...nell'omelia
Domenica 17° C – 28.07.2019
Genesi
18,20-32 e Luca 11,1-13
C’è qualcosa di affascinante
nella preghiera di Gesù, a cui i discepoli non possono resistere e per cui
osano chiedergli: “Signore, insegnaci a
pregare”. Ciò che li affascina li cattura, li muove a tanta richiesta è la
prima parola, assai familiare a Gesù, “Padre”,
“buona notizia” che oggi ci è data.
Questa
parola è la sola che tocca il cuore di Dio nel dialogo/ascolto, nella relazione
personale che intessiamo con Lui, è parola di confidenza e di fiducia, parola
che si affida all’amore, al bene che Dio ci vuole, perché, appunto “padre”.
Confidenza
e fiducia, come il bambino verso i suoi genitori; sapere che Dio si ricorda di
te, si prende cura di te, di me, di tutti. Lo esprimono tutte le richieste del
“Padre nostro”, lo spiega la breve parabola a seguire. Dio è molto di più di un
amico pur buono e scocciato. E poi lo confermano le ultime rassicurazioni con
cui termina questa lezione di preghiera.
Ci basti, oggi, la prima parola: “Padre”. La potremmo anteporre ad ogni
espressione del “padre nostro”; acquisterebbe un sapore tutto diverso. Nella
preghiera noi stiamo con Lui, con Dio nostro Padre; e poiché siamo una cosa
sola con Cristo, lo siamo con Gesù! Facciamo nostra la preghiera di Gesù e Gesù
fa nostre le nostre invocazioni. Al Padre non resterà che ascoltarci e d
esaudirci. Ecco ciò che dà confidenza e fiducia nell’osare rivolgerci a Lui:
“Osiamo dire Padre!”
Non usiamo titoli più elevati (Altissimo,
Onnipotente, Re, Signore, …), che non sono falsi, che ci sembrano più
rispettosi della sua grandezza. Certo, Abramo, nel dialogo con Dio, se invece
di insistere con “vedi se ardisco, mio
Signore”, avesse conosciuto questa parola affettuosa : “Padre, sono i tuoi
figli quelli che vuoi distruggere”, la contrattazione si sarebbe volta a suo
favore e a quella degli infelici e cattivi. Ma non poteva, non sapeva. Solo Gesù
insegnerà: chiamate “Padre” il vostro Dio, perché “Padre mio e padre vostro”
Egli è. Lo è alla sua maniera, certamente,
ma se “voi che siete cattivi ,
date cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo, darà lo
Spirito santo a quelli che glielo chiedono”.
Egli conosce meglio di noi stessi
le nostre necessità, ma vuole che gliele presentiamo con confidenza, avendo in
Lui fiducia, con audacia e insistenza, ma non per essere necessariamente
esauditi – se il suo progetto è diverso -. Insistere con Dio non serve a convincerlo,
ma a irrobustire la nostra fede e la nostra pazienza, cioè la nostra capacità
di lottare con Dio per le cose davvero importanti.
Nella nostra preghiera noi
chiediamo questo e questo, e Lui ci dà di più, sempre! Sempre, sempre di più!
Ci dà il meglio: lo “Spirito Santo”, che poi è se stesso! E’ di più di un
amico. Lo Spirito Santo ci rende figli suoi per mezzo del quale gridiamo “Abbà,
Padre”. E Dio è vinto! Quello che non è riuscito ad Abramo, che continuava a
chiamare Dio “mio Signore”, riuscirà a noi perché toccheremo Dio nella sua
“debolezza”, quella di esserci il Padre che ci ama.