Signore è più vicino ora di quando diventammo credenti”,  il Signore è ogni giorno più vicino perché ogni minuto che passa si avvicina il momento in cui lo incontreremo. Purtroppo, viviamo addormentati e preferiamo non essere disturbati, non vogliamo prenderci la responsabilità di cambiare, di fare passi nuovi, cioè nella giusta direzione, magari correggendo il nostro andare, e, presi da sonnolenza o stordimento, meglio, non camminiamo più.

La routine quotidiana non ci deve distrarre. Dice Gesù: “Come nei giorni che precedettero il diluvio, mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti” Il Vangelo non vuole farci paura, ma aprirci a qualcosa di più grande delle cose, anche belle e buone, che ci occupano; qualcosa di più grande, che ci aiuta a dare loro il giusto peso, e così  le rende preziose, decisive per orientare bene la nostra esistenza.

Ne viene un invito alla sobrietà:  Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie” Se ci lasciamo condizionare e sopraffare dalle cose, non possiamo percepire che c’è qualcosa di molto importante: il nostro incontro finale con il Signore. Occorre vigilanza, perché non sapendo quando il Signore verrà, bisogna essere sempre pronti a partire. Saremo daccapo anche in quel momento, ma sarà, non tutta un’altra storia, ma tutta un’altra festa! Sì, vieni, Signore Gesù!

 

domenica 20 novembre 2022

BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia 

34° Domenica C – 20/11/2022

Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo

Luca 23,35-43

Abbiamo bisogno di salvezza. Non è una vergogna ammetterlo. E’ verità, è umiltà, ed è pure libertà. Se, vogliamo la versione positiva della nostra condizione: abbiamo soprattutto desiderio di vita, di vita vera, nella sua pienezza. Guerre, violenze, catastrofi, fame e ingiustizia: si salvi chi può. Sembra sentire i lazzi e le derisioni di coloro che partecipavano o assistevano alla crocifissione di Gesù, “salva te stesso”, e nel contempo l’insulto, l’orgogliosa pretesa di uno dei ladroni di approfittarne pure loro, “salva anche noi”.

In forza del titolo che Egli, davanti a Pilato e a suoi accusatori, aveva osato attribuirsi, il titolo di Re, annunciando il Regno di Dio presente in mezzo agli uomini, Gesù riceve l’ultima sfida: “salva te stesso”. Partiva da lontano quella tentazione, dal deserto dove, solo, ma assistito dallo Spirito e fermamente deciso ad essere fedele al Padre, aveva respinto l’assalto di colui che voleva stornarlo dal fare la Sua volontà, dire il Suo amore all’umanità. Ora, sul calvario, sulla croce, è nuovamente deserto, e sembra pure abbandonato dal Padre. La tentazione è ai vertici. Colui che sarà il Salvatore ha bisogno di essere salvato. Paradosso!

In realtà Gesù offre salvezza a colui che gli si rivolge confessando le proprie colpe e confidando nella misericordia che sempre aveva predicato e mostrato. Per questo è lì, sulla croce, per questo disgraziato, per quei due disgraziati, per colui che lo accoglie. Gesù è sulla croce, trono regale, anche per tutti noi, che possiamo scegliere se essere cattivi o buoni ladroni. “Signore, noi siamo tue ossa e tua carne”, dicono gli ebrei al loro re Saul, confidando nella salvezza che viene da lui.  Noi, facendo nostra, con cuore umile, sincero, fiducioso, anche la parola che sa di scherno di coloro che assistono alla sua esecuzione, diciamo a Gesù, lo preghiamo: “Salva te stesso che siamo noi. Sì, siamo noi tue ossa, siamo tua carne, siamo tuo cuore, tua vita. E con il buon ladrone preghiamo: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”.

Quale salvezza desideriamo? La nostra salvezza è entrare in questo regno, nella vita di Gesù, qui, ora, e poi nell’eternità. La nostra salvezza è non perdere Dio, non perché Egli si ritrae da noi. No. Ma perché lo abbiamo escluso dalla nostra esistenza , e viviamo come Egli non ci fosse, - pensiamoci bene - l’abbiamo soppiantato con gli idoli di questo mondo. Il male da cui essere salvati è l’assenza di Dio che noi abbiamo deciso, più di tutte le altre sventure di ogni genere; da questa assenza, rifiuto di Dio, derivano le cattiverie e le ingiustizie, le sofferenze del mondo, la rabbia e la disperazione per ferite incomprensibili e inaccettabili senza la fede in Lui, quella che Gesù ci ha insegnato. Anche Gesù ha conosciuto l’assenza del Padre Suo per esserci ancora più vicino, l’ha gridata, ma in un sussulto di comunione con Lui a Lui si è affidato. Ha dato a noi l’esempio, non solo. Ora nella gloria del cielo, Re e Signore della storia e dell’universo, ci dona ancora la salvezza di ritrovare la vicinanza, l’aiuto, l’abbraccio di Dio.

Uniamo le nostre voci a quella del malfattore che, crocifisso con Gesù, lo riconobbe e lo proclamò re. Lì, nel momento meno trionfante e glorioso, in mezzo alle grida di scherno e di umiliazione, quel delinquente è stato capace di alzare la voce e fare la sua professione di fede. Sono le ultime parole che Gesù ascolta e, a loro volta, sono le ultime parole che Lui pronuncia prima di consegnarsi al Padre: “In verità io ti dico: oggi sarai con me nel paradiso”. Il nostro quotidiano calvario si trasformi, grazie all’atteggiamento del buon ladrone, che è riuscito a consegnare a un Altro, Gesù, l’ossessione per la propria vita ritrovando certamente il vero Dio, in un luogo di grazia e di salvezza, di speranza per tutta l’umanità.

domenica 13 novembre 2022

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

33° Domenica C – 13/11/2022

Luca 21,5-19

E’ fuor di dubbio che stanno capitando eventi che ci sono motivo di ansia, di aura, di angoscia. Sia a livello personale e familiare, sia a livello più vasto, globale: la malattia, la pandemia, la morte, il fallimento, la guerra, le calamità naturali, i terremoti. Abbiamo l’impressione di essere giunti alla fine, alla fine del mondo; ma ciò che temiamo è di essere giunti alla fine di noi stessi, preoccupati per noi stessi. Non offendiamoci, ma quando siamo in tempi di crisi, come lasciano trapelare le parole e gli avvertimenti di Gesù ai suoi, possiamo scoprirci paurosi ed egoisti nel tentare di venirne fuori, nel tagliare la corda, nel cercare sicurezza per noi. Nelle situazioni difficili, le persone dimenticano il bene comune e cominciano a calcolare come salvaguardare i propri interessi. Si salvi può! Nei periodi di crisi è difficile trovare anche una politica che si preoccupi del bene comune.

Oggi il parlare di Gesù è un linguaggio tipico della Bibbia detto apocalittico, cioè rivelativo, vale a dire che gli eventi o momenti tragici, dolorosi, brutti, dell’esistenza, rivelano, mostrano chi siamo veramente, quale sia il nostro cuore, come e per cosa viviamo, e il senso, la meta della nostra vita. Le parole Gesù appaiono contrastanti: la prima annuncia una serie di eventi paurosi: catastrofi, guerre, carestie, sommosse e persecuzioni; l’altra è rassicurante: “Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto”. Dapprima uno sguardo fin troppo realistico sulla storia, segnata da traumi di vario genere che feriscono l’umanità, il creato, nostra casa comune, la stessa comunità cristiana. Pensiamo a tante guerre di oggi, a tante calamità di oggi. La seconda parola è una forte rassicurazione di Gesù che ci dice l’atteggiamento che deve assumere il cristiano nel vivere questa storia, caratterizzata da violenza e avversità.

E quale deve essere l’atteggiamento nostro di cristiani?

Quello, innanzitutto, di non lasciarci appesantire l’animo quando vediamo che le cose belle, come le belle pietre del tempio, a cui fa cenno Gesù, non reggono più, e crollano anche i più bei progetti.  E poi l’atteggiamento della speranza in Dio, che consente di non lasciarsi abbattere dai tragici eventi. Anzi, questi sono “occasione di dare testimonianza”. Non possiamo  restare prigionieri di delusioni, paure e angosce; siamo chiamati invece, in questa storia, ad arginare la forza distruttrice del male, con la certezza che ad accompagnarci nel bene che contrasta il male, c’è sempre la tenerezza del Signore e la forza che viene da Lui. Questo è il segno che il Regno di Dio è in mezzo a noi, si sta avvicinando, non la distruzione, ma la realizzazione del mondo come Dio lo vuole.

Viviamo in modo giusto il tempo dell’attesa, perché tale è la nostra esistenza, attesa del Signore, come tempo della testimonianza e della perseveranza.  Le parole che oggi ascoltiamo sono un  invito al discernimento, questa virtù cristiana di capire dove è lo spirito del Signore e dove è il cattivo spirito. Anche oggi, infatti, ci sono falsi “salvatori”, che tentano di sostituirsi a Gesù: leader di questo mondo, santoni, stregoni, personaggi che vogliono attirare a sé le menti e i cuori, specialmente dei più fragili; con messaggi postati sui social che inquietano e paralizzano.  Gesù ci mette in guardia: “Non lasciatevi ingannare. Non andate dietro a loro!”.

Alla fine, Gesù fa una promessa, garanzia di vittoria: “Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”. Queste parole sono un richiamo alla speranza e alla pazienza.  Le avversità che incontriamo per la nostra fede e la nostra adesione al Vangelo sono occasioni di testimonianza; non devono allontanarci dal Signore, che domenica prossima celebreremo quale Re della storia e dell’universo intero, ma spingerci ad abbandonarci ancora di più a Lui, alla forza del suo Spirito e della sua grazia.

domenica 6 novembre 2022

BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

32° Domenica C – 06/11/2022 

Luca 20,27-38

Sulla scia della commemorazione dei defunti di qualche giorno fa, la parola del Signore ritorna a farci riflettere sulla vita e sulla morte; e ci sorprende con un annuncio inaspettato. Abbiamo fatto memoria e ricordato i nostri cari recandoci al cimitero pregando per loro e con loro, abbiamo dato uno sguardo riconoscente e commosso al passato, al bene che abbiamo ricevuto e alle vicende vissute insieme a loro. Ma oggi siamo chiamati a guardare avanti, cosa che dovremmo fare ogni volta che un nostro caro termina la sua esistenza: che cosa sarà di lui ora? Che cosa sarà di noi quando toccherà a noi? Di chi saremo?

Gesù raccoglie la provocazione che gli viene dai Sadducei che non credevano nella risurrezione, forse un po’ anche noi, e ci dà una parola che ci sconvolge da un verso, ma anche ci libera dall’altro. Ci sconvolge perché ci chiediamo come si possibile che le cose belle, le relazioni più care che qui abbiamo vissuto e tentato di costruire, tutto sia dissolto, o ancora siano motivo di discussione anche nell’aldi là? Ma pure ci libera perché ci fa intuire che nella vita che ci attende c’è, in questo caso, una pienezza d’amore che non è più necessario dire “questo è mio, questa è mia”.

Il bene che qui ci siamo voluti, a volte ci ha portati pure a litigare, sarà di tale qualità che non sarà più un segno, perché il matrimonio è un segno, ma la piena realtà di cui siamo fatti, e che è Dio in noi senza ombra alcuna, senza limite, nella misura che ci sarà data. E non sarà che uno ne ha più e uno ne ha meno, poiché sarà riempito secondo la capacità, cioè la larghezza, che qui ha fatto del suo cuore, della sua esistenza. Quindi nessun affetto sarà disperso. Non osiamo dire altro, perché della risurrezione non abbiamo esperienza o conoscenza diretta, ma nella risurrezione abbiamo fiducia dal momento che Gesù, il Signore nostro è risorto. Egli è la nostra speranza.

Riflettiamo, invece, sulla morte. Di questa non manca l’esperienza. Ci sono due modi di guardare la morte: il primo consiste nel vederla come la fine drammatica della propria vita, oppure può essere vista come la soglia da attraversare per continuare la vita per sempre, la vita eterna, ricevuta grazie al Battesimo. La nostra fede si gioca in questo sguardo, perché da questo dipende il modo in cui ciascuno vive.

La nostra cultura tende invece a esorcizzare la morte, ci fa paura, vorremmo eliminarne le tracce. E per questo  proviamo a ironizzare sulla morte, proprio come fanno i Sadducei con questa strana domanda posta a Gesù; Sadducei che non credevano agli angeli, agli spiriti, e soprattutto non credevano alla risurrezione. Ironizzano sulla morte. Lo facciamo anche noi, l’abbiamo fatto con le feste di Hallowen, che non sono poi innocenti giochi e mascherate, perché aprono alla familiarità con un mondo sconosciuto, occulto, e vero.

La morte non è la fine di un dono, l’amore, di cui nella presente condizione viviamo un segno; è la soglia, dicevo, che ci permette di entrare nell’Amore e diventare una sola cosa con Lui, con Dio, il Dio della vita e non della morte, il Dio dei viventi, il Dio dell’alleanza, il Dio che porta il mio nome, il nostro nome, come Lui ha detto: “Io sono il Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe”, anche il Dio col mio nome, col tuo nome, col tuo nome…, con il nostro nome. Dio dei viventi! … L’esperienza che qui ci aiutiamo a fare del suo amore e della sua fedeltà accende come un fuoco nel nostro cuore e aumenta la nostra fede nella risurrezione. L’amore di Dio, che è eterno, non può cambiare! Non è a tempo limitato: è per sempre! Ci aiuta a guardare e ad andare avanti! In cielo!