martedì 28 agosto 2018


BRICIOLE di PAROLA
...nell'omelia

21 Domenica B – 26.08.2018

- Giovanni 6,60-69

Le affermazioni di Gesù sul “pane” che dà la vita, “la mia carne è vero cibo, il mio sangue vera bevanda”, avevano gettato scompiglio tra i suoi ascoltatori. Non sono esenti da questa crisi i suoi più stretti discepoli, i Dodici. “Questa parola è dura! Chi può intenderla?”. Quante volte anche noi abbiamo pensato davanti al vangelo: questo è troppo, è impossibile, roba da matti! E’ bello, ma impensabile”.

“Tra voi ci sono quelli che non credono”. Noi siamo tra coloro che lo cercano, lo seguono ovunque, lo ascoltano, ma non credono. Praticanti non credenti! Fede è di più di praticare. E chi non crede, torna indietro, non va più con lui.

Dice Giosuè (1° lettura): “Scegliete oggi chi volete servire, forse gli idoli?”. E i nostri idoli si chiamano potere, successo, ricchezza, benessere solo per noi, egoismo, chiusura ai poveri…

“Volete andarvene anche voi?”. Gesù, che davanti alla crisi dei suoi non cambia una virgola del suo annuncio, esce con un’espressione che può risuonare al nostro cuore in modo differente: una preghiera, perché non lo lascino solo, quelli che dicono di essergli amici, oppure una sfida per i più arroganti, come a dire, “se non siete d’accordo, quella è la porta!”.

“Signore, da chi andremo?”. Pietro interviene non lamentandosi con Gesù, “sei troppo difficile e poco paziente, non sai la fatica che facciamo…”. La sua esclamazione potrebbe venire dalla pena che gli fa quest’uomo che ora viene abbandonato da tutti, oppure dalla vergogna di essere anche lui un voltafaccia, di essere un traditore…Cosa che per ora non avviene. Ma poi ecco la verità: “Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio, noi ci siamo fidati e ci fidiamo di te”.

“Tu hai parole di vita eterna”. Probabilmente lo stesso Pietro non sa neanche lui la portata di questa confessione di fede. Fatto sta che resta! Con le nostre crisi anche stiamo dietro a Gesù, restiamo con lui, “rimaniamo in lui”. Si resta perché gli si vuol bene, lo si sente amico, non perché lo si comprende.

 “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”. E’ come se Pietro, con una frase piena di tenerezza e sensibilità, volesse addolcire l’amarezza del Maestro. Mi piace pensare che Gesù, “pane di vita eterna”, riceve a sua volta dal povero Pietro un “pane” normalissimo, umano, ma non meno eterno, un pane che sa di amicizia, di vicinanza, di solidarietà, di simpatia, di affetto,

Io non lascio Gesù. Ed Egli continuerà a tenermi accanto a sé anche se vede la mia fatica, conosce le mie tentazioni. Saprà spazzare via le mie incertezze e le mie paure, e spezzare per me il suo “pane che dà la vita”.



domenica 19 agosto 2018

BRICIOLE di PAROLA
...nell'omelia


20 Domenica B – 19.08.2018

- Proverbi 9,1-6   - Giovanni 6,51-58

Il discorso sul “pane disceso da cielo” che, dice Gesù, “io sono”, si fa profondo e molto concreto.
La profezia che qualche giorno fa celebravamo con l’Assunzione al cielo di Maria, profezia della nostra risurrezione e glorificazione, avrà un giorno il compimento, ma inizia qui sulla terra. E ha bisogno di nutrimento, di alimentarsi. Ecco il pane della vita!
“Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno …”

E’ stato scritto che noi siamo ciò che mangiamo, o, meglio, “diventa ciò di cui si nutre”.
Se noi ci nutriamo di cattiverie, di odio, di rancore, o di stupidaggini, di stoltezza, di vuoto… diventeremo tali. Se uno si “ubriaca” di cose cattive, la sua esistenza non potrà che esserne triste conseguenza.

Ma se noi ci nutriamo di cose belle, pulite, oneste, ci nutriamo di giuste passioni, pazienza, bontà, poesia, di sapienza… diventeremo sapienti, buoni, giusti, belli… come Gesù, pane che dà la vera vita!
Tutta la sua “carne”, la sua persona, la sua umanità, il suo sguardo, la sua Parola, il suo silenzio, il suo agire, il suo “corpo e sangue” che noi riceviamo nell’Eucaristia, ma non solo, trasformano la nostra persona, la nostra storia… il nostro operare.

“Come può costui darci la sua carne da mangiare?”. Affermazioni forti, inaudite, scandalose, quelle di Gesù, blasfeme, per i suoi ascoltatori. Soltanto la fede, la fiducia di avere trovato chi ci fa bene, chi ci fa crescere, chi ci dà la vita, ci consente di accogliere tale prodigio inspiegabile.

I benefici di questo “nutrimento”.

- “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui”. La comunione, l’amicizia stretta con Gesù, una speciale familiarità che ci introduce nel mistero di Dio.

- “Colui che mangia me vivrà per me”. Gesù è cibo sostanzioso che ci consente di vivere. E non ci si nutre di Gesù perché siamo degni di lui. Nessuno lo è. Di Lui abbiamo bisogno. Se io “faccio la comunione” con Lui che è fedele, misericordioso, mite, umile e forte, paziente e fiducioso, superiore ad ogni paura o torto… avrò a disposizione, sempre che io lo voglia, la forza che mi aiuta a fare altrettanto. Egli si trasfonde in me, ed io in lui.

- “Chi mangia questo pane vivrà in eterno”. Sarà con me per sempre…“io lo risusciterò nell’ultimo giorno” Il mio corpo si consumerà nella tomba, ma il corpo di Cristo mi ridonerà vita, vita eterna. Un giorno, l’ultimo o meglio il primo senza fine. E’ la sua promessa!

“Venite, mangiate il mio pane, bevete il mio vino”, diceva la Sapienza di Dio nella prima lettura. Accettiamo l’invito, facciamo buon uso del tempo, come raccomandava la seconda lettura, sarà già vita eterna, vita di risorti con Gesù, il nostro cammino qui e oltre.


mercoledì 15 agosto 2018

BRICIOLE di PAROLA
...nell'omelia (versione lunga)

Assunzione al Cielo di Maria -15.08.2018
Ap 12, 1-10 1Cor 15,20-27 Lc 1,39-56
L’altro ieri la Parola dell’apostolo ci esortava camminare nella carità e Gesù ci forniva un pane, un pane di sostanza, che dà forza, un pane di eternità perché “troppo lungo è il cammino” diceva Dio allo sfiduciato e lamentoso Elia.
Allora, camminare sì, ma verso dove? Dove andare? Quale destinazione della nostra storia, della nostra esistenza? Destinazione cielo! E in questa festa in cui i discepoli del Signore celebrano l’Assunzione al cielo di Maria, la madre di Gesù, è dato di intravedere la meta del cammino, il traguardo verso il quale ci portano di nostri passi.
La sorte di questa creatura, nostra sorella, dataci quale madre dal Figlio Gesù, sorte che la vede portata in cielo “in anima e corpo” è anche la nostra. Ella è “primizia e immagine di tutti noi”, recita la preghiera che poi faremo; in lei si compie il mistero di amore e salvezza che Dio vuole per tutte le sue creature ed è a noi data quale segno di consolazione e sicura speranza. Il privilegio di non conoscere la corruzione della tomba ci è incomprensibile, e sappiamo bene che il nostro corpo non sarà preservato da questa consumazione. Però, nel misterioso agire di Dio, anche noi riavremo una nuova umanità nel giorno della risurrezione, quando ad essere annientata sarà la morte. Sì, la nostra destinazione è il Cielo, il Paradiso, la visione di Dio, la pienezza della vita. Com’è consolante sapere che i nostri cari, dei quali avvertiamo la mancanza fisica accanto a noi sono davvero in questa “novità” per la quale siamo stati voluti e creati!
Questo cammino con destinazione il cielo non è una nostra conquista, ma il frutto della morte e risurrezione di Gesù, la conseguenza del suo Spirto di noi, e non è una semplice passeggiata. E’ un itinerario stupendo, un sentiero meraviglioso per le scoperte belle che andiamo facendo mentre siamo per via, una via di grazia per il bene, per l’amore che incontriamo, riceviamo e doniamo. Ma è pure una lotta senza quartiere con il male nelle sue varie espressioni (egoismo, odio, menzogne, avidità, guerre, divisioni) e con questo “enorme drago rosso” che, nella visione descritta dal libro dell’Apocalisse (1° lettura), allude chiaramente al Maligno con cui gli uomini si fanno corresponsabili di tanta infelicità.
In questa lotta è presa di mira la “donna”, che è immagine della Chiesa, dell’umanità, di Maria stessa, la madre del Salvatore. “Una donna vestita di sole”, cioè avvolta da Dio, “con la luna sotto i suoi piedi”, vale a dire in tutta la sua umanità, “e, sul capo, una corona di dodici stelle”, poiché proviene dal popolo d’Israele, popolo delle dodici tribù (come poi i dodici discepoli di Gesù che hanno costituito la Chiesa, la comunità e i credenti nel Cristo Signore), Maria, nella sofferenza, nella prova, nella lotta, trova protezione e salvezza per sé e per tutto il polpo, per l’umanità intera, per noi.
La vittoria è ascritta alla misericordia di Dio, canta Maria nella visita alla cugina Elisabetta; Dio che ha soccorso il suo popolo, e ancora soccorre l’umanità che noi siamo, rovesciando i potenti dai troni, innalzando gli umili, ha potuto contare sulla sua fede, sulla fiducia e obbedienza che Maria gli ha dato. “Beata colei che ha creduto”, così la saluta la cugina; beati noi perché ella ha creduto, possiamo pure dire, e così le porte del cielo hanno cominciato ad aprirsi. Si sono aperte per dare il Figlio unigenito, venuto nel mondo, sono state spalancata dalla sua risurrezione, e non si chiuderanno mai più per accogliere tutti noi nella beatitudine più bella. Maria Assunta in cielo le custodisce. Da lì non manca il suo sguardo e aiuto perché nel nostro camminare non abbiamo a prendere vie sbagliate, e se cadiamo, subito ci rialziamo, tenendo alto lo sguardo e il cuore alla destinazione Paradiso.

domenica 12 agosto 2018

BRICIOLE di PAROLA
...nell'omelia


19° Domenica B – 12.08.2018

1Re 19,4-8 Efesini 4,30-5,2 Giovanni 6,41-51

Mormorazioni, maldicenze, lamenti…sono nominati nella Parola che ora abbiamo ascoltato nelle tre letture che la liturgia ci propone. Sono presenti anche nella nostra esistenza, nella nostra convivenza familiare, civile, nella stessa comunità cristiana. Sono uno spaccato delle nostra povera umanità.
Come vi risponde Dio?

Ad Elia, uomo integerrimo, uomo di Dio che, in fuga da persecuzione, si lamenta, nello stremo delle forze fisiche, e si lascia andare: “ora basta, Signore”, Dio gli manda pane e acqua con il comando: “alzati e mangia”. Con quel cibo – “una focaccia cotta su pietre roventi e un orcio d’acqua” – Elia non si lasciò vincere dal suo stesso lamento, trovò la forza per continuare il su lungo cammino.

Come Dio con Elia, così Gesù anche con i suoi ascoltatori, con noi. “Non mormorate tra voi…” che non capite quello che vo dicendo. “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. …Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Questo pane è Gesù, la persona del Figlio di Dio. Egli è pane che dà forza, perché “troppo lungo è per noi il cammino” della vita, faticoso e pericoloso (come per Elia). Sappiamo bene che occorre mangiare per vivere, nutrirsi per stare in piedi, prendere cibo per camminare.

Da quello che scrive Paolo (seconda lettura) che esorta i cristiani a fuggire “ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità”, e a cercare invece benevolenza, misericordia, perdono, conosciamo che la vita è camminare nella carità : “fatevi imitatori di Dio…e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo ci ha amato”.
Ci vuole un cibo speciale, un pane “sostanzioso”! Un pane di carità, che dà carità! E’ Gesù!

Questo pane è pane di eternità. “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno”, non conoscerà la morte! Vivere in eterno non vuol dire evitare quel passaggio difficile che è la conclusione naturale del tempo terreno che ci è dato. L’eternità non sta nella quantità di questo, nella sua durata illimitata, ma nella misura e nell’intensità dell’amore che ci fa partecipi della vita di Dio. Pane di eternità è Gesù perché ci fa vivere dell’amore che era ed è in lui.

Lo scoraggiamento di Elia, le critiche di chi non si fida di Gesù, le maldicenze pure nostre quando non viviamo secondo lo Spirito che già ci ha segnati, trovano rimedio, luce, hanno fine nel “pane” che Dio ha mandato per la nostra “istruzione”, cioè perché non abbiamo ad ignorare quanto ci voglia bene, per la nostra guarigione e salvezza. E’ “pane disceso dal cielo”, nell’Eucaristia ci viene offerto, nel Vangelo, parola di Gesù, ci è donato, perché continuiamo nella carità il nostro cammino.



giovedì 9 agosto 2018

FRAMMENTI...estivi!

…Osea 2,21-22 e Matteo 25,1-13

Festa di S.Teresa Benedetta della Croce/Edith Stein,
copatrona d’Europa


Cominciamo con lo stravolgere il proverbio. 
Non più “chi cerca trova”, ma “chi cerca…è trovato”.
Una ricercatrice…trovata!
 

Nata ebrea, poi atea, filosofa, ricercatrice e insegnante, poi attirata da Gesù e dalla Verità trovata e della Verità si è fatta discepola. Ad essa si è consacrata!
Amò il Cristo che scelse come suo “sposo”(1933).
Amò il suo popolo sino a condividerne storia e sorte (Auschwitz, 9.08.1942).


“Ti farò mia sposa per sempre” (Osea 2,21). 
E’ sempre di Dio l’iniziativa nell’animo umile assetato di verità e amore. 
Quando decide di farlo e trova breccia, non manca di realizzare la fatidica promessa: “nella gioia e nel dolore”.
Egli è fedele e apre alla “conoscenza” di sé, cioè a quella esperienza che fa “entrare con lui alla nozze della vita” (cfr Matteo 25,10).


Lasciarsi cercare, lasciarsi “sposare”, lasciarsi portare dall’amore oltre quella
soglia dove c’è pienezza di vita e di festa. La nostra ricerca, la nostra attesa, siano un “pensare con il cuore” e un “amare con la mente”; vigilare con passione e con intelligenza!

lunedì 6 agosto 2018

BRICIOLE di PAROLA
...nell'omelia


18° Domenica B – 05.08.2018
- Giovanni 6,24-35

Il pane condiviso e mangiato da tanta gente nel miracolo narrato dal vangelo domenica scorsa diventa oggi, nella parole di Gesù, annuncio di un altro pane per far fronte ad una fame ben più profonda di quella materiale, fame di vita, di amore, di giustizia, di pace… E’ il pane di Dio che discende dal cielo e dà la vita al mondo, Gesù stesso! 

“Voi mi cercate perché avete mangiato”. Spesso cerchiamo Dio sperando che ci risolva i problemi. Anzi, Dio esiste proprio perché risolve i miei problemi. Altrimenti no. Può capitare di amare Dio più per i favori che ci fa, che per il fatto che è nostro Padre e ci ama. 

Comunque, “datevi da fare per cibo che rimane per la vita eterna” e “non per il cibo che non dura” E il pane che sazia, dice Gesù, solo io lo posso dare. Ci sono tante cose belle e gioie legittime a questo mondo, che ci rinfrancano, ci risollevano quando siamo affranti o deboli, quando abbiamo fame di vita… anche una bella vacanza, ma la vita in pienezza, la gioia di sperimentare la vita l’abbiamo solo in Gesù.

“Cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?”, per essere in regola, per avere tutte le carte a posto, noi che siamo così abituati a tutto guadagnarci, meritare, a conquistare con il sudore della fronte. “Cosa fare?” Fare, sempre fare…Abbiamo ridotto il vangelo a morale, a comportamenti, pur auspicabili, ma esteriori…Prima di fare c’è l’essere e il credere. Dice Gesù a coloro che lo ascoltano che “ questa è l’opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato.

“Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo?”. Sempre segni vogliamo. Di quanti segni abbiamo bisogno per credere! Perché invece di chiedere segni, non diventiamo noi segni gli uni per gli altri? Diventiamo, mangiando il pane che è Gesù, a nostra volta pane per gli altri, e così ci nutriamo a vicenda di una vita che non muore. Volersi bene è essere pane l’uno per l’altro. Non si tratta di prendersi a morsi, ma di farci carico della fame di vita e di amore di coloro che ci sono affidati. In questo modo l’opera di Dio si realizza, comincia davvero a prendere piede in noi.

“Signore, dacci sempre questo pane”.
Ecco chi è Dio. Non colui che chiede, esige, pretende. Dio dà. La pioggia di cui abbiamo bisogno in questi giorni. E il pane della vita.
Gesù dice la verità che dà la vita :“io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame, e chi crede in me non avrà sete, mai”.