BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia
34° Domenica A – Festa di Cristo Re – 26/11/2023
Ezechiele 34,11-17 - 1Cor 15,20-28 - Matteo 25,31-46
Siamo giunti al termine di un percorso di vita cristiana che si chiama anno liturgico, un tempo in cui ci è stato dato di vivere dentro il mistero di Gesù, sia perché partecipi della sua vita, sia perché questa vita la teniamo proprio dentro di noi. Quindi un’interiorità reciproca: noi in Cristo e Cristo in noi. Pensate: in tutte le nostre cose e vicende non siamo staccati da Gesù. Diciamo grazie e benediciamo il Cristo Gesù, nostro Pastore, nostro Re. Pastore che si prende cura del gregge che il Padre gli ha affidato, Re che serve i suoi fratelli fino a dare la propria vita per loro.
In questo nostro mondo bisognoso di una cultura di pace e di educazione al rispetto e all’accoglienza dell’altro, nei giorni scorsi mi chiedevo quale posto potrebbe avere questo Pastore e questo Re per curare tante ferite, per salvare da tanta cattiveria. Mi chiedevo, a fronte di fatti tanto violenti e tristi, se non fosse necessario che almeno coloro che si dicono credenti, o si professano cristiani, si riferissero a Gesù, si lasciassero trovare e curare da lui; si affidassero alla Sua Regalità, di Lui che mette a servizio tutto se stesso per la nostra salvezza.
E anche chi credente non è, non è cristiano, o è di altra fede, può sempre avere ed esprimere valori di umanità, di solidarietà, di accoglienza, di aiuto dei più bisognosi, valori che sono autenticamente evangelici, e non certo di proprietà esclusiva di chi ha la fede in Cristo Gesù. Perché è possibile essere davvero umani, anche quando non avendo la conoscenza o la fede in Gesù, nella pratica viviamo in perfetta sintonia con il Suo insegnamento; di più, con il Suo amore, con il Suo modo di amare.
Alla fine di questo percorso, di questo anno, possiamo guardarci indietro e porre a noi stessi quella domanda che tutti coloro che sono davanti a Dio – perché è di Dio e di noi che narra la parabola di Gesù – si pongono; una specie di esame di coscienza, o meglio una presa di consapevolezza come sono andate le cose. “Quando mai ti abbiamo visto?” noi, che ci diciamo tuoi discepoli, Signore? Forse è necessaria una visita oculistica che si rivolga al nostro cuore, alla nostra umanità, alla nostra sensibilità, alla nostra fedeltà al Vangelo, se cristiani.
“Quando mai ti abbiamo visto?”: sia lontano da noi il cercare scuse per tiraci fuori dalla conseguenze del nostro cieco egoismo a causa del quale non abbiamo aiutato, o voluto aiutare chi era in qualche necessità materiale, o nella sofferenza morale. Con onestà non lo vogliamo cercare scuse; piuttosto contiamo sulla misericordia di Dio che ancora può darci occasioni per rimediare, finché siamo in cammino; occasioni di ordinaria carità, gesti di amore semplici, quotidiani, quelli segnalati dal vangelo; aprendo gli occhi per accorgersi di quello che serve intorno a noi, a partire da chi ci sta accanto.
“Quando mai ti abbiamo visto?”: sarebbe bello che fosse, invece, espressione di stupore, di sorpresa, un restare a bocca aperta, tanta è la meraviglia per il bene che, fatto gratuitamente ed anche senza saperlo, ci ritorna moltiplicato; come il talento a noi affidato e da noi impegnato. Se migliora la nostra vista, l’ascolto del Signore, l’obbedienza all’amore che è in noi, cultura ed educazione, tanto auspicate, saranno davvero strumenti di umanità, segni di vangelo, che danno speranza al nostro mondo. Così saremo come il Pastore che continuamente ci cerca e ci colma di tenerezza, saremo come il Re che dà salvezza a tutti noi, suoi figli.