domenica 24 ottobre 2021

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

30° Domenica B – 24/10/2021

Marco 10,46-52

Miei cari, siamo noi quel cieco, di cui ci parlava ora il vangelo, confinati ai margini della vita, o perché soggiogati dalle cose che teniamo ben strette come quel pover’uomo si teneva stretto il mantello, sua unica difesa, che poi ha gettato via, o perché buttati fuori dalla vita da prove, sofferenze, dolori, tragedie, situazioni senza speranza. Ma il cieco, afflitto in quella condizione che non gli permetteva quello che altri potevano, e che viveva di elemosina, di pietà, non era del tutto cieco. In realtà ci vedeva. E’ non è mancanza di rispetto, né sciocca ironia. Vedeva la propria condizione, cioè si rendeva conto in quale stato di necessità fosse, confessava la sua povertà, la sua impotenza.

Capita anche a noi di trovarci ai margini della vita, di esserne persino spinti fuori quando pensavano di essere nel pieno della stessa,  e questo a motivo della salute della salute che se ne va, dei risultati che non vengono, dei beni che non ci salvano, della speranza che vediamo svanire. Allora elemosiniamo qualcosa che ci consenta di andare avanti. No ci rassegniamo, né vogliamo cedere alla disperazione. E questa volontà trova incoraggiamento se in nostro “vedere” non si ferma su noi stessi, ma come è stato per quel cieco sentiamo e “vediamo” che in Gesù, crediamo che in Lui ci è data l’opportunità unica di cambiare la nostra vita. Senza lasciarci intimidire da niente e da nessuno, mettendo insieme umiltà e coraggio, anche noi gridiamo, e lo facciamo più volte e forte, “Gesù, abbia pietà di me”. A fronte di scoraggiamenti, rimproveri, lamenti, “basta, finiscila, è inutile”, siamo qui anche stasera a gridare con il cuore scosso e lacerato la nostra preghiera: “Abbi pietà di noi, della nostra sofferenza”. Vedere in Gesù questa possibilità di vita è riacquistare ancor più la vista per ritrovare o non smarrire la via.

C’è la grazia che Gesù pure ci vede, ci sente, ci chiama! Subito lascia perplessi la sua attenzione: “Che cosa vuoi che io faccia per te?”. Che razza di domanda è, ad un povero cieco? E’ inutile, irrispettosa. Che cosa può desiderare quell’infelice, nella sua situazione di dolore, di pericolo, di disperazione che non finisce? Gesù attende un’accorata confessione di fede. No, non si fa pregare. Vuole far emergere dal cuore questa disposizione che rende possibile riavere l’inimmaginabile: “Credo che tu puoi ridarmi la vista. E precisamente “Fa’ che io veda di nuovo!”. 

Poiché questa domanda è rivolta anche a  me, io che cosa voglio che Egli faccia per me, per la mia famiglia, per i miei cari? Certamente che ritrovi la salute chi l’ha perduta, che sia fuori pericolo chi sta male, che abbia lavoro chi è senza, o pace e serenità chi le avesse smarrite ritornando nel buio di una cecità interiore che nessuna luce sembra possa  dissipare. E possiamo, vogliamo, dobbiamo farlo! “ maestro, che io veda di nuovo, che la speranza nella vita ritorni, la passione per le cose buone e belle ritorni io la ritrovi, rinasca la volontà di ricostruire una relazione d’amore segnata da delusione, riprendano sogni e ideali.

Penso che questo grido, questa preghiera, questa richiesta, “che io veda di nuovo”, voglia dire anche qualcosa di più: Maestro mio, dammi uno sguardo nuovo sulla vita; che io possa vedere in modo diverso, no disperato, quello che succede, il volto dei miei cari, le persone che incontro, la realtà anche difficile e dolorosa in cui sono…”. E ancor di più:  “Maestro, che io veda te; veda te nella presente situazione, e allora vedrò ogni cosa in modo nuovo, fino a seguirti”. Chi segue Gesù riacquista pienamente la vista e la vita pur nell’oscurità del momento che sto attraversando costui ci vede proprio bene!!

Ci sia di conforto conforta il fatto che Gesù, lo rivela la seconda lettura, è in grado di sentire giusta compassione di noi.

 

 

domenica 17 ottobre 2021

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

29° Domenica B – 17.10.2021 

Isaia 53,10-11   -   Ebrei 4,4-16   -   Marco 10,35-45

Dapprima la fedeltà al matrimonio, poi il distacco dalle ricchezze, oggi una vera mentalità di servizio. Così Gesù, ancora una volta e con grande pazienza, cerca di correggere i suoi discepoli convertendoli dalla mentalità del mondo a quella di Dio.

Tra costoro, due fratelli, Giacomo e Giovanni, si avvicinano e rivolgono al Maestro la loro richiesta: “Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”. Sono animati da grande entusiasmo per Lui e per la causa del Regno, ma sa anche che le loro aspettative e il loro zelo sono inquinati, dallo spirito del mondo. Perciò risponde: “Voi non sapete quello che chiedete”. Neanche si rendono veramente conto di quello che dicono. E mentre loro parlavano di “troni di gloria” su cui sedere accanto al Cristo Re, Lui parla di un “calice” da bere, di un “battesimo” da ricevere, cioè di una partecipazione alla sua passione e morte. Con le parole che seguono alla loro richiesta Gesù in pratica dice a loro, e a noi: adesso seguitemi e imparate la via dell’amore “in perdita”, e al premio ci penserà il Padre celeste. La via dell’amore è sempre “in perdita”, perché amare significa lasciare da parte l’egoismo, l’autoreferenzialità, per servire gli altri.

La lezione è ben precisa: “Tra voi non è come fanno i governanti delle nazioni che dominano su di esse e i loro capi che le opprimono. Ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti”. È la regola del cristiano che non mira alla carriera, al potere. E’ la regola della gratuità, del silenzio della carità, e di chi non se la prende se vede altri passargli davanti. Gesù riprende i due, ma anche gli altri che si erano indignati con quelli. Il messaggio del Maestro è chiaro: mentre i grandi della terra si costruiscono “troni” per il proprio potere, Dio sceglie un trono scomodo, la croce, dal quale regnare dando la vita. La mentalità di chi vuole i primi posti per comandare non è quella giusta, e notiamo che  Gesù non dice: “Tra voi non sia così”, facendo un augurio o dando un comando, ma: “Tra voi non è così”, cioè , “se è così, voi non siete la mia comunità!”.

Vorrei segnalare un particolare servizio. Lo colgo in quell’espressione di Gesù che parla di “bere il calice” o “ricevere il suo battesimo”. Queste parole mi rimandano al servo di cui parla la prima lettura; è il servo giusto che si addosserà l’iniquità di molti. Dice Gesù ai suoi: “Siete disposti ad addossarvi l’iniquità di molti”. Servire è pure portare il male del mondo, la cattiveria, le ingiustizie, non per avvallarle, per lasciar fare, ma per farsene carico, soffrire anche per questo, e combatterlo con l’amore; sino a portare le conseguenze del peccato e del male senza averlo compiuto. E tutto questo per manifestare la vicinanza di Dio, il suo amore, la sua volontà di giustizia, la sua misericordia a tutti. Ecco che cosa fa grande il servizio di Gesù che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”. Questa la grandezza a cui anche noi tendere!

 

 

 

domenica 10 ottobre 2021

BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

28° Domenica B – 10.10.2021

Marco 10,17-30

L’incontro di Gesù con un tale che gli si inginocchia davanti, sta tra due domande. Una esplicita, che esce dalle labbra di costui: “Che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”, cioè la felicità. In pratica questo tale dice “cosa mi manca? Cosa mi manca per essere felice?”. L’osservanza dei precetti che Gesù gli ricorda non gli basta, essere persona corretta, a posto, onesta, è insufficiente.

Quando cerchiamo qualcosa per essere felici non possiamo fermarci alla nostra bravura, ad avere tutte le cose a posto, o a quelle che possediamo. Dobbiamo, innanzitutto, accorgerci dello sguardo di chi ci ama. Quel tale, pur dicendo e chiamando Gesù “Maestro buono”, in realtà non si è reso conto della grande Sua bontà, espressa in quello sguardo fisso su di lui, uno sguardo  così pieno d’amore, che solamente un cieco non avrebbe potuto cogliere. Se si fosse accorto avrebbe già visto e trovato in quello sguardo la vita eterna, una vita compiuta, piena, una vita di qualità.

Quando andiamo a Gesù, leggiamo nei suoi occhi il bene che ci vuole, l’amore che ci porta, anche se non siamo bravi come quell’uomo. Anzi, segnati dai nostri errori e debolezze, feriti dalle nostre cadute, il suo sguardo di tenerezza e di affetto non manca, è intenso. Vede dentro. Questo fissarci di Gesù è come se volesse dirci: “fermati, sono io la vita piena, dove vuoi andare? cosa cerchi ancora?”. Vuole impedirci di andare da un’altra parte, dove il nostro volto ritorna oscuro e dove troveremmo soltanto tanta tristezza. 

Dicevo all’inizio che questo incontro sta tra due domande : “Cosa mi manca per essere felice?”, la prima, esplicita. La seconda è segreta, interiore, che quel tale è costretto a rivolgere a se stesso, fuggendo la proposta e l’invito di Gesù. “ Che cosa mai tengo stretto? O meglio: Che cosa mi tiene stretto? Che cosa mi impedisce di andare oltre la mia bravura? Di che cosa sono prigioniero?”. Possedeva molti beni o meglio era posseduto, prigioniero di quelli, e se ne andò rattristato. 

Io non ho ricchezze, molti beni: “Che cosa tengo stretto? Che cosa mi impedisce di andare oltre la mia bravura?”. “Di che cosa sono prigioniero?” Dell’orgoglio, della pigrizia, della paura, del consenso degli altri che non voglio deludere, della vanità di apparire…Ognuno è sì attaccato stretto stretto a qualcosa…Ma niente è impossibile a Dio, che rispetta la nostra libera decisione. Se la domanda di apertura rivelava un senso di vuoto nel cuore di quel tale, “cosa mi manca”, questa seconda, “che cosa mi tengo ben stretto”, mostra la paura che ha dentro di sé, paura di perdere. Penso che la paura, nelle sue varie forme, è la catena che più c’impedisce di seguire davvero Gesù, Gesù che ci fissa con amore. Ma se accettiamo di incrociare con umiltà e fiducia il Suo sguardo, ci verrà elargita la vera prudenza, la sapienza, la vita!

 

 

 

 

domenica 3 ottobre 2021

BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia 

27 Domenica B – 03.10.2021

Genesi 2,18-24   -   Marco 10,2-12

Una domanda, provocatoria, sapendo da chi viene, a proposito di quanto permette la Legge di Mosè: “E’ lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie?”, consente a Gesù di dare una stupenda, bella notizia. Quella era una concessione fatta alla durezza del vostro cuore, dice Gesù, ma non è questo il progetto di Dio, che gli sposi si dividano. Sono quelle concessioni che attendono con pazienza la maturazione delle persone. Ora, con Gesù, la maturazione è arrivata.

Allora Gesù risponde citando il Libro della Genesi: “Dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola”. E conclude: “Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”. Nel progetto di Dio, non c’è l’uomo che sposa una donna e, se le cose non vanno, uno manda via l’altra o viceversa.

Il matrimonio, la grandezza e la bellezza di questo legame d’amore, è la realtà più vicina a quello che Dio ha in mente per la felicità dei suoi figli; è Dio stesso che s’incarna e si manifesta nell’amore di un uomo e di una donna che formano una famiglia in un rapporto indissolubile, fedele, aperto alla vita e a suo servizio. Nell’affetto che li unisce, nelle parole nei gesti di tenerezza e di intimità che di cui è fatto e lo nutrono con profondo rispetto, libero da ogni volontà di possesso, due sposi si danno, si comunicano Dio. E se due sposi si allontanano, si dividono, non si privano solo del loro amore, ma di quello di Dio regalato alle loro persone, che è un amore di donazione reciproca sostenuto dalla grazia di Cristo. Se, invece, prevale nei coniugi l’interesse individuale, la propria soddisfazione, allora la loro unione non potrà resistere.

Ed è la stessa pagina evangelica a ricordarci, con grande realismo, che l’uomo e la donna, chiamati a vivere l’esperienza della relazione e dell’amore, possono dolorosamente porre gesti, cause o colpe, che poi ci si rinfaccia, che la mettono in crisi. Ma il modo di agire di Dio stesso ci insegna che l’amore ferito può essere sanato da Dio attraverso la misericordia e il perdono. Di fronte a tanti dolorosi in successi e fallimenti coniugali, relazioni infrante o portate avanti in maniera sofferta e faticosa, c’è sempre spazio per la carità e la misericordia per i cuori feriti e smarriti.

“Maschio e femmina Dio lì creò” e la diversità non può essere causa di conflitti, incomprensioni, rivendicazioni che portano alla divisione. E’ ricchezza! Pari dignità ha ogni genere, per stare di fronte l’uno all’altra, e non girarsi le spalle, non per combattersi, ma per accogliersi e favorirsi reciprocamente, con le responsabilità educative a cui sono chiamati. Nel matrimonio l’uomo e la donna sono chiamati a riconoscersi, a completarsi, ad aiutarsi a vicenda. Gesù è venuto a confermare questa relazione d’amore, a benedirla, a risanarla, quando conosce incrinature o si spezza.

Carissimi sposi, mi sia permesso un omaggio che  spero sia d’incoraggiamento. Voi siete il segno totalmente umano di Dio. Egli non viene a me solo attraverso l’acqua del battesimo, il pane dell’eucaristia, o l’unzione della cresima o dell’olio santo. Ma attraverso  la vostra carne, spesso lacerata da prove, attraverso il vostro sangue dato anche fisicamente, attraverso l’amore che ha messo nelle vostre membra come nel vostro cuore. Questo mistero è grande e io m’inchino ad esso, mi onoro di imparare da voi l’amore, di accoglierlo e servirlo nella vostra persona con la mia povertà.