lunedì 26 novembre 2018

BRICIOLE di PAROLA
… Apocalisse 14,1-3.4b-5 e Luca 21,1-4

(omelia S.Messa trasmessa da Radio Maria nella Parrocchia SS. Redentore – Lonigo –VI)

La Parola ora proclamata ci fa testimoni di due liturgie: la liturgia del cielo, di cui parla la prima lettura, tra gli angeli e i redenti davanti all’Agnello in piedi, davanti al suo trono. E’ una liturgia gloriosa e solenne, maestosa, grandiosa, dove le voci, potenti come tuoni, si accordano nel canto nuovo con il suono delle cetre. E’ una liturgia alla quale ambiamo, una liturgia di paradiso. Per il momento ci accontentiamo di sognarla attraverso queste parole, in attesa di goderne la visione e di prendervi parte pienamente quanto sarà il tempo.

Non è da meno l’altra liturgia, quella della terra, che, come narra il vangelo, si svolge al tempio dove una vedova povera compie il gesto di gettare due monetine nel tesoro. Era il suo modo, secondo le sue possibilità, di celebrare il Dio altissimo e di dare lode a Lui, di manifestare la sua fede semplice. Come semplice e nascosta, dignitosa e umile, è appunto questa liturgia. Ma non è meno celestiale di quella descritta nel libro dell’Apocalisse; anzi attira l’ammirazione, la benedizione di Gesù, testimone di tale atto di adorazione che non sfigura davanti ad angeli e santi. Ecco la “buona notizia” di oggi!

In questa singolare liturgia della terra noi vorremmo ritrovarci nel vivere con dignità la nostra condizione di creature semplici, umili, lontane da ogni ostentazione, e, come ha fatto appunto la donna, vedova povera, nel “gettare – in Dio - tutto quello che abbiamo”, o meglio quello che siamo, quello che la vita ci chiama ad essere.

Non poteva esserci vangelo più appropriato oggi per la Chiesa vicentina che onora la Beata Gaetana Sterni, vissuta nel secolo 19°. Giovanissima, rimase vedova dopo pochi mesi dall’aver contratto matrimonio con un vedovo; fu separata dagli orfani a lei affezionatissimi, e venne allontanata dalla casa; impegnò tutta se stessa a servizio dei poveri nella città di Bassano del Grappa. Gettando tutto di sé nelle mani di Dio, come la vedova del vangelo, visse da religiosa e dette vita alla congregazione delle Suore della Divina Volontà.
Sul suo esempio, e per la sua intercessione, anche la preghiera nostra, la liturgia quotidiana della vita, sia a lode della Sua gloria e a gioia dei fratelli. Assaggio e anticipo di paradiso. Amen.


domenica 25 novembre 2018

BRICIOLE di PAROLA
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34° Domenica B – Cristo Re – 25.11.2018

- Daniele 7,13-14 - Apocalisse 1,5-8 - Giovanni 18,33-37

Riconosciamo, onoriamo, adoriamo, Cristo Gesù, il Figlio di Dio, “simile ad un figlio di uomo” (1° lett.), Re e Signore della nostra vita, della nostra storia, della mia vita e della mia storia, Re e Signore di amore di misericordia, di perdono. “Io sono re…”. Ma “il mio regno non è di questo mondo, non è di qui”.

E non perché non si interessa della terra, del mondo, ma perché è un regno che ha un’altra logica, tutt’altra, lontanissima anni luce, dalla mentalità dei regni terreni.
Quest’ultima è combattere. “I miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei”.
Dove si combatte, dove si fa violenza, dove il criterio è essere vincenti, dove si abusa dell’altro, dove si fa strada la voracità del potere, del denaro, dell’ “io”..., Gesù dice: no, non è di qui, non passa di qui il mio regno.


E’ là dove l’altro conta più della mia vita, là dove ci si consegna agli altri, là dove ci si batte per la libertà dell’altro, per il rispetto dell’impronta di Dio nell’altro e nel creato. Là si può dire: passa di qui il regno di Dio. Il Regno di Gesù è servizio, è dare la vita, è pace, giustizia. Egli è re perché serve, cioè consegna se stesso e la propria vita, ama sino al dono totale e completo di sé. E il Suo è il Regno dell’amore!

Se non è di questo mondo un tale regno, se non è di quaggiù, perché ostinarsi a volerlo?
Per la bellezza e la felicità di essere e di saperci figli amati da Padre, di essere e di vivere da fratelli che si vogliono bene, di essere uomini e donne che si impegnano a custodire questo mondo.


La regalità di Gesù consiste nella testimonianza della verità ( “Io sono re. Per questo io sono nato e venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità”), cioè nel mostrare l’amore di Dio, fino al sangue, con il perdono che libera dai nostri peccati (2° lett.)
Se la facciamo nostra questa verità, e la testimoniamo, anche noi diverremo “regali” in questo mondo, riconoscendo la grandissima dignità e l’immenso valore della vita, sapendoci amati, pensati voluti, creati accolti, fatti eredi dei beni eterni.


Tutto questo possibile grazie al nostro Re, Gesù, a cui spettano davvero la gloria e la potenza nei secoli, l’adorazione e l’onore presso gli uomini. Egli è il principio, la fine, la ragione e la meta di tutte le cose. Di Lui non siamo sudditi, né servi, ma siamo fratelli e amici come ci ha voluti. Anche questa è verità!


domenica 18 novembre 2018

BRICIOLE di PAROLA
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33° Domenica B – 18/11/2018   

- Daniele 12,1-3     - Marco 13,24-32

Siamo alle domeniche conclusive di un percorso di vita e di fede che ci ha condotto a partecipare al mistero di Cristo che a sua volta ci guida alla pienezza della vita. La Parola che oggi ascoltiamo è una parola che ci parla di una fine, di un tempo in cui tutto, per giunta tragicamente, è destinato a tramontare, a sciogliersi, a sparire. Ma poiché il nostro Dio, e Padre, è Creatore, non può assolutamente volere la fine di ciò che di bello e di buono ha fatto, questo mondo, l’universo intero, l’umanità che gli è cara.
Ha mandato addirittura il suo Figlio a dare pienezza di speranza e di vita, e ora volete che cancelli tutto, magari irritato perché non lo abbiamo ascoltato? Che idea errata ed ingrata abbiamo di Lui, a nostra immagine e somiglianza! Dio non è colui che mette fine alle cose, ma colui che ci conduce di inizio in inizio, di novità in novità, fino ad una pienezza impensabile di vita.

A conferma di questa convinzione che è data al nostro cuore ed anche alla nostra mente, le terribili cose che ci sono dette oggi, i fatti drammatici che ci sono svelati, anche se non li comprendiamo appieno, sono superati, illuminati, trasformati, da due immagini cariche di poesia e di verità. Chi avrebbe immaginato la fine del mondo, il tracollo di questo universo, ponendo come segno un cielo pieno di stelle che risplendono per sempre (1° lettura), cioè “i saggi e coloro che avranno indotto altri alla giustizia” e il germogliare di una pianta dai frutti dolci e saporiti (vangelo)? Si parla anche di cataclismi, catastrofi, oscuramenti di sole, luna, le stesse stelle, di tempi di angoscia e di vergogna. Ma la parola che firma tutti questi avvenimenti è una parola di speranza e di bellezza uniche. Perché?

Ciò che Dio ci ha donato, non se lo riprende. Il desiderio di dare la vita e non la morte rimane in Lui, rimane in noi e per noi. Se ci sarà una fine del mondo, come la pensiamo o la temiamo noi, non sarà operata da Dio, ma causata dall’uomo. Dio non realizza mai la fine, Dio non distrugge. Egli crea. La fine è opera nostra. L’opera di Dio, ed è questa che ci fa impazienti, almeno curiosi, è il ritorno glorioso del Cristo: “Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria”. Sarà una festa, ce l’ha assicurato: “le mie parole non passeranno”. E il ritorno di chi ci ama e di chi noi amiamo, come può essere la fine della vita, della gioia, della festa? Non ci esprimiamo anche noi così davanti ad una cosa piacevole, che ci dà allegria, ci stupisce, ci fa contenti: è la fine del mondo? Altro che terrore! E’ la cosa più bella che ci possa capitare.

Certamente andiamo verso il massimo di tenebra e di morte, di distruzione, se rifiutiamo Dio, ma saremo noi la causa di tanto male. Andiamo invece verso il massimo di luce, di vita, di amore, se accogliamo ogni giorno il Cristo, e poi nell’ultima sua venuta.
La nostra vita non ha una fine, ma un fine, uno scopo, un traguardo: che risplendiamo quali stelle di giustizia e che a fronte di distruzioni fioriscano germogli promettenti di ogni dolcezza e bontà. Tutto questo è opera di Cristo che ritorna, anzi, che già è qui, che vive già in noi; è azione della grazia e insieme impegno nostro. Prego che nella mia esistenza io possa dire, ora e nel momento della morte, all’Amore che mi viene incontro: “Maranthà! Si, vieni, Signore Gesù”.




sabato 10 novembre 2018

BRICIOLE di PAROLA
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32° Domenica B – 11.11.18

- 1Re 17,10-16 - Marco, 12,38-44
Ci sono offerti alcuni fotogrammi di vangelo particolarmente significativi. Sono un po’ come i brevi annunci che appaiono nei box in prima pagina del giornale, che incuriosiscono ad andare a leggere in profondità la notizia. E ancora si tratta di una bella notizia, anzi di alcune.
Gesù si accorge, perché egli guarda con amore, e ammirazione, di una donna, vedova povera, che depone la sua offerta nel tesoro del tempio. Non gli sfugge quel gesto che, probabilmente senza dare nell’ occhio, la donna compie.
La prima bella notizia sta proprio nello sguardo di Gesù a cui non sfugge quel poco che io sono in grado di dare e di fare, sa ammirare, apprezzare e si compiace, di come io agisco ogni giorno nel mio piccolo. L’amore fa grande le cose piccole.
“Amerai il Signore con tutto il cuore, con tutta l’anima con tutta la mente, con tutte le forze…”, l’avevamo sentito otto giorni fa. 
Oggi ritorna questa parola che è molto di più di un aggettivo, la chiamerei “sostantivo” perché parola che dà sostanza alla vita intera. “Vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”. "Tutto" è parola non di quantità, ma di qualità. 
Per Gesù non c’è il poco, ma il tanto amore. Il suo sguardo promuove e benedice il nostro poco!

La seconda bella notizia è nelle parole pungenti di Gesù; è la messa in guardia non dai peccatori, miscredenti, o fuorilegge, ma dai rappresentanti e detentori della dottrina, e dall ’ostentazione con cui può capitare anche a noi di agire come gli scribi che tra altro si arrogavano il diritto di giudicare gli altri perché loro la legge la sapevano lunga e bene. “State attenti!”
E’ buona notizia perché ci avverte che ciò non è gradito a Dio, e quindi fa parte di quell’ educazione di cui tutti, anche nella Chiesa c’è bisogno. Possono permanere, purtroppo, ancora tra noi usi e costumi persino ecclesiastici che ripetono lo stile degli scribi (vesti, saluti, onori, vantaggi, apparenza…) che Gesù stigmatizza.

La terza bella notizia è questa donna che insegna la segretezza del vangelo, il nascondimento della carità, la totalità del dono, la misura alta della fede. Se tu dai del superfluo, come fanno tanti, anzi tutti, dice Gesù, puoi confidare ancora su ciò che ti rimane, è un bene sicuro, un bene a cui puoi attingere risorse per la vita. Ma se hai dato tutto? L’unico su cui puoi confidare è il tuo Dio.
Bella notizia confermata dall’ altra vedova, quella che incontriamo nella prima lettura. Questa, addirittura, conosce l’angoscia di aver ben poco da dar mangiare al figlio. Non è che la fede sia l’atteggiamento di chi è agli estremi, quasi una rassegnazione a cui non si può sfuggire. Come si fa ad avere fede? Dove risiede la nostra fiducia? Nella promessa di Dio: “La farina nella giara non si esaurirà, e l’orcio dell’olio non si svuoterà…”: anche questa è bella notizia, promessa di un amore che non ci abbandona e a cui non sfugge nulla della nostra povera esistenza, promessa che si è realizzata in Gesù.

domenica 4 novembre 2018

BRICIOLE di PAROLA
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31° Domenica B – 04/11/2018

Deuteronomio 6,2-6 e Marco 12,28-34

Due…confezioni di amore in un unico comandamento! No, non siamo al supermercato, né al discount! Non c’è bisogno di comprare. Qui è solo un’offerta gratuita e abbondante di vita senza corrispettivo da versare che non sia l’ascolto, come veniva raccomandato nella prima lettura, e la saggezza che Gesù coglie nel suo interlocutore.
Due dosi di amore sono prescritte per ritrovare la salute e ridarla al mondo; due dosi che devono essere miscelate bene e assunte insieme per essere efficaci, come certe medicine.

Ecco: “Amerai il Signore tuo Dio e amerai il tuo prossimo: Non c’è altro comandamento più grande di questi”. Appunto due in uno! Nel dialogo si parla di un “primo” a cui segue subito un “secondo”, ma poi entrambi confluiscono nell’unico, come unico è Dio.

Ma come “amare Dio” e come “amare il prossimo”?
Intanto l’amore è un progetto, che ci viene consegnato, e al quale prestare ascolto, da tener fisso nel cuore. Questa custodia è garante di vita e di felicità, come promettono le parole della prima lettura.

Il verbo, poi, al futuro – “Amerai” – che anche Gesù ricorda  rispondendo alla domanda che gli è stata posta dallo scriba, dalla persona di cultura, diremmo oggi, che ha conoscenze di dottrina e di teologia, non significa che tale progetto deve rimanere sulla carta, deve attendere permessi e autorizzazioni; invecchiare nei pensieri, nelle fantasie, nelle voglie superficiali, e mai si realizza, mai si procede a dargli corpo, concretezza. Piuttosto rivela che l’amore non è mai finito, non è mai pieno, non è mai del tutto compiuto se non quando si arriverà alla misura di Cristo, quella santità che Dio ha pensato per ciascuno di noi e per cui ci ha creati; quando arriveremo ad amare come Cristo ci ha amato. Ma intanto…

Come amare Dio? Senza misura! “Con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente, con tutta la tua la forza”…Con tutta la tua persona, affetti, progetti, passione, impegno…

Come “amare il prossimo”? “Come te stesso”. Sei tu la misura del tuo amore verso gli altri. Se non riesci ad amare il tuo prossimo, a voler bene a chi hai vicino o incontri ,o lo ami poco e male, forse questo ti vuol dire che non stai amando neanche te stesso, non ti stai prendendo cura nemmeno della tua persona, del tuo vero bene. C’è dell’egocentrismo quando miri a star bene tu, in modo errato. Oppure, addirittura, egoismo quando rechi , con il tuo comportamento, del male agli altri.

Alla fine Gesù riceve un attestato di stima, quasi un bel voto, da parte di chi lo interroga sentendosi da lui attratto: “hai detto bene, Maestro, e secondo verità…”. In realtà è Gesù che promuove costui: “Non sei lontano dal regno di Dio”….Bellissimo e gratificante il complimento di Gesù che diventa incoraggiamento per un passo nuovo. Bella notizia, e insegnamento, per noi. Sempre Gesù fa così. Parte da ciò che c’è di buono in una persona per proporgli un ulteriore passo.

Amare Dio senza misura, amare il prossimo come noi stessi. Come riuscirci? Nulla è impossibile a Dio, anche perché, ci ricorda la lettera agli Ebrei, “Cristo è sempre vivo per intercedere” per noi.