martedì 20 agosto 2013

CAMPO di PATATE

                (... dedicato agli amici cari che le raccolgono!)


Quanto il cielo
alla terra è unito,
anche un campo di …
patate, mai s’è udito!

Verità grande,
umile sorpresa,
il cuore nella fatica 
conosce la sua presa.

Chino tu sei
frammento di cielo,
e fatto di terra
trasudi il vangelo.

Il frutto sepolto
ti pieghi a liberare,
porti alla luce,
questo è amare.

Sapore di patata,
niente di speciale,
di benefiche fibre,
cibo al povero essenziale.

Impasto verrà,
ancora di cielo e terra,
a saziar la mensa
di chi ama e spera.

Schiena curva,
gocce di sudore,
su campo di patate
raccogli l’amore

Profano santo altare,
ove sacra è l’attività,
orto d’ulivi e risurrezione,
fa’ il lavoro Sua carità.








lunedì 19 agosto 2013

RICORDO...e non solo !


(…al funerale di Alice, catechista sorridente!)

Allegra risata
la sua, unica,
alla vita aperta,
all’essere amata,
sorpresi e grati 
cari, amici, 
tutti contagiati.

Largo cuore,
fisico tozzo,
vi sorrideva,
brillava d’amore,
sgorgava energia,
inefficaci
le difficoltà sulla via.

Instancabile moto
a soccorrere,
generosa e forte,
l’agire devoto
di profonda fede
a dare occhi
a chi non vede.

Preghiera in amore
di donna, sposa, madre,
decisa serenità,
per tutti gioioso onore
da sua parola chiara,
svelta eppur pensata,
a far strada s’impara.

Anni passati tanti,
in un momento rivedo
volti amati
ancor amanti,
e doni e grazie vere,
stupore, nostalgia, commozione,
è affetto non trattenere.

Tempo, naturale oblio,
solo l’amore richiama,
custodia sicura
è il cuore di Dio,
nell’eternità un dì saremo,
gioie smarrite ritrovate,
tutte d’un fiato vivremo

Morire di felicità
allora non potremo più,
gusteremo insieme, c’aiuti Dio,
l’infinità Sua bontà,
non più ricordo o memoria,
quel giorno e abbraccio lontano
erano frammento di un pieno di gloria.







domenica 18 agosto 2013

NORMALITA'


Tardivo
viene il riposo,
puntale la grazia
arriva,
previene
dolce volontà
ch’io ben viva.

Giorni
di respiro offerti,
notti consegnate
a riposo,
grato
m’abbandono
nell’abbraccio affettuoso.

Profumo
dolce di resina,
venticello
il volto accarezza,
anche il passo
muove calmo,
con più dolcezza.

Quotidiano
il cammino,
il viver non fatto
di vuote specialità,
legami familiari
di bella unica
preziosa rarità.

Volti
cari rivedo,
familiari sorrisi,
danno luce,
fuoco acceso
d’amore e coraggio,
passione che conduce.

Ah, l’amore! 
Questo so,
non cose grandi,
e tanto basta,
l’emozione accessorio
gratuito, marginale,
di buona pasta.

Spinta
di carne la storia,
gestazione
di bella umanità,
coordinate di vita,
spazio e tempo,
divina normalità.



OMELIA


20°  Domenica C – 18.08.2013

- Geremia 38,4-10
- Ebrei 12,1-4
- Luca 12,49-53


Passione e coraggio: ecco il dono della parola di Dio in questo tempo. Non ci rovinano questi giorni per qualcuno ancora di distensione o di riposo. Piuttosto in un tempo di relativa calma, possiamo guardare con più sereno distacco e maggior obiettività alla nostra vita, e la parola del Signore ci può aiutare a completare, a ritrovare o confermare, le giuste energie per continuare il cammino dietro di lui.

Passione e coraggio, quindi, in particolar modo attraverso due espressioni, due immagini che  sono nel vangelo di oggi, precedute da una testimonianza ben concreta, la vicenda di Geremia nella prima lettura, e sostenute poi dall’esortazione di Paolo a tenere fisso lo sguardo su Gesù. perché, aggiunge, “non vi stanchiate perdendovi d’animo”.

"Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso". Il Signore è forse un piromane, un incendiario, di quelli che fanno tanti guai, che distruggono tanta bellezza?
Prima di questo, è proprio il caso di dire,  acceso desiderio, ricordiamo che c’è un fuoco che Gesù rifiuta sdegnosamente. Due suoi discepoli, Giacomo e Giovanni, particolarmente arrabbiati per il rifiuto dell'ospitalità da parte di un villaggio di Samaritani, dicono a Gesù: "Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?" (Lc 9,54). Gesù si volta e li rimprovera. Non è dunque il fuoco divoratore quello che Gesù è venuto a portare, il fuoco che incenerisce. Gesù prende le distanze da tutti coloro che vogliono appiccare il fuoco della durezza, del giudizio, della spietatezza sulla terra.
Gesù contraddice persino il suo profeta Giovanni battista che aveva avvisato che il Messia avrebbepurificato l’aia e bruciato la paglia con un fuoco che non si spegne.

Allora, qual è questo fuoco che Gesù è venuto a gettare sulla terra?
E’ il fuoco del roveto ardente che ha incontrato Mosè, il fuoco della presenza di Dio che brucia senza distruggere e consumare, perché è la passione di Dio per l’uomo, l’amore di Dio per noi. Gesù è venuto a farcelo conoscere e ad intaccare, senza distruggere la nostra esistenza, anzi ridandole vita, luce e vigore, speranza di libertà, appunto come è stato per Mosè. Come è stato per il profeta Geremia, che pur avendo contro gran parte dei potenti, non si era tirato indietro dal dire la verità conoscendo la persecuzione. . "Ma nel mio cuore" – confessava Geremia - "c'era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa, mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo".Sì, il fuoco di Gesù è un fuoco interiore. È il fuoco che ardeva nel cuore dei profeti: il fuoco, la passione per e la passione per l'altro; il volto di Dio e il volto dell'altro, unico fuoco, unica passione.

E poi quel fuoco è quello della Pentecoste, lo Spirito Santo, che messo nel cuore ha portato franchezza, capacità di affrontare contestazioni, incomprensioni, e divisioni, agli stessi discepoli di Gesù, dopo la sua risurrezione. "Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra. No, vi dico, ma la divisione". Anche questa affermazione di Gesù è da interpretare: nel senso che Gesù diventa con le sue parole uno spartiacque, uno che fa chiarezza. E sulla sua parola ci si può dividere. La passione per Dio e per gli altri può far nascere una divisione, una incomprensione anche all'interno della famiglia. È successo a Gesù. Ci fu un periodo in cui i parenti di Gesù stentavano a capire quel fuoco che lo divorava. Sembrava pazzo.

Carissimi, qui non si tratta di renderci complicata l’esistenza che già ha le sue lotte, ma di affrontarle con la giusta passione e il giusto coraggio. Il fuoco e la forza che ci vengono offerti accogliendo e seguendo Gesù ci fanno riprendere il cammino senza perderci d’animo, con sapiente e rinnovata energia.






giovedì 15 agosto 2013

PANE BUONO


Parola pane buono,
da seme
accolto nel solco della vita,
macerato nelle ferite,
macinato nel torchio dello Spirito

Pane buono,
amalgama imparo
di grazia e di fortezza,
le mani in pasta,
nel forno del cuore.

Pane buono,
da passione spezzato,
con umiltà servito,
offerto nella gratitudine
per chi riceve.

Pane buono,
tenero sapore,
fragrante profumo,
robusto al fuoco
dello Spirito.

Pane buono,
sulla tavola fraterna,
nella vita solidale,
a sazietà senza misura
è la Sua carità.

Pane buono,
da grembo di Donna,
massaia e ancella,
di più, Maria,
sposa bella.

Pane buono,
dal cielo disceso,
l’Assunta,
umanità feconda,
ancora porge.

Pane buono
divento, povero, io,
lievita in me Dio,
 nella misericordia
si fa carne la Parola.


PENSIERI


Ad ognuna delle donne… “mie”

Monteviale, 15 agosto 2013

Carissima,
                   in occasione della festa dell’ Assunta è diventato familiare rivolgerti il mio affettuoso saluto, riconoscendo in questa circostanza la festa più appropriata della creatura, quella femminile, che per prima partecipa alla gloria del Risorto.
Maria, donna, figlia, sposa, madre, “è portata in cielo in corpo e anima”. Questa verità mi consente di onorare ciascuna di voi nel suo “corpo” di donna, grazioso e armonioso, bello. Non fraintendermi! Non cedo all’apparenza delle forme, al cui fascino non sono insensibile, ma lo contemplo, il corpo della donna, nella sua realtà e verità. Del resto, è questo che con l’anima – Dio in noi – è stato “assunto” in cielo, proprio ad indicare e dare pienezza a quello che esso è, a quello che la donna è.
Come il Figlio è la Parola del Padre fatta carne, il corpo della donna è la parola viva e aperta, originale, di lei al mondo.

Così, onoro te, carissima, il tuo “corpo”, la tua femminilità fatta di carne, sentimenti, pensieri, sogni, tutto il corpo, “spazio di vita”, “spazio di salvezza”. Come la carità non finisce mai, anche il tuo corpo è destinato e fatto per l’eternità nella quale saremo tutti sorpresi grazie alla risurrezione di Gesù. Egli dice che nel regno dei cieli saremo come angeli, ma non perderemo la nostra originale ricchezza.
Con meraviglia e commozione godo innanzitutto dello “spazio interiore” che il tuo corpo offre; “interiore” perché accogliente sempre anche quando non attua materialmente la maternità. Questa dimensione di accoglienza “ispira” interiorità, cioè la bellezza “dentro”. Non l’apparenza, non la superficialità, appartengono alla donna, nemmeno a te di cui so la consapevolezza, la ricerca e l’ascolto della profondità in te, la passione per questo spazio interiore dove lo Spirito abita e chi ti è accanto trova la vera ricchezza. Ti onoro: “sei luogo di gestazione del mondo” nuovo!

Rispetto e venero i sentimenti delicati e profondi che sono nel tuo corpo, in cui “il tempo” ritma comunque la fecondità. Poiché questo “tempo” ti appartiene, tu concorri a fare di te “il tempo della grazia”; sai il momento per dare e ricevere, per invitare e attendere, per chiedere vicinanza, come pure per farti attenta ai singoli e, nella vita di fede, al loro itinerario. Sei educatrice. Niente di intempestivo, di impaziente, o di ritardato e omesso. La tua presenza è puntuale, al momento giusto.
Sapessi come mi è di insegnamento e di bell’esempio il tuo tempo  nel mio ministero pastorale che spesso non sa offrire “spazio” e sbaglia anche i “tempi”. Proprio perché lo conosci bene sai amare “oltre” il tempo nel dare la vita che crescerà, proseguirà, e fai il bene che magari tu non vedrai. E’ amore davvero gratuito. Bellissimo!

Con lo “spazio interiore” e il “tempo della grazia”, il tuo corpo conosce la spinta che genera la vita, e fa sì che gli altri siano se stessi, dà la vera libertà. Anche questa “spinta d’amore” non è soltanto in senso fisico. E’ l’incoraggiamento, lo sprone, quel taglio e distacco dal cordone ombelicale che apre definitivamente alla vita, spinge a maturazione e a crescita spirituale chi ami. Generare non vuol dire cercare di essere riconosciuti, e, alla fin fine, trattenere, ma ricondurre il figlio a se stesso, il figlio che vuole essere rispettato.
Ammiro questa spinta d’amore, e io stesso ne traggo beneficio perché pone in me e in Chi mi guida “interiormente” tanta fiducia. Poterne avvertire la forza delicata e sofferta, la delicatezza ferma e paziente, è irrinunciabile sostegno con cui il Signore mi fa camminare in mezzo ai fratelli, che siete tu, i tuoi cari, e quanti condividono questa bella storia che da qualche anno il Signore scrive.
Da parte mia, amo tenervi per mano, prolungamento dello “spazio” che anch’io desidero fare per tutti dentro di me; amo vivere con voi il “tempo” che ci è dato per seminare ancora insieme, e magari raccogliere, se è nel progetto di Dio; amo la “spinta” che ricevo ogni giorno e quella che posso, con sincero rispetto, donare senza far tacere le buone ispirazioni.

Carissima, il tuo “corpo di donna”  mi aiuta a portare il vangelo, e  può essere per la chiesa tutta memoria privilegiata di ciò che la chiesa stessa è. Questa finirà, ma la donna “in corpo e anima” è destinata all’eternità! “Assunta” in cielo!
Mi fa un po’ tristezza quando scorgo uno “spazio” esteriore e vuoto, un “tempo” impaziente o buttato, una “spinta” poco coraggiosa o pigra. Ma in te non c’è nulla di questo, e hai tutta la mia stima e ammirazione, conoscendo anche le difficoltà che puoi incontrare.
Non rinunciare al “corpo di Cristo”, nutrimento del “tuo”.
E’ l’Eucaristia, il cibo, parole e pane, di ogni domenica; è la comunità in cui scorre il “sangue” di Cristo; è l’umanità, soprattutto, e in diverso modo, sofferente, “vera carne di Cristo” (Papa Francesco).

Forse temerai che questi pensieri siano frutto di qualche colpo di caldo torrido di queste settimane. Il calore c’entra, ma è quello dell’ affetto che ho per ognuna delle mie… donne, subito dopo quello di Dio e dei suoi cari. Ho avuto modo di avere tra le mani la recensione di uno studio proprio sulla “donna, spazio di salvezza”. Mi ha incuriosito e fatto del bene. Le mie parole riprendono alcune di quelle espressioni, riflettono, spero in maniera non troppo confusa e azzardata, l’eco che hanno suscitato in me.

Più semplici, invece, sono le considerazioni che Papa Francesco ha condiviso con i giornalisti nell’intervista di ritorno da Rio de Janeiro, e che ti riporto qui sotto.
Grazie di quello che sei con “il tuo corpo” e che continui a fare in mezzo a noi.
Che la Madonna  Assunta ti rimanga vicina.
Ricevi il mio abbraccio fraterno.

                                                                                                           Don Francesco




NB. “La donna spazio di salvezza. Missione della donna nella chiesa, una prospettiva antropologica”
di Maria Teresa Porcile Santiso - Dehoniane, Bologna 1996, pp. 358.
Maria Teresa Porcile Santiso (1943 –2001) pedagogista, dottore in teologia e in filosofia, è stata insegnante presso l’Università Cattolica di Montevideo e presso l’Università di Friburgo. Impegnata nell’insegnamento  e nella ricerca, aveva acquisito una significativa esperienza interculturale, interreligiosa ed ecumenica.

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“ Una Chiesa senza le donne è come il Collegio Apostolico senza Maria. Il ruolo della donna nella Chiesa non è soltanto la maternità, la mamma di famiglia, ma è più forte: è proprio l’icona della Vergine, della Madonna; quella che aiuta a crescere la Chiesa! Ma pensate che la Madonna è più importante degli Apostoli! E’ più importante! La Chiesa è femminile: è Chiesa, è sposa, è madre. Ma la donna, nella Chiesa, non solo deve … non so come si dice in italiano … il ruolo della donna nella Chiesa non solo deve finire come mamma, come lavoratrice, limitata … No! E’ un’altra cosa! Ma i Papi… Paolo VI ha scritto una cosa bellissima sulle donne, ma credo che si debba andare più avanti nell’esplicitazione di questo ruolo e carisma della donna. Non si può capire una Chiesa senza donne, ma donne attive nella Chiesa, con il loro profilo, che portano avanti… Nella Chiesa, si deve pensare alla donna in questa prospettiva: di scelte rischiose, ma come donne. Questo si deve esplicitare meglio. Credo che noi non abbiamo fatto ancora una profonda teologia della donna, nella Chiesa. Soltanto può fare questo, può fare quello, adesso fa la chierichetta, adesso legge la Lettura, è la presidentessa della Caritas, la catechista … Ma, c’è di più! Deve essere di più, ma profondamente di più, anche misticamente di più, con questo che io ho detto della teologia della donna Bisogna fare una profonda teologia della donna. Questo è quello che penso io.
L’ho detto, ma lo ripeto. La Madonna, Maria, era più importante degli Apostoli, dei vescovi e dei diaconi e dei preti. La donna, nella Chiesa, è più importante dei vescovi e dei preti; come, è quello che dobbiamo cercare di esplicitare meglio, perché credo che manchi una esplicitazione teologica di questo.” (Papa Francesco)

OMELIA


ASSUNTA C – 15 Agosto 2013

- Ap 11,19a;12,1-6a.10ab
- 1Cor 15,20-27a
- Luca 1,39-56

Nella Solennità in onore di Maria, madre di Gesù, “assunta in cielo in corpo e anima” come recita la nostra fede di credenti nella risurrezione di Gesù, ha piena cittadinanza in noi la speranza che la sorte gloriosa del Figlio di Dio e di questa creatura è anche la nostra meta, la pienezza e non il dissolvimento della vita.

Pur celebrando questo evento in un tempo così arso dal caldo, non è l’afa dell’estate, l’aria soffocante che conosciamo, o che respiriamo, qui, nella nostra preghiera. No, è l’aria di primavera, la brezza che risveglia alla vita. Il clima, non tanto dei giorni quanto della storia, rimane infuocato per molte vicende e lotte che nel mondo, nelle famiglie, nel cuore si tengono, non si spengono mai, come lasciano intendere le immagini della prima lettura, l’umanità innanzitutto sottoposta agli attacchi del male ma anche custodita da Dio. Ma sopra tutte queste lotte s’innalza il canto di Maria, il Magnificat, che spegne ogni tormento, allevia ogni angoscia, scioglie il dubbio che sia tutto un’ illusione.

Il canto di Maria, condivisione di vita e di lode con la cugina Elisabetta, dice stupore, benedizione, ferma certezza che Dio fa cose grandi nella vita dei suoi figli, dei poveri, degli umili, dei piccoli: li innalza, dà liberazione, senso e bellezza alla loro esistenza; fa cose grandi anche davanti alla arroganza dei potenti, perché vince la loro superbia, ne abbassa le pretese, li lascia, come è proclamato, a mani vuote.

Certo nel tratto di storia che si svolge in questo mondo, non sempre appare chiara e definitiva la vittoria della vita sulla morte, del bene sul male, dell’amore sull’odio e l’egoismo. Ma dal momento che il Risorto ha fatto partecipe questa creatura, la madre Sua, Maria, della sua vittoria, anche ogni creatura, quindi noi, ogni frammento di questo mondo non andrà perduto, ogni realtà che ci è stata cara e ha servito al nostro bene, e che pure noi abbiamo contribuito a far crescere, godrà della bellezza del cielo. Dopo le vicende che qui ci hanno impegnato, motivo di lacrime e di speranze, di iniziali gioie e di fatiche, sorpresi e contenti potremo dire “ma che storia!” che abbiamo vissuto, “ma che storia!” Dio ha fatto in noi e cono noi.

“L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte”. Sembrava vincente in Maria, come su quel suo Figlio, ed è stata annientata, la morte. Partono da questa convinzione che Paolo ci annuncia nella sua lettera la speranza e l’ impegno con cui camminiamo su questa terra verso il cielo, con cui occupiamo questo tempo provvisorio per entrare nell’eternità. Troppo poco nel nostro dire, nelle nostre considerazioni, nelle nostre aspettative, peraltro fragili andiamo oltre questa esperienza terrena. Pensiamo che tutto si riduca qui, sia quando le cose ci vanno bene sia quando siamo messi alle strette. Siamo senza speranza che è la facoltà non tanto di attendere il futuro, quanto di renderlo presente qui, con l’impegno, dando un sussulto nuovo, decisivo, positivo alla nostra storia.

“Il tempio di Dio che è nel cielo”, dice la prima lettura dal libro dell’apocalisse ricco di immagini, cioè il suo mistero di amore ci ha offerto, l’ “arca dell’ alleanza”, la sua comunione, vicinanza, la sua vita. Umile e forte strumento corresponsabile di questa grazia, è quella donna di cui si parla ancora nella prima lettura. E’ innanzitutto l’umanità, è il popolo che si affida a lui, è la comunità dei credenti, è Maria, figura che riunisce in sé questi protagonisti che Dio vuole per una storia nuova; è Maria che rivive nella Chiesa, negli uomini, in ogni donna perché viva quel figlio che è la vera salvezza, Gesù; perché il male, questo drago, così sproporzionato a fronte del bene, con sette teste, dieci corna, una coda potente, sia definitivamente incatenato.

Sì, Maria rivive in me, in te, in ciascuno di noi, nella Chiesa e nel mondo, in questa nostra comunità parrocchiale a lei affidata. Lo Spirito che la resa luogo di grazia e strumento di salvezza è dato anche noi. Non temiamo le lotte a cui siamo sottoposti, e l’ultimo nemico che è la morte. Vogliamo, piuttosto, essere eco del suo canto, del canto di Maria.



martedì 13 agosto 2013

OMELIA


19° Domenica C – 11.08.2013

- Sapienza 18,6-9
- Luca 12,32-48

Nel cuore dell’estate, quando il caldo o le ferie inducono quasi a rallentare un po’ la presa sulle nostre quotidiane apprensioni, la parola del Signore ci richiama alla vigilanza. Il che non significa rimanere tesi, quando invece abbiamo bisogno di un po’ di distensione e anche di distrazione, ma piuttosto di non rinunciare alla nostra intelligenza, cioè a vedere dentro i passi che ogni giorno siamo chiamati a fare, nel cammino di discepoli dietro di Lui, a tutte le ore, quella del giorno e quelle della notte, quelle più calde e quelle più fresche.

Il richiamo di Gesù è un misto di tenerezza affettuosa (“Non  temere, piccolo gregge….”) e di sprone (“Vendete ciò che possedete… Perché dov’è il vostro tesoro, la sarà anche il vostro cuore”)

Fermiamo la nostra attenzione sulla parabola che quella che riguarda i servi nell'assenza del padrone, i servi ai quali viene raccomandata, con immagini ricche di fascino, la vigilanza. Ecco le immagini: la notte, la cintura ai fianchi, le lampade accese.

La notte: la venuta del Signore, la sua incessante venuta, i suoi appelli, i suoi inviti sono dentro le nostre notti, quando è buio, quando non è tutto così chiaro, dentro l'incertezza, l'imprevedibilità della vita. la bellezza della notte non è semplicemente quella che in questi mesi estivi molti vanno gustando nei luoghi di villeggiatura rimanendo svegli sino al mattino, o la cosiddetta notte bianca che la società ha inventato per stordirsi ancora di più dopo le fatiche della giornata. Non sarà mai una notte paragonabile a quella cantata nella prima lettura, "la notte della liberazione desti al tuo popolo, Signore. Si’,anche le nostre notti, intese in senso fisico o metaforico, simbolico, le più tormentate come le più sciocche, sono tempo e luogo di visita e di liberazione. In ogni notte ci sono bagliori di libertà. Amiamo stare svegli perché Egli  “torna dalle nozze”.

"Cinti i fianchi": è l'abito di chi parte, ed è l'abito di chi lavora; perché Dio, di cui a volte lamentiamo l’assenza, Dio lascia a noi questa casa, questa terra, queste cose. Le lascia alla nostra responsabilità: non vuole schiavi. Anche se nella parabola è detto “padrone”, sappiamo che Egli è un Signore, che ci metterà a tavola e che, cingendo lui i suoi fianchi, ci passerà a servirci” per una festa più piena. Dio non è un padrone. E’ un Signore, che si mette lui a servire. Infatti Gesù ha lavato i piedi ai discepoli, come fa il servo. Ma per amore.
L’altra parabola ci ricorda le conseguenze dell’esempio che Egli ci dà,e che sembrano contraddire questa bontà. La cosa che Dio non sopporta, non potrà mai più sopportare né nella chiesa né nella società civile, è che qualcuno approfitti della sua assenza, o del suo nome, per farla da padrone. C'è nella parabola una dura condanna per l'amministratore che approfitta del ritardo del Signore per percuotere, mangiare, bere, ubriacarsi. No. L'autorità gli era stata conferita per distribuire armoniosamente. Se viene usata per interesse personale o per altri fini, trova nella parabola la sua condanna. Cinti i fianchi: vale a dire "prenditi cura", prenditi cura delle cose di ogni giorno, delle relazioni di ogni giorno, della casa, della strada, della città, delle occupazioni, dei volti di ogni giorno. Ti sono stati affidati dal Signore, prima di partire.

E, infine, “le lucerne accese”. Se è vero che il nostro è un andare nella notte, e non è facile vegliare e vedere bene, importanti diventano le lucerne nella notte. Queste lucerne sono la parola di Dio. Luce che rassicura, ma anche  luce critica, luce di giudizio, luce di accompagnamento.  "Stai attento" - diceva Gesù - "che la tua luce non diventi tenebra. Insomma, un vigilanza fatta di speranza qualunque sia la notte, di responsabilità qualunque sia il compito, di chiarezza che sta nell’ amore, nel bene che il signore ci vuole, e che ci illumina.


 

 




domenica 4 agosto 2013

OMELIA

18° Domenica C – 04.08.2013


-  Qoelet 1,2; 2,21-23
-  Colossesi 3,1-11
-  Luca 12,13-21

In un tempo che potrebbe essere di respiro e di calma, dalla parola del Signore viene l’occasione per pensare alle tante corse, affanni, illusioni e pure lotte, liti, per metter via, accumulare più beni.

Con la compassione del buon samaritano, l’ospitalità di Marta, l’ascolto di Maria, la confidenza con il Padre nella preghiera, anche la libertà dalle cose che si possiedono ci è dato come un tratto del vero discepolo. Egli non pone nelle ricchezze la propria sicurezza e gioia. E’ piuttosto il figlio che ci fida della provvidenza del padre. Dispiace che la lettura ascoltata non continui con il brano seguente che parla degli uccelli dell'aria nutriti da Dio, dei gigli vestiti da Dio, dell'invito di Gesù a non farci schiavi né del vestito né del cibo. Bisogna pur darsi da fare per cibo e vestito  - Gesù ha preso a simbolo due cose essenziali - ma c'è un prima.: "cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia". C'è il sogno di Dio.

C’è invece il sogno, il calcolo di quest’uomo che mira ad ingrandire il proprio capitale per poi spassarsela, c’è l’incubo dell’uomo che avvicina Gesù con la richiesta di fargli da mediatore: "Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità".

Gesù stava parlando dell'abbandono a Dio, stava dicendo: non temete, voi valete! Il valore vero siete voi, voi valete più dei passeri. Se Dio non dimentica loro, a maggior ragione si prenderà cura di voi. E, dentro questi pensieri alti, ecco la domanda terra terra sulla divisione di un'eredità. Quella persona tra la folla che ascoltava Gesù era certamente via con la testa. Altro che le parole di Gesù. Il suo chiodo era un altro, era l'eredità. Quante volte sono via io con la testa, quando un altro parla, quando parla Dio, nelle Sacre Scritture. Non ci rendiamo conto della preziosità e verità della sua parola perché la nostra mente è occupata altrove.

Nella risposta di Gesù il problema non è l'eredità. Il problema, fa egli capire, è l’avidità insaziabile che, dirà Paolo, è idolatria.
Non ci riguarda potremo dire, noi forse non abbiamo avuto o abbiamo conflitti di eredità. Ma ci domandiamo: da che cosa dipendono gli umori della mia vita. Dipendono dall'abbondanza dei beni, dalla sicurezza dei beni? Se è così -dice Gesù - sei stolto. Il capitale può essere dei più grandi e i beni una moltitudine, ma a che serve, se tu non puoi aggiungere un'ora sola alla tua vita?
Così si avvicina all'insegnamento sapiente della prima lettura che riflette sulla debole consistenza delle cose umane, l'inconsistenza del soffio, sono come un soffio: "vanità delle vanità, tutto è vanità".

Questa parabola non è scritta allora per togliere ogni valore alle cose quotidiane: tu puoi aver lavorato "con sapienza, con scienza e con successo", sempre come dice la prima lettura, e penso che sia un merito, un atto di onestà. . Ma, Riconosci – dice la parola  di Dio - la fragilità delle cose, dei beni della terra e non attaccarci il cuore. Non diventarne schiavo, non diventare dipendente, se diventi dipendente perdi la tua libertà.

È un pensiero forte questo, che mette sotto verifica il nostro tempo, consumato dietro l'ansia delle cose: "neppure di notte il suo cuore riposa". La parola di Dio suona, inequivocabile, come un "alto là". E non sarà che la vita stia diventando un magazzino? Di questi tempi per qualcuno stracolmo, ed è illusione; per altri ancora tanto vuoto, sembra non esserci neanche il necessario, ed è tristezza. Solo Gesù rimane la vera ricchezza, l’unica vera sicurezza. E il sogno di Dio la nostra realtà!