BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia
Natale 2022
Maria “diede alla luce il suo figlio, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia”. Ecco il Natale di Gesù, il Figlio di Dio, che viene dal grembo di una donna, appunto Maria, sua madre, per opera dello Spirito Santo. Una donna veicolo di Dio che entra nel mondo. Quale rivelazione! E quale venerazione dobbiamo alla donna, ad ogni donna! L mondo dovrebbe apprenderla e far cessare ogni violenza sulle donne.
Non fermiamoci alla coreografia pur coinvolgente ed edificante degli angeli che cantano, della luce che squarcia la notte, dei pastori assonnati e vigili nello stesso tempo a guardia del loro gregge. Costoro storditi, presi da grande timore hanno bisogno di essere rassicurati davanti a quanto succede: “non temete”. Non ne abbiamo forse bisogno anche noi di una simile parola? E poi, ecco: “vi annuncio una grande gioia”, la gioia di Dio di darci Suo Figlio, prima di tutto, e questa gioia la devono conoscere tutti. Di questa gioia vogliamo trasbordi il nostro cuore, la nostra vita d’ora in poi, e non solo l’emozione, la commozione, l’ebbrezza di qualche attimo. Non si spegnerà la luce del Natale!
“Oggi è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore”. Ecco il segno: un bambino nella cruda povertà di una mangiatoia. Dio, nella piccolezza. E’ la via che ha scelto per raggiungerci, per toccarci il cuore, per salvarci e riportarci a quello che conta. Nella sua piccolezza c’è tutto Dio. Dopo una donna, Maria, ecco un’altra rivelazione: in un bambino viene a noi Dio. Il nostro mondo che fa violenza e respinge i piccoli fin dal grembo materno, i deboli, i fragili, coloro che sono bisognosi di accoglienza, di protezione, cura, di amore soprattutto, il nostro mondo lo deve sapere. Diamo spazio allo stupore anche se sono tanti anni che facciamo Natale. L’amore infinito ha un cuore minuscolo, un cuore di bambino, di quel Bambino di Betlemme.
Posando per qualche momento lo sguardo su colui che Maria ha dato alla luce, su Gesù, i nostri occhi vedono la fragile carne di un neonato, come hanno visto i pastori. In realtà, abbiamo mai pensato, che ammirando questa creatura, a sua volta i suoi occhi guardano noi? Sì, siamo guardati da Dio; questo Bambino è lo sguardo, buono, mite, misericordioso di Dio sul mondo, lo sguardo di Dio verso di noi. Non è poca cosa essere guardati dall’amore. Ci strappa dalla solitudine e dall’ insignificanza. Sappiamo bene che avere “nessuno che si accorga di te” è una delle esperienze più amare, vicina all’altra dello “sguardo che ti incenerisce, che giudica e condanna”. Se i nostri volti sono corrucciati e spesso tristi, confusi, non sarà perché non guardiamo più Dio, ci volgiamo ad altro e, soprattutto, perché non vediamo come Dio ci guarda?
Non solo lo sguardo di Gesù su di noi, ma anche le due attenzioni di Maria, “il bambino avvolto in fasce, deposto in una mangiatoia”, sono grazia e benedizione. “Dare alla luce, avvolgere, deporre”, verbi della premura, dell’attenzione, della tenerezza, della custodia di chi ci è caro, ci consegnano il Bambino Gesù, ci domandano di avvolgerlo con la nostra umanità, a sua volta risanata, risollevata dalla Sua Bontà, da Lui, principe della pace; e ci insegnano a deporlo nella nostra storia, quasi mangiatoia, luogo dove altri possono nutrirsi, trovare amore e vita.
Un’ ultima meraviglia. Il Bambino neonato già parla. Del resto è la Parola di Dio fatta carne. Egli dice ad ognuno: “Mi sono fatto piccolo per te. Ti sono vicino e solo questo ti chiedo: fidati di me e aprimi il cuore. Avvolgimi delle tue fasce, della tua umanità, tu ricevi la mia, divina, e sii tu la mia mangiatoia dove il mondo può nutrirsi di pace. Sì, fammi fare un buon Natale!”