lunedì 27 novembre 2023

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

34° Domenica A – Festa di Cristo Re – 26/11/2023

Ezechiele 34,11-17   -   1Cor 15,20-28   -   Matteo 25,31-46

Siamo giunti al termine di un percorso di vita cristiana che si chiama anno liturgico, un tempo in cui ci è stato dato di vivere dentro il mistero di Gesù, sia perché partecipi della sua vita, sia perché questa vita la teniamo proprio dentro di noi. Quindi un’interiorità reciproca: noi in Cristo e Cristo in noi. Pensate: in tutte le nostre cose e vicende non siamo staccati da Gesù. Diciamo grazie e benediciamo il Cristo Gesù, nostro Pastore, nostro Re. Pastore che si prende cura del gregge che il Padre gli ha affidato, Re che serve i suoi fratelli fino a dare la propria vita per loro.

In questo nostro mondo bisognoso di una cultura di pace e di educazione al rispetto e all’accoglienza dell’altro, nei giorni scorsi mi chiedevo quale posto potrebbe avere questo Pastore e questo Re per curare tante ferite, per salvare da tanta cattiveria. Mi chiedevo, a fronte di fatti tanto violenti e tristi, se non fosse necessario che almeno coloro che si dicono credenti, o si professano cristiani, si riferissero a Gesù, si lasciassero trovare e curare da lui; si affidassero alla Sua Regalità, di Lui che mette a servizio tutto se stesso per la nostra salvezza.

E anche chi credente non è, non è cristiano, o è di altra fede, può sempre avere ed esprimere valori di umanità, di solidarietà, di accoglienza, di aiuto dei più bisognosi, valori che sono autenticamente evangelici, e non certo di proprietà esclusiva di chi ha la fede in Cristo Gesù. Perché è possibile essere davvero umani, anche quando non avendo la conoscenza o la fede in Gesù, nella pratica viviamo in perfetta sintonia con il Suo insegnamento; di più, con il Suo amore, con il Suo modo di amare.

Alla fine di questo percorso, di questo anno, possiamo guardarci indietro e porre a noi stessi quella domanda che tutti coloro che sono davanti a Dio – perché è di Dio e di noi che narra la parabola di Gesù – si pongono; una specie di esame di coscienza, o meglio una presa di consapevolezza come sono andate le cose. “Quando mai ti abbiamo visto?” noi, che ci diciamo tuoi discepoli, Signore? Forse è necessaria una visita oculistica che si rivolga al nostro cuore, alla nostra umanità, alla nostra sensibilità, alla nostra fedeltà al Vangelo, se cristiani.

“Quando mai ti abbiamo visto?”: sia lontano da noi il cercare scuse per tiraci fuori dalla conseguenze del nostro cieco egoismo a causa del quale non abbiamo aiutato, o voluto aiutare chi era in qualche necessità materiale, o nella sofferenza morale. Con onestà non lo vogliamo cercare scuse; piuttosto contiamo sulla misericordia di Dio che ancora può darci occasioni per rimediare, finché siamo in cammino; occasioni di ordinaria carità, gesti di amore semplici, quotidiani, quelli segnalati dal vangelo; aprendo gli occhi per accorgersi di quello che serve intorno a noi, a partire da chi ci sta accanto.

 “Quando mai ti abbiamo visto?”: sarebbe bello che fosse, invece, espressione  di stupore, di sorpresa, un restare a bocca aperta, tanta è la meraviglia per il bene che, fatto gratuitamente ed anche senza saperlo, ci ritorna moltiplicato; come il talento a noi affidato e da noi impegnato. Se migliora la nostra vista, l’ascolto del Signore, l’obbedienza all’amore che è in noi, cultura ed educazione, tanto auspicate, saranno davvero strumenti di umanità, segni di vangelo, che danno  speranza al nostro mondo. Così saremo come il Pastore che continuamente ci cerca e ci colma di tenerezza, saremo come il Re che dà salvezza a tutti noi, suoi figli.

mercoledì 22 novembre 2023

BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

33° Domenica A – 19/11/2023

 Matteo 25,14-30

L’esistenza nostra non è destinata a sciogliersi come neve al sole, né è condannata la vita a finire in una tomba.

La parabola delle dieci ragazzi che uscirono ad attendere lo Sposo, come narrava il vangelo domenica scorsa, ci annuncia che siamo invitati ad una festa, per cui dobbiamo vigilare con lampade accese e scorte di olio, la carità che illumina la nostra attesa e le notti che conosciamo.

Oggi, con questa nuova parabola, Gesù ci aiuta a non scavarci da noi la fossa, a non finire noi, in una buca, e a seppellirci. Perché questa è la mancanza del servo che non impegna il talento che ha ricevuto, la sua irresponsabilità, altro che prudenza! Non è che lui abbia ricevuto meno, abbia avuto meno fiducia da parte del padrone, quanto piuttosto non ha valorizzato se stesso, le sue personali potenzialità. Non ha saputo essere quello che gli era chiesto.

Noi siamo come lui quando non viviamo quello che siamo, e stiamo lì a confrontare; quello ha avuto di più, quell’altro meglio, io sono questo. E’ avere una bassa considerazione di sé quello che ci blocca; è la paura di non farcela. E poi noi la attribuiamo, la paura, ad altri, persino a Dio stesso che sappiamo, facendoci una cattiva e ingiusta idea di lui, severo oltre misura.

Nella parabola delle ragazze addormentate, la bella notizia, sta in quel grido che le ha svegliate, in quella voce che ha richiamato la loro attenzione. Certamente le sprovvedute di olio si sono trovate a mal partito, ma questo è colpa loro, della loro stoltezza, ma quella voce ha riacceso il cuore e illuminato il volto di chi era stato invece previdente.

Nella parabola di stasera, la bella notizia, sta nella fiducia del padrone che ha consegnato ai servi un capitale, augurandosi e incoraggiandoli a farne buon uso, saggio investimento. E se, sempre nella parabola di domenica scorsa, l’insegnamento era di vegliare perché non sappiamo né il giorno né l’ora in cui lo Sposo verrà e ci farà entrare nella festa della vita, alle sue nozze, quello di oggi è di saper rischiare con la medesima fiducia di cui abbiamo goduto trovandoci in questa vita.

Mi sono chiesto: che cosa mi induce a rischiare la mia vita? Non certo la superficialità: che vada come vada; non certo l’ignoranza circa il bene e il valore che mi è stato consegnato; non certo la voglia di competere e apparire più bravo di altri, potenzialmente più dotati di capacita ed opportunità.

Nella vita si rischia sempre per un bene che si ritiene più grande, per una felicità sempre maggiore, per una passione che non si riesce a contenere, per un amore che supera ogni cosa, e ogni paura. Succede spesso nella famiglia, per e con i propri cari che amiamo; succede là dove sentiamo di dover dare il nostro contributo per rendere migliore l’ambiente in cui viviamo. Il rischio è la forza propulsiva che spinge un desiderio alla realizzazione; è l’assunzione della corresponsabilità che ci viene chiesta nelle vicende della vita.

L’appello di Gesù a essere fedeli nel poco, è  invito a non tradire noi stessi, a non seppellirci, mettendo da parte o nascondendo la bellezza di quello che siamo. Piuttosto a chi ha trafficato sarà dato molto di più, chi, invece,  ha impegnato poco, perderà anche quel poco che ha.

 

lunedì 13 novembre 2023

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

32° Domenica A – 12/11/2023

Sapienza 6,12-16    - 1Tessalonicesi 4,13-18     - Matteo 25,1-13

Andar per cimiteri! L’abbiamo fatto nei giorni scorsi e molti lo fanno ancora in queste settimane; è un gesto di pietà e di affetto che ci fa sentire più vicini i nostri cari che sono morti. Ricordo e nostalgia non mancano di abitare i nostri pensieri e il nostro cuore, un desiderio e una speranza se siamo confortati dalla fede.

Quest’oggi la buona notizia sta proprio in questo: “Se crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti”, ci riunirà ai nostri cari! La venuta del Signore, sempre secondo le parole di Paolo, e annunciata nella parabola evangelica delle 10 ragazzi che escono per andare incontro allo sposo, per partecipare ad una festa di nozze, è confermata dal fatto che Gesù è risorto, è il vivente, e ci sorprenderà. Come ci troverà? Più volte Gesù stesso ha parlato della necessità di vegliare, di fare bene il nostro dovere, di svolgere il compito che con fiducia e generosità ci è stato affidato da chi ci ha voluto nel tempo di questa vita terrena, vita che non avrà mai fine, anche se l’esperienza della morte vorrebbe farci pensare il contrario.

Quanto è promesso dalla Parola di Dio e quanto è atteso dal nostro cuore sarebbe un inganno crudele, un’illusione amara assai, se non intervenisse quella che la prima lettura chiama la Sapienza. Essa è il progetto di Dio, il suo disegno d’amore per le creature tutte che si è manifestato nel Figlio Suo mandato tra noi; è la Sua volontà che tutti abbiano pienezza di vita. Essa, splendida, appunto ricca di vita, non sfiorisce mai, previene ogni nostro desiderio di vita, e con quella bella immagine di essere seduta alla nostra porta, si lascia trovare; e attende, con discrezione, di essere fatta entrare nella nostra casa, nella nostra vita. Essa stessa va in cerca, va incontro a quelli che la cercano, assicura ogni benevolenza che ha appunto nella risurrezione il segno e il frutto più grande.

Perché contare su questa sapienza che è l’agire benevolo di Dio? Perché nel nostro muoverci incontro a Lui non mancano i momenti di stanchezza, di sonno; momenti dell’esistenza in cui sprovveduti o superficiali possiamo essere distolti dal venire di Dio con le sue più belle intenzioni, e doni, ed essere colti impreparati. Quando questo succede, qual rimedio possiamo sperare? E perché non succeda quale sapienza, nostra stavolta, dobbiamo mettere in atto? Beh, il rimedio è contare sulla misericordia di Dio. Sta in quel grido, meglio, in quella voce : “Ecco lo sposo. Andategli incontro”. E’ voce che non solo grida e ci sveglia di soprassalto. Ma  voce che, amorevole, sa essere delicata. Un bellissima sveglia, non traumatica! Poi, anche se “la porta viene chiusa”, e questa cosa ci deprime, quella raccomandazione a vegliare ci lascia nella speranza che non sarà per sempre, e che anche per noi si riaprirà.

La parabola di Gesù ci annuncia misericordia e ci mette in guardia dalla stoltezza che trascura l’olio per le lampade che illuminano la notte inevitabile. Ed è inevitabile addormentarsi tutti. Prendiamoci cura piuttosto di essere lampada, luce per il mondo, non nascosta ma posta in modo che faccia luce a tutti quelli che sono nella casa, dirà Gesù; una luce alimentata dall’olio della carità, come quello del buon samaritano versato sulle ferite di un malcapitato. Olio in piccoli vasi, significa piccoli atti d’amore che mai vengano a mancare. Quando la notte verrà, e soprattutto quando verrà lo sposo, il Signore, Egli ci farà entrare nella sua e nostra festa. “Saremo sempre con Lui”.

 

domenica 5 novembre 2023

BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia 

31° Domenica A – 05/11/2023

Malachia 1,14 – 2,1-2.8-10      -     1° Tessalonicesi 2,7-9.13      -      Matteo 23,1-12

Dopo aver ascoltato queste parole di Gesù, una strigliata assai poco delicata ma vera nei confronti di scribi e farisei, facendo eco alle parole di Malachia nella prima lettura, il rimprovero ai pastori del popolo di Dio, m è venuta questa considerazione.  Se al tempo di Gesù ci fossero stati i cellulari, sapete come immagino gli scribi e farisei? Sempre lì intenti a farsi dei selfie, a fotografarsi, per compiacersi: Quanto sono bello, quanto sono bravo, quanto sono giusto. Guardatemi!

 

La moda dei selfie: fotografarsi senza avere davanti nessuno, ci sono solo io al centro dell’attenzione e mi fotografo per esibire la mia immagine davanti al mondo. E’ come mettere in scena noi stessi, una tentazione irresistibile. Gli scribi e i farisei che vengono descritti da Gesù somigliano molto a dei narcisisti, cioè vedono solo se stessi, e si piacciono. Senza mancare  di rispetto a nessuno, è forse il caso che anche noi verifichiamo questo possibile del nostro carattere, altrimenti non riusciamo a comprendere bene l’appello finale di Gesù che ci invita alla conversione.

 

Gli scribi e i farisei sono presentati come quelli che dicono, ma non fanno. Solo chiacchiere. Chiedono agli altri di cambiare, sebbene per loro stessi non sia mai necessario. Scaricano sempre le responsabilità, la colpa è degli altri, se le cose non funzionano. Impongono pesi, senza mai portarli in prima persona: sono i tu devi messi sulle spalle degli altri, senza mai dare l’esempio. Vogliono essere visti, pretendono che la loro bravura, le loro voglie, non passino inosservate. Molti liti e comportamenti violenti nascono purtroppo proprio da questo, anche in casa. I loro problemi, il loro piacere, le loro esigenze vengono sempre prima.

 

Gesù ricorda che ci sono dei contesti, dei luoghi,  in cui più facilmente si può scadere in simili comportamenti:  chi si fa maestro, chi si propone come guida, e persino chi è padre o madre. Coloro che sono chiamati a insegnare agli altri, coloro che sono chiamati a indicare la strada da percorrere, coloro che sono chiamati a far crescere, sono maggiormente esposti alla tentazione di imporsi senza rispettare la libertà degli altri e di mettersi al centro dell’attenzione.

 

Gli antidoti a questa violenza? Gesù ci indica, nella via della conversione, il servizio e l’umiltà. Il servizio ci permette di non considerarci padroni né del compito che ci è stato affidato, né degli altri che ci sono stati donati. Occorre sempre chiedersi se stiamo servendo gli altri o se ce ne stiamo servendo! L’umiltà ci permette di vederci come realmente siamo, di abbassarci per non sopraffare il prossimo con la nostra arroganza.

 

Se ci mettiamo tutti, preti compresi, - perché avete sentito che la Parola di Dio chiama in causa anche i pastori del suo popolo - sulla via dell’umiltà e del servizio, costruiamo una vita accogliente, dove gli altri si sentono apprezzati, a proprio agio, e magari anche amati.

Alla fine, a fronte di avvertimenti duri del vangelo, ci sia d’incoraggiamento il tratto colmo di tenerezza e di passione che era in Paolo, che con verità e umiltà presenta se stesso nella seconda lettura: essere anche noi amorevoli come una madre che ha cura dei propri figli, affezionati a tal punto di dare e vangelo e vita.