domenica 31 dicembre 2023

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

Santa Famiglia – 31.12.2023

Genesi 15,1-6   -   Ebrei 11 8-19   -   Luca 2,22-40

A continuare la luce e la gioia del Natale è la festa della Santa Famiglia di Nazareth. Quanto la luce e la gioia siano stabilmente presenti nelle nostre famiglie, sappiamo bene come sia difficile. Eppure la famiglia, amata da dio, non è abbandonata a se stessa.

Oggi due famiglie ci sono indicate dalla parola di Dio, benedette, illuminate ( anche se non comprendono tutto), sorrette da Dio stesso, dalla Sua fedeltà che realizza promesse di bene e di salvezza. Sono la famiglia di Abramo e Sara, e la famiglia di Maria, Giuseppe, e il bambino Gesù. Quale insegnamento ci viene da loro?

Primo.  La famiglia è la vocazione, è la chiamata dall’Amore all’amore. Se noi, credenti, dovessimo perdere questa consapevolezza e allontanarci dalla fonte, l’Amore, correremo il rischio di vedere esaurirsi ciò che la tiene in vita e l’alimenta, l’amore. Questa chiamata richiede la nostra fiducia, ma prima di tutto è un atto di fiducia di Dio.

Secondo. La famiglia, nei suoi componenti, ci mette il senso di responsabilità, che è appunto rispondere; rispondere con la propria libertà, illuminata, guidata, per i credenti, dalla Parola del Signore e non da altro, quale la mentalità mondana che ne attiva la distruzione.

Terzo. La famiglia che riconosce la chiamata e intende rispondere, cammina con coraggio nel mondo; il coraggio della resistenza alle difficoltà, il coraggio di fare crescere l’umanità, servire la vita, sempre, dal primo istante fino all’ultimo respiro.

L’accoglienza e la custodia di tale luogo, segno, strumento dell’Amore che si affida all’amore familiare, stanno in una brevissima parola, la più intensa di tutte: sì!

Vorrei tradurre questa brevissima parola “sì” in un'altra più difficile, forse perché in passato se ne è abusato: è l’obbedienza. “Come prescrive la legge del Signore”, si legge nel Vangelo, oggi. Obbedienza è la consegna di sé all’amore, a Dio, alla vita! Non come supina sottomissione, rinuncia al dialogo, alla propria personalità, intelligenza, alle proprie idee o libertà, atteggiamento che fa il gioco di chi è prepotente o capriccioso; ma è cercare insieme, corresponsabili, la via giusta e santa.

L’ obbedienza a Dio quando ci sono scelte da fare e decisioni da prendere, soprattutto per il bene dei più fragili, per usare un’espressione del vangelo di oggi, ci porta a “vedere la salvezza”.

Obbedienza, poi, all’amore reciproco nel quale è stata fondata la famiglia, quando senza darsi colpe o chiedere riparazioni, c’è l’ascolto e il dialogo, e si trova il tempo per farlo; quando ci si accoglie con tenerezza, non con violenza, e si serve con gioia, non malvolentieri. Obbedienza alla vita quando ci si applica a realizzare insieme quello che Dio vuole per il bene, la felicità della famiglia e di ognuno dei suoi componenti. Può sembrare paradossale, lo so, ma questa è la fine del patriarcato, del matriarcato, pure del figliarcato.

La benedizione di Dio è su Abramo e Sara obbedienti. La benedizione di Dio è questo Bambino, obbedienza fatta carne. La benedizione di Dio ci è stata data attraverso questa singolare coppia di sposi, Giuseppe e Maria, obbedienti pure loro. La benedizione di Dio siete tutti voi, carissime famiglie che vivete, vi amate e vi aiutate nella santa obbedienza.

 

 

 

martedì 26 dicembre 2023

 

BRICIOLE di PAROLA

nell’omelia di Papa Francesco – Notte Natale 2023

…Fratelli e sorelle, stanotte possiamo chiederci: noi in che Dio crediamo? Nel Dio dell’incarnazione o in quello della prestazione? Sì, perché c’è il rischio di vivere il Natale avendo in testa un’idea pagana di Dio, come se fosse un padrone potente che sta in cielo; un dio che si sposa con il potere, con il successo mondano e con l’idolatria del consumismo. Sempre torna l’immagine falsa di un dio distaccato e permaloso, che si comporta bene coi buoni e si adira coi cattivi; di un dio fatto a nostra immagine, utile solo a risolverci i problemi e a toglierci i mali. Lui, invece, non usa la bacchetta magica, non è il dio commerciale del “tutto e subito”; non ci salva premendo un bottone, ma Lui si fa vicino per cambiare la realtà dal di dentro. Eppure, quanto è radicata in noi l’idea mondana di un dio distante e controllore, rigido e potente, che aiuta i suoi a prevalere contro gli altri! Tante volte è radicata in noi questa immagine. Ma non è così: Lui è nato per tutti, durante il censimento di tutta la terra.

Guardiamo dunque al «Dio vivo e vero» (1 Ts 1,9): a Lui, che sta al di là di ogni calcolo umano eppure si lascia censire dai nostri conteggi; a Lui, che rivoluziona la storia abitandola; a Lui, che ci rispetta al punto da permetterci di rifiutarlo; a Lui, che cancella il peccato facendosene carico, che non toglie il dolore ma lo trasforma, che non ci leva i problemi dalla vita, ma dà alle nostre vite una speranza più grande dei problemi. Desidera così tanto abbracciare le nostre esistenze che, infinito, per noi si fa finito; grande, si fa piccolo; giusto, abita le nostre ingiustizie. Fratelli e sorelle, ecco lo stupore del Natale: non un miscuglio di affetti sdolcinati e di conforti mondani, ma l’inaudita tenerezza di Dio che salva il mondo incarnandosi. Guardiamo il Bambino, guardiamo la sua mangiatoia, guardiamo il presepe, che gli angeli chiamano «il segno» (Lc 2,12): è infatti il segnale rivelatore del volto di Dio, che è compassione e misericordia, onnipotente sempre e solo nell’amore. Si fa vicino, si fa vicino, tenero e compassionevole, questo è il modo di essere di Dio: vicinanza, compassione, tenerezza.

Sorelle, fratelli, stupiamoci perché “si è fatto carne” (cfr Gv 1,14). Carne: parola che richiama la nostra fragilità e che il Vangelo utilizza per dirci che Dio è entrato fino in fondo nella nostra condizione umana. Perché si è spinto a tanto? – ci domandiamo –. Perché gli interessa tutto di noi, perché ci ama al punto da ritenerci più preziosi di ogni altra cosa. Fratello, sorella, per Dio che ha cambiato la storia durante il censimento tu non sei un numero, ma sei un volto; il tuo nome è scritto nel suo cuore. Ma tu, guardando al tuo cuore, alle prestazioni non all’altezza, al mondo che giudica e non perdona, forse vivi male questo Natale, pensando di non andare bene, covando un senso di inadeguatezza e di insoddisfazione per le tue fragilità, per le tue cadute e i tuoi problemi e per i tuoi peccati. Ma oggi, per favore, lascia l’iniziativa a Gesù, che ti dice: “Per te mi sono fatto carne, per te mi sono fatto come te”. Perché rimani nella prigione delle tue tristezze? Come i pastori, che hanno lasciato le loro greggi, lascia il recinto delle tue malinconie e abbraccia la tenerezza di Dio bambino. E fallo senza maschere, senza corazze, getta in Lui i tuoi affanni ed Egli si prenderà cura di te (cfr Sal 55,23): Lui, che si è fatto carne, non attende le tue prestazioni di successo, ma il tuo cuore aperto e confidente. E tu in Lui riscoprirai chi sei: un figlio amato di Dio, una figlia amata da Dio. Ora puoi crederlo, perché stanotte il Signore è venuto alla luce per illuminare la tua vita e i suoi occhi brillano d’amore per te. Noi abbiamo difficoltà a credere in questo, che gli occhi di Dio brillano di amore per noi.

Cristo non guarda i numeri, ma i volti. Chi, però, guarda a Lui, tra le tante cose e le folli corse di un mondo sempre indaffarato e indifferente? Chi lo guarda? A Betlemme, mentre molta gente, presa dall’ebbrezza del censimento, andava e veniva, riempiva gli alloggi e le locande parlando del più e del meno, alcuni sono stati vicini a Gesù: sono Maria e Giuseppe, i pastori, poi i magi. Impariamo da loro. Stanno con lo sguardo fisso su Gesù, con il cuore rivolto a Lui. Non parlano, ma adorano. Questa notte, fratelli e sorelle, è il tempo dell’adorazione: adorare.

L’adorazione è la via per accogliere l’incarnazione. Perché è nel silenzio che Gesù, Parola del Padre, si fa carne nelle nostre vite. Facciamo anche noi come a Betlemme, che significa “casa del pane”: stiamo davanti a Lui, Pane di vita. Riscopriamo l’adorazione, perché adorare non è perdere tempo, ma permettere a Dio di abitare il nostro tempo. È far fiorire in noi il seme dell’incarnazione, è collaborare all’opera del Signore, che come lievito cambia il mondo. Adorare è intercedere, riparare, consentire a Dio di raddrizzare la storia. Un grande narratore di imprese epiche scrisse a suo figlio: «Ti offro l’unica cosa grande da amare sulla terra: il Santissimo Sacramento. Lì troverai fascino, gloria, onore, fedeltà e la vera via di tutti i tuoi amori sulla terra»  (J.R.R. Tolkien, Lettera 43, marzo 1941).

Fratelli e sorelle, stanotte l’amore cambia la storia. Fa’ che crediamo, o Signore, nel potere del tuo amore, così diverso dal potere del mondo. Signore, fa’ che come Maria, Giuseppe, i pastori e i magi, ci stringiamo attorno a Te per adorarti. Resi da Te più simili a Te, potremo testimoniare al mondo la bellezza del tuo volto.

lunedì 18 dicembre 2023

BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

3° Avvento B – 17.12.2023

Isaia 61,1-2.10-11  - 1Tess 5,16-24  - Giovanni 6-8.19-28

L’abbiamo già incontrato domenica scorsa; nel deserto gridava “preparate la via  del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”. E accompagnava la sua predicazione con uno stile di vita che possiamo dire alternativa alla mentalità del mondo: senza dimora, vestito di pelli di cammello, cibo povero.

Questa stravaganza che da un parte lo emarginava dal mondo e dall’altra attirava le folle, oltre che le critiche dei benpensanti o di quelli che si ritenevano giusti, questa stravaganza veniva da una forza inarrestabile: “Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri”. Saranno le parole con cui Gesù, un giorno, presenterà se stesso nella sinagoga di Nazareth, all’inizio della sua pubblica predicazione. Ma non sono meno vere, anche se con una dimensione diversa, in Giovanni. Del resto era suo cugino, e qualcosa di familiare ci poteva anche stare, no?

Ecco, ciò che determinante nel messaggero, nel servo che attende al compito che ha ricevuto nella vita, è questa presenza e azione dello Suo Spirito che illumina, guida, sostiene il suo servizio, la sua testimonianza. E la connota di due caratteristiche che emergono dalla liturgia e dalla parola di questa domenica.

 La prima. “Io gioisco pienamente nel Signore”, riporta Isaia, “perché”, traducendo le parole del profeta, “ mi ha amato, circondato di attenzione e di onore, ha portato in me la sua volontà di bene”. “E la mia anima esulta nel mio Dio”, il ritornello nella nostra risposta poco fa, che riportava il cantico di Maria. La gioia è la prima caratteristica di chi accoglie ciò che il Signore fa; è l’invito, il tono di chi ne annuncia la venuta.

Così Paolo nel suo scritto: “Siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, ogni cosa rendete grazie”. E lo Spirito ci aiuta a vegliare e vagliare ogni cosa, cioè a valorizzare quanto vi è di buono tra noi, e un animo contento lo sa fare, e a non cedere, invece,  ad “ogni specie di male”.

La raccomandazione di provvedere a questa attesa chiama a “dare testimonianza alla luce”, servizio e missione di Giovanni, ma anche di ogni messaggero di Dio. Dare testimonianza che viene ed è in mezzo a noi il Signore, non vuol dire avere soluzioni e dare risposte a tutto, ma suscitare domande, provocare una certa inquietudine in chi ci vede o ci sente, mettere una sana curiosità in loro. Come mai agisci così? Perché dici queste cose? Come mai quella persona si comporta in quel modo? Perché quella pazienza, quella generosità, quella fedeltà, quell’impegno per la giustizia, quella capacità di perdono, ecc…Come mai?

Ognuno sarà guidato a cercare, trovare, incontrare la risposta soprattutto dalla gioia con cui daremo l’annuncio che il Signore, è nella nostra vita, è la nostra vita, la nostra missione, come lo era per Giovanni, la “voce” della Parola che mette a tacere le nostre chiacchere o povere parole.

A fronte di giorni di facili emozioni, belle, di incontri, speriamo sinceri, ma anche di superficialità e di consumismo, purtroppo, riusciremo ancora noi a dire che è Natale perché nasce ed è in mezzo a noi Colui che è la nostra salvezza, senso e gioia della nostra vita?

 

 

domenica 10 dicembre 2023

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

2° Avvento B – 10.12.2023

Isaia 40,1-11 - Marco 1,1-8

Domenica scorsa, prima domenica di avvento, avevamo ricevuto l’esortazione forte a vegliare per non essere sorpresi dal ritorno improvviso del padrone  che ci ha affidato la Sua casa, la nostra vita. Precisamente veniva raccomandato al portiere di vegliare, il maggior responsabile. Ed eccolo qui che oggi ci viene indicato, in questo “messaggero” che tiene svegli tutti perché nessuno venga meno al compito ricevuto e sia colto impreparato davanti a Colui che viene. Sì, Giovanni il Battista ha questa responsabilità. Ma ognuno dei servi della casa, quindi anche ognuno di noi non può essere da meno.

Messaggeri, portatori di una notizia, di una buona notizia, che è Gesù, Cristo, Figlio di Dio. E’ l’inizio di una nuova storia, di una nuova opportunità di vita che ci viene offerta. E che nel trascorrere del nostro tempo, breve o lunga che sia la nostra esperienza terrena, siamo chiamati ad accogliere e fare nostra. Gesù, come dice il suo nome, è l’amore di Dio che salva, cioè dà senso, bellezza, bontà, libertà, e pienezza al nostro esistere; è Lui la buona notizia. Noi, che ci professiamo credenti, ne riceviamo la consegna e il compito di farla rimbalzare in ogni angolo della nostra giornata, in ogni attività che ci prende, in ogni situazione in cui viviamo, siamo un’eco di questa notizia; o meglio ne siamo la “voce”, la riflettiamo, e se, obbedienti, la ampliamo, perché i sordi odano, i ciechi vedano, chi è abbattuto si rialzi, chi è smarrito si riprenda, chi è confuso abbia luce, e chi nutre ancora qualche speranza e buona volontà si senta  incoraggiato. Essere messaggeri, compito dei credenti, ma anche onore e partecipi della stessa buona notizia, di Gesù!

Alcuni tratti di Giovanni Battista, il messaggero, ci vengono in aiuto in questo compito. Egli è “voce che grida nel deserto”. E il deserto non manca nella nostra vita; non mancano prove, difficoltà, aridità, smarrimento…in mezzo a questo dobbiamo lavorare per preparare la via Colui che viene, prepararci all’incontro con Lui. Non fermiamo il suo “grido” al rimprovero, al richiamo pure violento che egli non ha mancato di fare. Esso è di ben altra forza: “consolate, consolate…parlate al cuore”, dice il profeta Isaia. Non si avvia alla conversione con reprimende o minacce, ma con gesti e parole di consolazione; con una carezza, piuttosto che con un rimprovero! E la domanda giusta, allora, non è come cambiare il mondo ma come amarlo (Gesù docet!).

Non trascurando lo stile del Battista, uomo di verità e di libertà. Lo dice pure il suo porsi tra gli uomini. Senza dimora, vestito con peli di cammello, una cintura di pelle ai fianchi, nutrendosi di cibo povero, cavallette e miele selvatico, sta ad indicare che il primato nella sua vita è altrove; è in Dio e nel compiere la missione per la quale è venuto al mondo, come aveva cantato suo padre Zaccaria al momento della nascita: “…andare avanti al Signore per preparare le sue vie”.

E’ pure il nostro compito: alzare la voce con forza, come esorta il profeta Isaia nella prima lettura, per annunciare liete notizie attorno a noi; predicare con la vita e la parola il primato del Signore, la libertà dalle cose, servire al nostro Dio. Diverremo annunciatori di Gesù, e ogni uomo incontrerà in Lui l’amore di Dio. Come abbiamo pregato poco fa: “mostraci , Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza”.