domenica 22 novembre 2015

OMELIA

 
34° Domenica B – Cristo Re e Signore dell’universo– 22.11.2015
(Festa del ringraziamento)
- Daniele
- Giovanni 18,33-37

Trovandoci a celebrare questa festa che chiude l’anno liturgico, cioè il percorso che abbiamo fatto per rivivere nella nostra esistenza il mistero di Cristo Gesù, facciamo nostra la domanda di Pilato, a una liturgia che ci presenta Gesù re dell’universo: “Dunque tu sei re?”. Dove sta la tua regalità di Gesù, e pure la nostra che ci diciamo tuoi discepoli, abbiamo cercato di seguirti, e vogliamo stare con te?

La risposta: “Io sono re…” e la regalità di Gesù è nella testimonianza della verità: “per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo” Il vero Re non è colui che ha il potere, comanda, giudica condanna, ma tutt’altro. Testimonia la verità: l’amore di Dio verso di noi, è l’amore dell’uomo verso il suo simile, e verso questo mondo come lo ama Dio. E il modo più eloquente della testimonianza di tale amore è il “servizio”: “io sono in mezzo a voi come colui che serve”, dice Gesù.

Dove noi possiamo “dare testimonianza alla verità”?  Dove e quale può essere questo “servizio all’amore”?

- Il servizio della comprensionein famiglia : “non ti faccio mancare niente, cosa vuoi ancora da me?”.
“La comprensione, cioè la vicinanza feriale, solidale, fedele, fino a giungere al perdono davanti ai miei sbagli.”
- Il servizio della compassionein paese : “non faccio male a nessuno, penso alle cose mie”.  Ci vuole di più, e cioè l’attenzione a chi è nel bisogno, nella necessità attorno a noi, partecipare e il sentirsi corresponsabili del bene comune.
- Il servizio della comunionenella comunità cristiana : amicizia sincera, stima, apprezzamento, simpatia verso gli altri. Una grande generosità, ma anche un grande rispetto, e gioia, per le diversità di doni, di qualità, di impegni. Quello che è stato il mio peccato di gioventù: voler far tutti secondo uno stampo, il mio; tutti come me, tutti a sentire come me, tutti nelle mie iniziative, nel mio gruppo…con il rischio di considerarmi il miglior, quello giusto, il più bravo… Peccato non ancora del tutto risolto!. Purtroppo. Ma chissà, con l’esempio e l’aiuto degli “amici” della Comunità…

“Io sono in mezzo a voi…”. Il servizio, e quindi la testimonianza alla verità, prima di esser un “fare” è uno “stare”, con il cuore e lo stile di Gesù.

“… quello che importa è il servizio. Forse per altri sarà un lavoro, o un dovere, ma per uno che voglia seguire Cristo, è Cristo.quando arriva la tempesta,e prima o poi arriva, l’importante è restare al proprio posto. Con l unghie e con i denti, magari con una gran voglia di scappare, magari tenuti fermi da quattro chiodi… ma stare lì. Si può abbandonare un posto di comando, ma non si lascia un posto di servizio: Gesù non è mica sceso dalla croce…”
( Lorenzo Cuffini, “Il viaggio indesiderato”
quando la malattia entra in casa
Effatà Editrice,Torino, 2014 - pag.60)






OMELIA

 
33° Domenica B – 15.11.2015

- Daniele 12,1-3
- Marco 13,24-32

Tribolazioni e sconvolgimenti, con violenza, paura e morte, un tempo di angoscia, tutto confermato dagli avvenimenti orribili delle ultime ore, preventivati dalla stessa parole di Gesù, contro la promessa sua che una nuova fioritura di umanità  è certa. La buona notizia, però, sembra soprafatta, soffocata,  schiacciata dalle tragiche notizie di questo clima di terrore che ci travolge tutti.

E’ una grandissima prova, un duro colpo, per la nostra fiducia nell’umanità che si adopera per la giustizia e la pace, per la stessa fede di credenti in un Dio che ci indica, dicevamo nel salmo, il sentiero della vita, per la nostra volontà di dare credito all’assicurazione di Gesù: “il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”. Cosa significa che “il cielo e la terra passeranno”, quale “cielo e terra” finiranno?

Innanzitutto un “cielo” lontano, cioè un Dio tenuto distante o fatto assente da noi, dimenticato, soppiantato da divinità che ci hanno fatto schiavi; o un Dio da noi pensato fuorviante e fuorviato che vuole sangue e morte per i suoi nemici, che odia ed elimina chi aspira e si adopera per una umanità libera, nella pace, nella fraternità. E poi una “terra” fattasi violenza e oppressione, ingiustizia e prepotenza, menzogna e avidità. Questo “cielo” e questa “terra” passeranno, non hanno futuro, ma non sono le bombe, gli atti di terrorismo, le guerre, a determinarne la fine; piuttosto, ne incentivano, ne aumentano il peso e il dolore, la paura e pianto, la rabbia e l’infelicità.

La fine di questo mondo così brutto e cattivo, la fine di tanto male, non sta nella morte di coloro che sono crudeli assassini dei loro fratelli, ma in una ri-creazione, una trasfigurazione dell’umano da parte di Gesù, il Risorto, che una tomba non ha potuto trattenere. Dio trasfigurerà questo nostro mondo in dimora del suo Regno, e ciò avverrà con certezza, anche se “quel giorno o quell’ora nessuno lo sa, né gli angeli del cielo, né il figlio, eccetto il Padre”,  dice Gesù.

Che cosa è chiesto a noi? Cosa possiamo fare per accogliere favorire questa novità, questa ricreazione? Osservare la storia, e stare, operare in essa con spirito di discernimento, restando vigilanti e desti davanti a quello che sta capitando; un po’ come si guarda quello che sta avvenendo nella pianta di fico, dice Gesù:  quando il fico, per il risalire della linfa, intenerisce i suoi rami e si aprono le gemme rimaste chiuse per tutto l’inverno, allora sta per scoppiare l’estate.

Ebbene quando dal nostro cuore salgono non l’odio, la ritorsione, e la violenza, ma la ricerca della giustizia, la solidarietà con i più poveri e oppressi, la volontà di pace fino al perdono, l’impegno fattivo per un mondo migliore, la linfa dell’amore, allora sta per rifiorire l’ umanità che il Padre vuole e per la quale Gesù ha dato se stesso fino in fondo. 
Questa risalita dell’amore dal nostro cuore che conosce orrore e paura, è una grazia, un aiuto che chiediamo nella preghiera, nell’invocazione a Dio che, ricorda Gesù, farà giustizia ai suoi figli, tutti gli uomini, che gridano giorno e notte verso di lui.

Diceva in questi giorni Papa Francesco: non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca. Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi, le paure e le sofferenze, come sfide e non come ostacoli: il Signore è attivo e all’opera nel mondo. Diamo credito e voce a questa presenza che ci sembra silenziosa e che l’odio e le armi degli uomini non possono mettere a tacere; né il pianto e le lacrime possono scoraggiare, ma soltanto invocare con maggior tenace fede.




martedì 10 novembre 2015

BRICIOLE di VITA

... dal bollettino parrocchiale - novembre 2015

Misericordia
è…
fragilità

Carissimi tutti,
                              “Siamo qui in tre, stesi sul lettino. Abbiamo preso il posto di altri, e altri ancora verranno dopo di noi. 
Ci è stata iniettata nelle vene la…”misericordia”. Così mi viene da chiamare il farmaco per l’esame che il controllo della salute richiede... Nei momenti di silenzio, tra una parola e un’ altra a distrarci, nell’attesa non breve, il mio pensiero va alla … fragilità di cui siamo fatti: fragilità fisica, mentale, spirituale. Bisognosi appunto di… misericordia, cioè di qualcuno che si prenda cura di noi, o che ci dia quanto è necessario per rimediare ai nostri mali.

Mi è venuto così spontaneo associare la “misericordia” alla medicina salutare, ma anche di dire a me stesso innanzitutto che “misericordia ” è “fragilità”. E’ partecipare, non con aria di comando, con il piglio del benefattore, con la rigidità di chi sa come le cose devono andare, ma con mitezza, dolcezza, quasi… debolezza, alla “fragilità” di chi incontri. Diventare “fragile” con chi lo è, mettersi nei suoi panni, provare la sua condizione, portare la sua pena, e non solo. E’ non fargli pesare la propria forza.  E magari cedere, anche senza comprenderle, alle sue ragioni. “

Altro frammento di...misericordia.
“Qualche giorno fa, s’era avviata una più che vivace discussione. Tra l’energico padre e il figlio che voleva apparire “ribelle”. Ognuno insisteva per la propria parte. Alla fine s’è intromessa la… ”misericordia”, la mamma. ”Cedi, abbi pazienza. Un giorno capirà. Ma adesso usa “misericordia” verso chi non sente ragioni. Che la tua “debolezza” sia più grande della sua “sicurezza” …”

Sì, cedere può essere “misericordia” perché si fa carico della durezza di cuore e, talvolta, anche di mente, di chi si vorrebbe aiutare; “misericordia” che rimanda ad un altro tempo l’essere ascoltati; “misericordia” che rinvia quello che vorrebbe ottenere, paziente e fiduciosa; “misericordia” che non s’impone con la forza, anche se può apparire sconfitta. Ma crea comunione fraterna. 

“Misericordia” che Gesù stesso, uomo anche della fragilità, ha usato nei suoi incontri, nelle parabole, per narrare la debolezza del Padre - materno che dà libertà, porta nel cuore il figlio che se ne va, lo attende, gli corre incontro, lo abbraccia…; la debolezza del Padre che esce a “pregare” l’altro figlio di non tenere il broncio al fratello…Padre fragile, debole? Padre “misericordioso”, forte! “Misericordia” di quel  figlio, in altra parabola, che dopo aver risposto picche al padre, ne esaudisce i desideri. Figlio debole, immaturo? Figlio “misericordioso”, già ricco di pietà!

Carissimi, la misericordia è non una virtù naturale, che dipende dal carattere di ciascuno. Chi è più buono sarebbe più misericordioso di un altro. Piuttosto si tratta di una disposizione interiore che s’impara e matura stando insieme a Gesù! Vorrei andare alla Sua scuola con la mia fragilità e debolezza, con voi miei compagni preferiti (sono disposto a portarvi… la cartella o lo zainetto!) Che ne dite? Ciao.
Don Francesco

Gesù, i limiti miei li conosco e li porto, gli errori che commetto li vedono gli altri e li patiscono, i miei peccati li sai solamente tu e li dimentichi perché sei il volto del Padre buono. La “fragilità” che mi appartiene è anche la tua, ed è il campo in cui Dio semina,  e con me, far crescere la misericordia. Mi fa amabile perché figlio già amato; mi fa amante perché fratello tuo. Che nella mia, come in ogni casa, il raccolto d’amore sia abbondante. Per tutti! Amen





OMELIA

 
32° Domenica B – 08.11.2015
- 1Re,17,10-16
- Marco 12,38-44

Il vangelo viene dai poveri! La “bella notizia” che Dio ci ama e come ci ama viene dai poveri! I presuntuosi, gli arroganti, i superbi, gli ambiziosi, che Gesù  indica, stigmatizza, in alcuni scribi e farisei del suo tempo, non fanno un bell’annuncio di Dio, mettono in mostra se stessi. E senza pensare agli altri dobbiamo vigilare anche su noi stessi per non cadere, a motivo della nostra ostentata bravura o apparenza, nel medesimo errore e meritare eguale rimprovero.

Il vangelo ci è dato dai poveri, noi lo vediamo nella persona e nelle vicende di poveri che però,a differenza dei ricchi e potenti, mostrano un cuore puro, limpido, umile, semplice, fiducioso. Che cosa ci dicono le due persone povere che oggi la parola ci fa incontrare? Senza tante prediche, ma con la vita, che cosa ci fanno conoscere dell’amore, dello sguardo di Dio?

La vedova povera, come viene indicata nel vangelo, che attira lo sguardo di Gesù dice che il gesto che compie nella sua condizione gode della sua ammirazione.
Gesù osserva molta folla e tanti ricchi, e forse il suo vedere sarà stato un tantino deluso, amareggiato, conoscendo il cuore di ognuno e constatando la taccagneria di molti che davano soltanto il superfluo in quel gesto di devozione che si compiva al tempio in onore di Dio. Gesù è attirato, è preso, il suo vedere è diverso, davanti al gesto forse fatto di nascosto, senza destare attenzione, della povera donna. Ella, pur dando meno di altri, annota ammirato Gesù, “ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”-  Dov’è la bella notizia? Certo nella generosità di questa donna, perché c’ancora qualcuno capace di amare sino a dare così tanto, cioè tutto. E’ vera maestra. Io, la bella notizia,  l’ha colgo nell’ammirazione di Gesù, nel suo sguardo a cui non sfugge il più piccolo gesto di amore. Dio, dice Gesù, apprezza il bene fatto con umiltà, e la sua quantità è data dalla misura di amore con cui lo si fa. Sapere che Gesù è attirato dal poco che posso fare o dare quando è tutto, mi fa felice, è bella notizia.

Lo è pure, quella che viene dall’altra vicenda. Nella prima lettura un'altra donna, pure vedova e con in più un figlioletto a carico, quindi anche con la preoccupazione per costui, sofferenza doppia, in situazione di grande precarietà, “non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio”, questa donna si rassegna a fare quello che l’uomo di Dio, Elia, li chiede, e cioè ospitalità. Ed ecco che la “farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia”.  La bella notizia che mi viene è che la provvidenza soccorre colui che, pur trovandosi nella precarietà e nel proprio bisogno, dà spazio a chi gli chiede aiuto. Dio sostiene l’orfano e la vedova, abbiamo recitato nel salmo, e mentre confidiamo in lui, non dimentichiamo che noi stessi il Signore manda perché possiamo diventarlo per altri.

Il vangelo viene dai poveri. In  particolare queste due donne povere, con il loro dono e il loro servizio, ci annunciano   l’ammirazione e la provvidenza con cui Dio ci ama.