I PRIMI QUARANT'ANNI !!!
(… per altri “quarant’anni”!)
Sono trascorsi 40 anni dalla
notte indimenticabile (18/19 luglio 1974), come i giorni che la seguirono,
dell’ “innominato”, e che nel cuore della mia giovinezza, di passione di
passioni, è spartiacque che ha portato decisamente il mio cammino verso
l’ideale sacerdotale, e l’ha connotato di una grazia speciale che via via, nel
tempo e nella misericordia, ha goduto di purificazione di maturazione. “Non
ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di
correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo
Gesù”. (Filippesi 3,12)
“Intanto, dal punto a cui siamo
arrivati, insieme procediamo.” (Filippesi 3,16)
Ringraziando, e pure “dimenticando
ciò che mi sta alle spalle” (Filippesi 3,13b) per non rimanerne
prigioniero, con il cuore, la mente, la concreta carità pastorale a cui per
benevolenza sono stato chiamato, “tenendo fisso lo sguardo su Gesù” (cfr Ebrei
2,2), “corro con perseveranza nella corsa che mi sta davanti” (cfr Ebrei 2,1).
Una nuova visione nel donare il
mio ministero, nel farmi annunciatore di Gesù, del vangelo della “grazia”, mi
sollecita a confermare nuovi passi.
A cosa mira tutta la mia
attività pastorale? Perché il mio ministero?
Mi vengono alla mente le parole
di Gesù:“Padre, ho fatto conoscere il tuo nome” (Gv17,26).
Posso io dire altrettanto?
A che pro tutte le corse,
programmi, iniziative, parole, gesti, nello svolgere il ministero?
Anni fa, all’inizio del cammino,
mi era ben chiara la finalità di ogni mia opera. In quel momento la ritenevo
giusta, non era messa in discussione, e in tutto cercavo di raggiungerla, forse
anche di imporla. Oggi me lo chiedo nuovamente, dopo il percorso di tutti questi
anni, percorso che non rinnego, di cui sono grato. Ma lo sono ancor di più
forse perché è giunto il momento di “conversione” vera di ogni prospettiva.
Allora, per che cosa mi prodigo nel mio ministero?
Cosa metto davanti? A cosa mira tutta la mia attività pastorale? Non solo mia,
ma, ed quello che dice la gravità e la responsabilità di tale compito,
dell’intera Chiesa?
* A far amar il Signore?
E’ ciò che impone anche
la…Legge. “Amerai Signore Dio tuo…”, in primo luogo; anche se poi
ricorda il “dovere” di amare il…prossimo (cfr Mt 22,37-40). E’il compimento
della Legge, di quanto essa prescrive. E’ la fedeltà alla Legge.
Ma questa non dà salvezza!
Ma poi cosa significa far amare
Dio? Come se Dio non fosse in grado di farsi…ben volere!
Può capitare di interpretare, o
di aver interpretato, questo “dovere” come educazione all’osservanza di norme,
precetti, culto, comandi di uomini più che di Dio (come Gesù richiama : cfr
Mc7,7-8) .
“Far amare Dio” è che tutto fili
liscio, che non ci sia spazio alla fragilità, alla debolezza, alla tentazione,
all’esperienza di peccato. Impeccabilità, purezza, distanza da chi sbaglia,
essere separato, l’essere a posto, perfetti “legalmente”, guardarsi dal mondo,
dalla vita, dall’umanità, quasi dover essere angelico…
Era questo “far amare il
Signore”?
* A far sì che gli uomini si
amino tra loro?
E’ già qualcosa di più lavorare e servire perché gli
uomini vadano d’accordo tra di loro, si accolgano, vivano nella riconciliazione
e nella pace. Qui c’è già più…Vangelo che nella sola Legge. “Amatevi gli uni
gli altri come io vi ho amato” (Gv 13,34)
Ma è sufficiente ? La mia fede
in Gesù, Figlio del Padre, non mi chiama forse ad andare oltre la comunione
fraterna degli uomini, oltre l’impegno per un’umanità che si voglia bene, che
sia nello “shalom”…? Bene per coloro che “non sono lontani dal regno di Dio”…(Mc
12,28-34)
E poi che cosa può motivare in
profondità questo sforzo di volersi bene, di svolgere il ministero perché
questa fraternità di realizzi e l’umanità di tutta di figli di Dio come il
Padre desidera per la loro felicità e non certo per se stesso. Se proprio
proprio si vuol rimanere ad amare e “servire Dio” (legge antica), non
dimentichiamo, come insiste l’apostolo Giovanni che occorre amare e “servire il
prossimo” per realizzare questo progetto.
* A far conoscere che ognuno è
amato da Dio, in modo unico, immensamente grande, bello…
Questa “conoscenza” è la salvezza. Essere amati e sapere
di essere amati è la vita è la gioia. “Conoscere” che abbiamo un “Padre buono”,
anche se fratelli facciamo fatica ad andare d’accordo, questa la rivelazione
con cui Gesù riassume ai suoi amici quanto ha fatto e detto in mezzo e davanti
a loro.
E’ la vera finalità del mio
ministero, e prima ancora della presenza e del ministero della Chiesa nel
mondo. “Andate e “immergete” – battezzate – ogni creatura nell’amore del
Padre, del Figlio, dello Spirito santo” (cfr Mt 28,19). Non c’è altro senso e scopo ad ogni servizio
e attività pastorale che tenga, ed è pure vero aiuto per evitare un’umanità
“fredda”, di perfetti insensibili, schiava di precetti e pesi che magari altri
hanno messo sulle spalle dei più deboli, o un’umanità illusa e scoraggiata
perché non conoscendo l’amore non può farlo davvero circolare come collante e
“buon fertilizzante”, anzi buon seme, nella proprio storia.
Ecco a cosa voglio miri la mia
attività pastorale, ogni gesto piccolo, ogni coraggiosa proposta, ogni
iniziativa suggerita e condivisa, ogni silenzio, parola, predica, o scritto che
sia. Il ministero sacerdotale, a partire dall’incontro con Cristo che offre la
celebrazione dei sacramenti e la preghiera, nell’espressione della mia umanità
che, in modo ancora imperfetto, traduce con umiltà e fiducia la carità Cristo,
ha in questo “far conoscere che ognuno è amato da Dio”, cattivo o
buono giusto o ingiusto, (cfr. Mt 5,45-48
e simili) la sua ragione più vera e profonda.
Ma come?
Mi rendo conto che a questo punto è necessario che io sia
condotto dallo Spirito e mediante la Parola, la stessa carità di fratelli e
sorelle che con me condividono questo ministero, a perseguire anche con l’aiuto
di atteggiamenti e stile di vita, d’incontro, questa ritrovata “finalità” per
cui il Signore ha affidato a me, e a tutti noi il suo vangelo, appunto questa
“buona notizia”, “bella”, la sola in
cui c’è salvezza: l’amore di Dio per ognuno.
Nell’affidare queste note
“personali” al cuore di chi le leggerà, attendo con gratitudine sincera ogni
parola o consiglio che mi giungerà; mi potrà essere di luce, di correzione, e
di incoraggiamento a vivere con gioia il mio ministero. Alcuni tratti del mio
agire, dire, parlare, proporre, attendere, accogliere, incontrare… sono
chiamati a…conversione. “Da chi mi
verrà l’aiuto?” (Salmo 120).