BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia:
18° Domenica C – 31/07/2022
Qoelet 1.2;2,21-23 - Luca 12,13-21
E’ cosa saggia interrogarci sui nostri desideri, sul nostro futuro, su quello che stiamo costruendo, sulla direzione che ha preso la nostra vita, senza che ne accorgessimo, magari buttandoci a capofitto per necessità o per avidità su tante cose. Ci catturano come le ricchezze, i beni, di quel tale che non ne aveva mai abbastanza, e progettava di ingrandirsi sempre più, fino a che rimane giocato dall’improvviso arrivo della morte. Ma più che fermarci o prima di fermarci sulla storiella che Gesù racconta per dire che la vita non dipende dai beni che si possiedono, forse varrebbe renderci conto che razza di relazione le cose materiali che abbiamo tra le mani ci portano ad instaurare tra di noi, tra fratelli. Liti e divisioni sono frequenti, con accesso ad avvocati e tribunali!
“Dì a mio fratello che divida con me l’eredità”. Se c’è questa richiesta che può essere legittima perché le cose non sono state fatte bene fino a quel momento, significa che tra questi due fratelli non ci deve essere più proprio buon sangue, e la situazione inerente l’eredità si era evidentemente aggravata. Fatto sta che là dove ci sono soldi in mezzo da spartire, o comunque da gestire e investire con uguale responsabilità, la discussione non serena, lo scontro, la divisione diventano spesso inevitabili. Situazioni di ingiustizia palese o temuta, di avidità evidente ed egoista, esasperano gli animi. “Esecrabile fame di oro”, scriveva un noto poeta latino. Ingiustizia e avidità: quale buona parola può aiutare a rimediare le cose?
Per sanare l’ingiustizia occorre metterci una mano sul cuore, oltre che sul portafoglio, e ricordare la fraternità che ci unisce gli uni agli altri più di tutti i beni e le ricchezze che possediamo. Vogliamo custodire quel legame di carità che ci ricorda che siamo tutti figli dello stesso padre e che questi non fa mancare ciò che è necessario ad una esistenza dignitosa e serena di ciascuno. Non dimentichiamo che siamo fratelli! Certo ci sono lotte tra fratelli, purtroppo. Ma non devono verificarsi!
Per non cedere all’avidità, basta che stiamo con i piedi per terra e con le mani aperte. A tenere i piedi per terra viene la parola di Gesù: “Fate attenzione e tenetevi lontano da ogni avidità perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede”; e, d’improvviso, può sentirsi dire: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi si sarà?”. Giusto e doveroso sentirsi responsabili di figli e nipoti in modo saggio ed educativo. In modo saggio ed educativo, cioè né ammazzarsi di lavoro per non far mancare niente ai figli, che trovino tutto pronto, né che si arrangino perché per loro non abbiamo tempo. Un attivismo esasperato può farci dimenticare che abbiamo figli e fratelli. Esiste solo il lavoro! Saggezza, senso della misura, fiducia nella provvidenza, e generosità, ci possono proteggere da questo virus che ci mangia il cuore, spesso la salute, distrugge le relazioni.
La realtà bussa alla nostra porta e, come dice la prima lettura, ci ricorda la vanità, un soffio la nostra vita: “Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità delle vanità: tutto è vanità”. Una domanda dovrebbe accompagnarci: cosa sto lasciando a chi viene dopo di me? Cosa consegnerò alla fine della mia vita? La felicità, la bella eredità, non è data dalle cose che teniamo e che dobbiamo lasciare, ma da chi abbiamo attorno, e soprattutto da quello che abbiamo dentro, da Dio, che non ci lascerà mai.