lunedì 31 luglio 2023

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

17° Domenica A – 30.07.2023

1Re 3,5-12    -    Romani 8,28-30    -     Matteo 13,44-52

E’ comprensibile! Tutti noi, chi in un posto, chi in un altro, viviamo con l’obiettivo, magari nascosto, il desiderio, a volte inconfessato, di portare a termine qualche buon affare. E così  cercare, trovare, andare, vendere, comprare…” diventano i passi della nostra esistenza. Per realizzarlo questo affare occorre fare delle scelte e prendere delle decisioni.

Nel Vangelo di questa domenica si parla di mercanti e di contadini, anche di pescatori, e tutti cercano di trarre vantaggio da quello che succede nella loro vita. Nella speranza che anche noi possiamo averne un vantaggio nelle cose della vita, tutti a un certo punto abbiamo bisogno valutare bene la situazione, dobbiamo decidere che cosa conta in vita.

Ciò può avvenire in modo inaspettato, cosa che capita al contadino dedito al suo lavoro quotidiano senza pretesa alcuna, una fatica che non manca di dare motivo di lamento, ma anche qualche piccola soddisfazione. Non di più.  Forse rassegnato, trova finalmente qualcosa di importante, “un tesoro”. E’ talmente importante che si premura persino che non gli sia sottratto, e quindi lo nasconde da possibili concorrenti. Quello è il momento della decisione, non facile, ma, poiché è “pieno di gioia” per la scoperta non tarda a prendere la decisione di comprare il campo. Se non abbiamo gioia nel cuore, tergiversiamo, rimandiamo, e perdiamo le occasioni.  A volte è anche meglio non prendere decisioni, non abbiamo neanche la mente lucida se il cuore non prova gioia.

Ci sono anche coloro che, come mercanti, passano tutta la vita a cercare una risposta alla loro inquietudine, ad avere tra le mani qualcosa di sempre più prezioso. Provano di qua e di là, incontentabili e instancabili, e davanti al risultato della loro ricerca, alle opportunità che incontrano, viene l’esigenza di prendere una decisione. Davanti ad “una perla di grande valore” è saggezza e coraggio vendere tutto e comprarla.

Fuori della parabola narrata da Gesù, il tesoro e la perla preziosa sono il Regno di Dio, sono Gesù, sono la vita che Gesù stesso ci offre. E’ Dio che si lascia trovare, sia inaspettatamente nella nostra esistenza quotidiana, sia nella nostra ricerca sincera. Cosa ci insegna la scelta che hanno fatto il contadino e il mercante?

Dopo aver trovato Dio, occorre anche accoglierlo. Dio è esigente ed esclusivo. Non accetta di convivere con tutte quelle altre divinità che ci riducono in schiavitù. Dobbiamo vendere tutto per conquistare il tesoro e la perla. Questa operazione di vendita è ovviamente prima di tutto in nostro favore, perché ci consente di liberarci da tutto quello che ci costringe a essere preoccupati, afflitti e in ansia. Solo un cuore veramente libero può conoscere l’amore. Vale  anche nelle relazioni affettive: quando un cuore è già occupato da altro (lavoro, soldi, divertimento, apparenza…) non riesce veramente a innamorarsi di qualcuno, soprattutto ad amarlo. Per questo non giungiamo mai a essere pienamente felici.

C’è anche un’altra immagine nelle parole di Gesù. La vita è come una rete a strascico che prende tutto, trattiene pesci di ogni tipo. E il discepolo diventa tale solo quando impara a discernere i pesci buoni da quelli cattivi, cioè le cose buone e quelle no nella nostra esistenza. E’ importante imparare a scegliere nella nostra esistenza. Al termine di essa saremo noi…scelti. Come Salomone, racconta la prima lettura, chiediamo nella preghiera un cuore saggio ed intelligente, dono di Dio, chiediamo il dono del discernimento.  Potremo prendere le nostre decisioni, e con il cuore libero e pieno di gioia anche rischiare l’amore.

 

domenica 23 luglio 2023

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

16° Domenica A – 23/07/2023 

Sapienza 12,13-19         Romani 8,26-27        Matteo 13,24 -43

La bontà di Dio, seminatore generoso, quasi sprecone di tanto amore nei confronti dell’umanità e verso il “terreno”, cioè il cuore, ora impenetrabile, ora senza radici profonde, ora pieno di rovi, come narrava la parabola di domenica scorsa, questa bontà di Dio sembra oggi irrisa. Il bene che Egli lascia cadere con abbondanza, la Sua Parola, la sua misericordia, il bene che getta senza badare a spese, non ha vita facile e rischia di essere soffocato da tanta malvagità.

La parabola ascoltata ci suggerisce una domanda: chi è che pone ostacolo alla bontà di Dio e della sua opera? Certamente “un nemico ha fatto questo”, asserisce il padrone del campo, quasi scusando subito quelli che avrebbero dovuto vigilare sul lavoro che per la maggior parte svolge proprio Lui come seminatore, appunto buono e generoso, instancabile e fiducioso. Ma anche noi, come i servi della parabola, possiamo metterci del nostro. Noi abbiamo la facoltà di intralciare la bontà dell’operare di Dio. In tre modi.

Il primo è dubitare di Lui e della bontà delle cose che fa. “Signore non hai seminato del buon seme nel tuo campo?”. Come a dire “non hai fatto e non fai bene le cose con me, nella mia vita, perché io sono quel campo; o nel mondo in cui io mi trovo a vivere. Ti sei sbagliato, non sei stato attento, hai fatto male il tuo lavoro. Sei incompetente. Io avrei guardato con più attenzione”. Non crediamo nella qualità del suo amore, della sua premura, della sua dedizione a noi. Gli imputiamo di non saper fare bene il suo lavoro. Forse vorremmo insegnargli a fare…Dio. Dubitare della Sua bontà e sapienza è mancargli di rispetto, è frenarne la forza! Diamogli fiducia!

Il secondo modo è quando, mentre il padrone del campo cerca quasi una scusante per non addossare ai servi una qualche responsabilità per il risultato magro del lavoro suo dicendo “un nemico ha fatto questo”, noi avalliamo questa ipotesi, che ipotesi non è, perché il nemico maligno sa fare la sua parte: la colpa è sempre degli altri. Ma, onestamente,  non dobbiamo dimenticare che noi danneggiamo la bontà del lavoro, non vigilando sul bene che viene fatto. “Mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò”. La bontà viene vanificata dalla nostra mancata vigilanza o irresponsabilità. Se c’è il male che rovina tutto è sempre colpa degli altri, del nemico, chiunque essi siano. Così diciamo. Assumiamoci le nostre responsabilità!

C’è un terzo modo per rovinare la bontà di Dio. E’ la nostra impazienza, l’incapacità di attendere, una volta che abbiamo preso atto che le cose non vanno bene: “Vuoi che andiamo a raccogliere la zizzania?”. Uno zelo poco sensato, un’ agitazione piena di ansia nel cercare di porre rimedio, rischiano di sradicare e distruggere anche il buono che c’è. E il danno è ancor più grande. Il seminatore, invece, fa bene il proprio lavoro, la qualità dell’opera seminata non si discute: bisogna imparare ad essere mietitori, cioè pazienti e con lo sguardo di Dio. Vogliamo acquisire lo stile Suo che Gesù è venuto ad insegnarci nel seminare e custodire il bene, la pazienza!

Questa è la buona notizia di oggi: Gesù ci insegna a lavorare come Dio, con Dio, a collaborare con la Sua bontà, a pazientare e non rovinare quel tanto di buono che pur sempre cresce nel suo campo, la nostra vita. Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, ci guarisce dal dubbio che Dio non faccia le cose bene, ci tiene svegli e vigilanti, ci regala il cuore che sa attendere il compimento dell’opera di Dio.

 

 

 

lunedì 17 luglio 2023

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

15° Domenica A –16/07/2023

Isaia 55,10-11    -     Romani 8,18-23      -     Matteo 13,1-23

Gesù parla e prepara i suoi al Regno di Dio, alla novità che Egli è e che è venuto a portare: la vita, il mondo che Dio vuole per tutti i suoi figli. Le azioni e le parole di Gesù vanno in questa direzione. Egli ne parla servendosi di fatti di vita verosimili, dati come esempi, le parabole, e invitando a prendere posizione, a valutarli, giudicarli, e ad agire in un modo sorprendente. Noi lo faremmo a rigor di logico, ragionando, calcolando, usando giustamente attenzione, buon senso, intelligenza. Nella parabola del padre che lascia andare il figlio e poi lo riaccoglie quando ritorna dopo che ha dilapidato ogni cosa, noi avremmo usato maggior rigore e giustizia; nella parabola dell’uomo aggredito lungo la strada, noi avremmo agito con maggior distacco e prudenza tirando diritto. Oggi nella parabola del seminatore, noi ci saremmo comportati con maggior competenza e responsabilità. Questi comportamenti che noi avremmo assunto sono comprensibili, sono a rigor di logica, ma non sono evangelici.

Nella parabola oggi offerta al nostro ascolto di evangelico è la bontà. Quella del seminatore che non è inesperienza, irresponsabilità, incompetenza, ma generosità a tutto tondo. Con bontà è valutato ogni terreno, sempre meritevole di attenzione, con la fiducia che possa accogliere il bene che viene lasciato cadere in abbondanza. Bontà è anche la qualità della semente gettata che arriva ad attecchire, germogliare e portare frutto dove è accolta,. Si, è buona, buona notizia, l’amore di Dio e la sua cura di noi.

Dio attraversa il terreno della nostra esistenza e lo trova inevitabilmente in condizioni diverse. La nostra esistenza, come un campo vive stagioni diverse, e la nostra vita è segnata ora dalla superficialità, ora dalle preoccupazioni e dalla sofferenza, qualche volta anche dalla disponibilità. Questo seminatore strano, improbabile, originale, rappresenta allora non solo il modo in cui Dio getta la sua parola nelle nostre esistenze complicate, ma racconta anche il modo in cui Dio ama ogni terreno. Il seminatore non aspetta infatti che il campo sia pronto ad accogliere il seme, ma getta la sua parola in qualunque tipo di terreno. Il seminatore non fa calcoli, non getta il seme solo laddove prevede di trarre più frutto, ma rischia, investendo su qualunque tipo di terreno. Così, in qualunque condizione io mi trovi, Dio continua a compromettersi con me. Dio getta la sua parola, si comunica, mi ama, qualunque sia la stagione che sto attraversando.

E’ lo stile in cui Dio ama: chi ama veramente, spreca, non fa calcoli, non aspetta che l’altro sia perfetto per amarlo, non si compromette solo quando o dove sa di poterne trarre vantaggio o spera di averne un ritorno. Quello non è amare e soprattutto non è lo stile di Dio. È vero che abbiamo spesso considerato la reciprocità non è evangelica; sarà di buona educazione, ma non è evangelica… Nelle nostre relazioni, anche quelle più care familiari, a rigor di logica si cerca la reciprocità. Non è sbagliato, ma non basta. Perché a volte chiamiamo così ciò che invece è una ricerca di equilibrio che di fatto è un compromesso: io ti do, se tu mi dai!  No! Non è amore evangelico. Per il Vangelo invece amiamo veramente quando rischiamo, quando sprechiamo le nostre parole, quando non facciamo calcoli, quando siamo disposti anche a perdere. Lo dimostra, lo insegna la generosità quasi illogica del seminatore. Questa è la buona notizia che mi rallegra!